Severi o buoni?
Gianni Mereghetti - 24-01-2005
Educatori

E' stata riproposta con forza l’urgenza che si diano delle regole certe alla convivenza scolastica e che si punisca con mano ferma chi tali regole infrange. Sembrano tutti d’accordo, l’unica differenza sta nell’entità delle punizioni, il ministro Moratti ha fatto sapere di non voler più sospensioni, ma lavori socialmente utili!

Nel dibattito pubblico, che è lo specchio di quello che quotidianamente impegna i docenti, si scontrano due posizioni: da una parte quella di chi vuole maggior severità e inflessibilità, dall’altra quella buonista. Io non mi ritrovo in nessuna delle due, anche se è vero che sono dominanti dentro la scuola, tanto che discorsi e scelte degli insegnanti sono nella quasi totalità dei casi riconducibili ad esse. Ciò che mi fa prendere le distanze sia dal buonista sia da chi fa delle regole il perno della vita scolastica è che queste due posizioni, apparentemente opposte, in realtà sono due facce della stessa medaglia: entrambe non c’entrano nulla con l’educazione!

Infatti il problema non è quanti giorni di sospensione dare a chi ha infranto una regola o a quale lavoro socialmente utile condannarlo, ma la ragione per cui lo si fa. Qui però la cosa si fa difficile, in quanto le ragioni di una punizione non stanno in un meccanismo che si applica ( ovvero hai rotto una porta, devi pagare 5, hai allagato una scuola devi invece pagare 10!), bensì nella loro capacità di correggere una modalità errata di rapporto con la realtà avviando un percorso e un rapporto che educhino a quella giusta.

Il problema grave è che al buonista e al moralista non interessa il destino di chi ha infranto la regola, interessa solo l’affermazione di una sua misura! Invece chi va a scuola per educare sceglie se punire o non punire e a che cosa in base ad un unico criterio, il bene della persona, il che non si può identificare in un meccanismo, perché implica il dramma di un rapporto.

Per questo la questione delle regole della convivenza scolastica e del come comportarsi là dove sono infrante è una questione educativa, è squallido e fuorviante che la si riduca al problema se essere severi o buoni!

nella scuola c'è bisogno di più umanità

In questi ultimi mesi nella scuola italiana vi sono stati numerosi episodi che hanno portato alla luce la tendenza di molti insegnati ad adottare sistemi autoritari nei rapporti con gli studenti. Si sta così passando dall’errore di lasciar fare, che da anni imperversa dentro le aule scolastiche, ad un altro errore, quello di voler determinare il percorso di ogni studente in ogni suo passo. Questi due metodi di insegnamento, l’autoritarismo e l’accondiscendenza, sembrano opposti, in realtà sono due facce della stessa medaglia, quella di insegnare senza coinvolgersi con il destino di ognuno degli studenti che si hanno davanti.

Infatti la questione seria della scuola italiana non è se occorra maggiore o minore severità, più o meno regole, ma che ogni studente incontri uno sguardo di simpatia totale. Troppi insegnanti invece sono diventati dei burocrati e, incapaci di umanità, si affidano a regole o a tecniche, mentre per insegnare ciò che è decisivo non è che si conosca la materia né che si padroneggi un sistema di regole morali, bensì che si sia capaci di guardare ogni studente per il valore che ha.

Gli studenti è di un insegnante così che hanno bisogno, e non di un insegnante che abbia un progetto buono su di loro, nemmeno di uno che vorrebbe che imparassero tanto, che avessero una cultura: infatti un insegnante che ogni mattina parta da un progetto inevitabilmente metterà in atto un potere sugli studenti – anche per ragioni buone! -, mentre è solo per un amore appassionato alla vita che, insegnando, si fa crescere la libertà di ogni studente.

Del resto i giovani studiano e comprendono il valore delle regole solo se incontrano insegnanti, che spiegano una materia o indicano una regola, non perché sia bella la materia o giusta la regola, bensì perché vogliono bene a ciascuno di loro.

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