breve di cronaca
Il Natale triste dell’interinale
l'Unità - 11-01-2005
Atipiciachi di Bruno Ugolini

Sono i lavoratori in affitto, collegati alle apposite agenzie che li "prestano", per determinati periodi, ad imprenditori bisognosi di mano d'opera occasionale. Succede che a volte i giorni lieti delle festività (Natale, Capodanno, la Befana) provochino in loro qualche tristezza, per certe piccole ma simboliche, crudeli discriminazioni. Capita, ad esempio, che c'è la cena di Natale, racconta Serena, e l'azienda consegna ai dipendenti con posto fisso, felicemente riuniti, il regalo tradizionale. A loro, le donne con la targa "interinale", niente, nessun dono. Leggiamo questa breve testimonianza in una ricerca ("Io lavoro", sui lavoratori atipici fiorentini) di cui abbiamo già parlato in questa rubrica. C'è un capitolo dedicato agli infortuni che colpiscono, in modo particolare, i lavoratori interinali e qui è raccolta la testimonianza di Serena. L'autore è Andrea Valzania dell'università di Firenze che riflette su un'indagine commissionata dall'assessorato al Lavoro di Firenze all'Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana.
Tra i dati che emergono uno riguarda il legame tra la condizione dell'interinale, appunto, ed una crescita degli infortuni in questo particolare ambito del mondo del lavoro contemporaneo. Scopriamo così che questi lavoratori "a tempo" non hanno tempo, si perdoni il bisticcio di parole, per apprendere approfonditamente, ad esempio, le norme relative alla sicurezza. Sono spesso considerati dei semplici "tappabuchi" e nessuno investe denaro per fornire appositi corsi di formazione. Sono considerati una figura "di confine" dal punto di vista dei diritti ed esposti a discriminazioni di vario tipo. Non c'è solo il dono natalizio negato, c'è anche il registro presenze separato, l'orario della mensa, la differenza nelle pause. "Un gioco perverso", scrive l'Autore, "di non identificazione con il proprio ruolo di lavoratore che finisce con l'incidere fortemente sia nella percezione di sé che nell'immagine di sé verso gli altri colleghi".
E' la "dualità" nell'organizzazione del lavoro, tra quelli in affitto e quelli stabili, il fattore che aumenta i rischi d'infortunio. I racconti inseriti nell'indagine dicono d'operai che vivono una situazione di stress dovuta a ritmi elevatissimi "e alla necessità di dover sempre velocizzare il lavoro". E non possono ricorrere a quelle pause maggiori destinate, invece, agli "stabili". Gli interinali compiono lo stesso lavoro degli altri, con le medesime mansioni ma sono più esposti, "perché le compiono con uno stato d'animo complessivo peggiore, con tensioni mentali e nervose nettamente più elevate". Sono, in sostanza, lavoratori di serie B. Hanno la necessità continua di dimostrare più di quanto dovuto che sanno lavorare bene e in fretta. Il tutto per avere una speranza di prolungamento di quella che è chiamata, con un termine lusinghiero, la "missione". Vale a dire la possibilità di poter ricevere più a lungo un salario. Dichiara Tiziano: "Sei sempre il primo, cerchi di essere sempre lì, puntuale, alla fine quando succede poi uno sbaglio…succede un casino, poi corri, corri…alla fine o t'infortuni oppure ti mandano a casa". E Gianni: "…Tu stai due anni e ti dicono ora ti assumo, ora ti assumo, tu arrivi al sesto mese e guarda non si può, altri sei mesi va bene…".
Cristina parla degli orari più lunghi. Racconta come gli altri, i "fissi", sapevano, quando andavano via "che noi avremmo fatto, in altre parole che a noi erano richieste delle cose che ai dipendenti non erano richieste perché loro si rifiutavano di farle… Quindi noi facevamo lavori che loro non volevano fare…" L'indagine porta questo titolo riassuntivo "Instabili, stressati e soggetti ad infortunio". E' una condizione, certo, vissuta in modo diverso a seconda dell'età. Essere interinale a 20 anni è diverso rispetto ai trentenni o quarantenni. Ma per tutti vale la speranza di cambiare. E qualche risultato, intanto, è possibile. Ha chiesto, ad esempio, Giuseppe sulla mailing list atipiciachi@mail.cgil.it se anche i lavoratori interinali metalmeccanici abbiano diritto ad ottenere il cosiddetto "premio aziendale variabile". Gli ha risposto l'owner Sebastiano che sì, certo. Lo stabilisce l'art. 19 comma 1 del Contratto nazionale per le imprese fornitrici di lavoro temporaneo, ora agenzie per il lavoro. Una piccola, buona notizia.

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 Pierangelo    - 17-01-2005
e da l'Unità del 17.1.2005

Il mio lavoro è una amante gelosa

Atipiciachi
di Bruno Ugolini


C’è anche chi descrive la propria vita iperflessibile, costellata di tanti lavori occasionali, come quella di un latin lover che passa da un rapporto amoroso all'altro. Troviamo la “divertente” (si fa per dire) testimonianza sull'ultimo numero di “Invisibili”, una webzine nel suo nuovo numero ricca di materiali spesso discutibili, sempre interessanti.
È qui, nel settore dedicato ad esperienze di lavoro, che leggiamo di un giovane laureato in scienze politiche dall'esistenza complicata. Scrive: “Stare sul mercato del lavoro flessibile è come avere una fidanzata e tante amanti. Dà ebbrezza, ti fa sentire un macho indistruttibile con risorse infinite, ma quando cominci a non dormire la notte ti rendi conto che ti sta scoppiando tutto e stai per essere travolto e abbandonato...”.
Il nostro atipico aveva cominciato con un contrattino part-time all'università poi aveva cercato la strada per diventare “consulente del lavoro”. Ed eccolo visitare l'Ordine professionale della categoria, uno dei tanti ordini che si ergono spesso come potenti freni corporativi. Gli dicono “Lei ha qualche conoscenza?”. E visto che non ne ha aggiungono: “Come pretende che uno studio professionale prenda uno sconosciuto per due anni di tirocinio?”. Ricorre così al professore della sua tesi che lo raccomanda ad un avvocato che a sua volta lo raccomanda ad un consulente. Comincia la danza del giovane laureato tra i vari contratti. La prima proposta è lapidaria: “Qui si lavora gratis, nessun rimborso spese e portati il panino da casa”. Ed ecco via via la catena dei nuovi lavori: tutor per un corso di formazione, addetto ufficio stampa, addetto alle azioni di diffusione di un progetto ministeriale, esperto sviluppo siti web, collaboratore di un centro studi… Esclama così il nostro: “Se mi fossi ammalato un solo giorno, avrei fatto saltare tutto!”.
Nella sua visione i rapporti di lavoro hanno il significato di rapporti sentimentali. Scrive: “La mia fidanzata (il centro studi) è sempre più gelosa e fa di tutto per ostacolarmi nell'avere altri rapporti… occasionali, ma io, in fondo, la amo, e vorrei stare con lei per sempre. Ora non so cosa accadrà, io vorrei andare a convivere (contratto a tempo determinato) e poi magari sposarmi (contratto a tempo indeterminato) o andare a vivere da solo (lavoro autonomo). Per ora aspetto e non posso comprarmi una macchina figuriamoci sposare la donna che amo (quella vera!)….Il mio fisico e il mio spirito resistono allo stress della flessibilità spinta ma fino a quando potrò reggere?”.
Lui è iscritto alla Cgil e così sciopera anche in difesa dei suoi diritti e di quelli di tutti gli atipici, ma quando sciopera deve recuperare la giornata persa. Non solo, vive anche le differenze di trattamento con altri accanto ai quali lavora. Spiega che quando va alla mensa aziendale deve pagare di tasca propria e non può utilizzare i ticket restaurant assegnati invece ai colleghi con il posto fisso. Non può nemmeno giocare nella squadra di calcetto perché è organizzata dal Cral dei dipendenti. E sa benissimo che quando il suo contratto finirà non potrà ottenere il trattamento di fine rapporto, la liquidazione.
Sono fatti, annota, che con il tempo “segnano un solco tra tutelati e atipici difficile da digerire”. Eppure lui, nonostante tutto, si sente, come tanti altri nelle sue condizioni, fortunato. Perché? “Perché - racconta - svolgo lavori che mi piacciono e sempre diversi e che mi consentono di guadagnare molto. Dall'altro lato però non ho una professione ben definita e tra qualche anno potrei pagare un prezzo molto alto per le scelte che ho fatto, così come è molto facile che prima o poi la paghi se hai troppe amanti!”. Una parabola edificante.

 Pierangelo    - 27-01-2005
Da Liberazione del 27.1.2005

Intervista a Marco, lavoratore interinale, a tempo determinato, operaio in fabbrica e Rsu
«Io, precario meridionale, in cerca di fortuna al Nord»
di Aldo Nove

Dice Marco: «Di denaro, grazie a Dio, non ne ho mai avuto molto. Per fortuna i miei non sono ricchi. E, secondo me, il fatto di non aver avuto mai il bisogno di proteggere nulla mi ha permesso di essere più libero, e di non dover difendermi da nulla e da nessuno».

Quella di Marco è la storia, sempre più rara e per questo esemplare, della costruzione di una coscienza politica in un tempo che fa di tutto per farcela dimenticare. Ecco la sua vicenda di emigrato da una metropoli del Sud verso la provincia lombarda. In attesa di nuove destinazioni…

Allora, Marco, torniamo indietro nel tempo…
Torniamo a Napoli dove, dopo gli studi superiori, ho gironzolato tra un lavoretto e un altro: tutta roba molto precaria…

Ad esempio?

Commesso in un negozio di abbigliamento all'ingrosso. In nero.

Poi?

Sempre nello stesso ambito, quello dell'abbigliamento all'ingrosso, ma in un contesto del tutto illegale.

Cioè?

Collaborando con un commesso di un negozio di merci all'ingrosso, che prendeva contatti con altre ditte, per venderle lui al dettaglio. Quindi non solo in nero ma anche completamente illegale. Non ho capito immediatamente la gravità della situazione. Anche perché avevo bisogno di lavorare. Quando l'ho capita me ne sono andato.

Altri lavori?

Un tentativo fatto, senza alcuna convinzione, di vendita di libri porta a porta. L'ho abbandonato subito. Poi ho fatto il messo notificatore, tramite una società che lo faceva per il Comune, in ritenuta d'acconto. A seconda delle notifiche effettuate, avevo la percentuale. Un incubo. Ho camminato per Napoli per settimane, guadagnado molto poco. Mi trovavo tutte le porte chiuse in faccia. La gente scappa dagli esattori. Poi ho assemblato computer privatamente…

E dopo i computer?

Dopo i computer ho pensato che, se anche in un posto dove nessuno trova lavoro, lavoro comunque ne trovavo, se mi trasferivo al Nord, dove lavoro ce n'è di più, mi sarei trovato meglio.

Era vero?

No. Comunque un bel giorno, a ventisei anni, ho telefonato a dei miei parenti al Nord e tre giorni dopo ero in treno. E' stata una decisione presa in un momento.

Quale impressione ti ha fatto il Nord?

Deludente, sul piano umano. Però ero in provincia. Credo che lo scarto l'ho vissuto tra la provincia e la città. Vivendo per la prima volta la meschinità della provincia. Cose tipo l'odio contro «l'extracomunitario che ruba il lavoro», quando tutti sappiamo che fanno lavori che noi non vogliamo fare, o altre delicatezze del tipo «vengono qua a scoparsi le nostre donne»… O anche: «Il Sud è parassita del Nord perché al Sud non pagano le tasse»… Pensavo che queste cose fossero delle specie di leggende. Invece c'è molta gente che ci crede. E non solo i leghisti! C'è tanta gente che sostiene queste cose, e in base a queste idee vota, anche senza essere seguace di Bossi, anche ad esempio dichiarandosi "moderati". Che poi io, questo "moderati", non ho mai capito cosa vuole dire, quando è la fucina dei peggiori pregiudizi, delle più incredibili meschinità. Un mondo formato esclusivamente sul denaro. Se domani accoltellano il mio amico senegalese non ne parla nessuno. Se feriscono il ricco bergamasco ci sono le prime pagine dei giornali a raccontare l'atrocità di un fatto del genere.

Torniamo a te.

Torniamo a me, sì, al mio arrivo nel Nord. La prima settimana mi sono regolarizzato, ho cambiato domicilio e svolto tutte le pratiche, la seconda ho fatto colloqui, e la terza ho iniziato a lavorare.

I colloqui come sono andati?

Nelle agenzie interinali. Le solite domande, le solite risposte. Ho dato la disponibilità assoluta a qualunque lavoro. Così ho trovato occupazione in un negozio di computer, con un contratto per una settimana.

Una settimana?

Sì. Io non lo sapevo, ma il padrone mi aveva preso dall'agenzia interinale per occupare il posto di uno che sarebbe dovuto arrivare e poi non è arrivato. Per questo motivo il contratto è stato rinnovato ed è durato un paio di mesi. Nel frattempo mi hanno chiamato per un altro colloquio, questa volta ottenuto senza la mediazione delle agenzie interinale, perché avevo capito cosa sono le agenzie interinali…

E cosa sono?

Capolarato. A Napoli sappiamo bene cos'è, il capolarato. Con l'agenzia interinale, e con il capolarato, che sono la stessa cosa, solo che la prima è legale, il datore di lavoro sparisce. Esiste solo perché mi dice cosa devo fare, ma tra di noi non ci sono rapporti. I rapporti con i padroni li tiene l'agenzia interinale. Insomma, sei merce umana in prestito. Una schifezza assoluta. L'elezione della precarietà a sistema di vita. Ma ti stavo dicendo del mio lavoro successivo.

Che era…

Operaio. In una fabbrica. Con tutte le difficoltà di chi non ha mai lavorato in fabbrica. La categoria nella quale sono stato assunto era "tipografi e affini".

Come ti sei trovato?

Sul piano umano?

Sì.

Un disastro. Una grande ignoranza dilagante, a tutti i livelli. Parlo dei miei colleghi. Gli argomenti erano sempre ed esclusivamente calcio, figa, motociclette e televisione. Mai nient'altro. Non che mi illudessi di trovare una coscienza operaia tipo Anni Settanta, ma il pensiero comune, estremamente forte, era: «Viva il padrone perché è grazie a lui che riesco a vivere». Ed io replicavo.

Che cosa?

Che era il padrone a vivere del nostro lavoro!

E loro?

E loro alzavano le spalle. Alcuni di loro erano berlusconiani. Altri leghisti. Ma nella maggior parte assolutamente qualunquisti.

E cioè?

Non credevano più a nulla. Nulla. L'idea fissa era che è tutta una ruberia, e quindi fanno bene i padroni e i politici a rubare, e che noi non lo facciamo solo perché non lo possiamo fare. Se non fossimo poveri, saremmo ladri. La stima per Berlusconi, ad esempio, era molto, a modo loro, consapevole. Era stimato non malgrado i suoi processi, ma proprio per quelli! Berlusconi incarna l'italiano furbo, che ha fregato tutti! E' quindi un modello da imitare, la realizzazione del sogno italiano, di un certo tipo di sogno italiano.

Che bel panorama!

Mammamia! Per me, poi, che durante gli studi superiori, durante la prima Guerra del Golfo, i movimenti universitari, Tangentopoli, avevo vissuto almeno per un attimo l'illusione di un bisogno collettivo di cambiamento. Ma era tutto fasullo. Ad esempio Tangentopoli…

Tangentopoli?

E' stata un'ubriacatura, dopo il rimbambimento collettivo degli Anni Ottanta. Il berlusconismo è il frutto perfetto degli Anni Ottanta. Tangentopoli è stata una reazione istintiva, animalesca, contro i politici che per anni e anni li avevano presi per il culo, ma come ogni reazione solo animale, dopo le prime batoste reali, si sono rimessi tutti quanti in riga, tutti da bravi. Non basta un lancio di monetine a Craxi per cambiare la qualità di vita di una nazione. Non basta nemmeno creare un capro espiatorio. Quando poi le stesse persone, in una certa parte, che inneggiavano al crollo di Craxi sono quelle che poi hanno votato il suo rampollo, Berlusconi.

Mi sembri molto amareggiato.

E vorrei vedere. Mi terrorizza la filosofia di fondo che oggi domina. Un eterno presente immutabile. Un presente di insicurezze e soddisfazioni immediate. Attraverso la droga della televisione, che ne trasmette le virtù oppiacee.

Non c'è scampo?

C'è. Ma va cercato, guadagnato e mantenuto lottando con i denti per non perderlo, giorno per giorno, in questo paradiso marcio di telenovele e giochi a premi. Un modo per fare gruppo, per discutere di realtà alternative, e per viverle, è internet. Un sito a cui partecipo, e che mi sembra molto sensibile a delle esigenze reali di cambiamento, è il newsgroup "Cultura antagonista", o il sito www. fuoriradio. com. In questi contesti c'è un bello scambio di idee e di esperienze. Ma sono veramente situazioni alternative. Opposte alla convinzione generale.

Qual è, la convinzione generale?

La convinzione generale è che questo è l'unico mondo possibile, che non ce n'è mai stato un altro e mai ci sarà. Una volta un mio collega mi ha detto: «Io sono leghista perché è leghista mio padre e anche mio nonno lo era. La mia famiglia è leghista da sempre». Sempre… Boh. Galleggiando giorno per giorno su una realtà che nessuno crede davvero possa cambiare. Una totale arrendevolezza allo stato delle cose. La certezza che nulla cambierà mai.

Non ti è mai venuta la voglia di mollare tutto, di adeguarti agli altri?

Di alienarmi del tutto no. Ho avuto dei momenti di stanchezza. E li ho. Ma ho anche un cervello e un cuore. E perfino i piccoli cambiamenti, ad esempio tornando alla realtà della fabbrica, possono essere grandi soddisfazioni. In fabbrica, qualcuno, in tre anni, sono riuscito a convincerlo della realtà. Man mano, con il tempo, in due siamo riusciti a creare un movimento sindacale in una ditta dove non c'era nessuna coscienza. Anzi, vivevamo nella venerazione del padrone. Il ritornello era sempre quello: «Bisogna essere grati al padrone perché senza di lui non mangeremmo, senza di lui non potremmo comprare i telefonini», e via di questo passo.

E il padrone chi era?

Un figlio di papà che veniva al lavoro con la Ferrari. Un ragazzino viziato. Veniva lì e ci rimproverava, ad esempio perché c'era una luce accesa di troppo, e ci ricordava che era grazie a lui che vivevamo. Nell'adorazione dei miei colleghi.

Quanto guadagnavi?

Con gli straordinari, con molti molti straordinari, mille euro al mese.

Con l'affitto, le bollette, la macchina da pagare e mantenere. A fine mesi non ci arrivo mai. Ma proprio mai.

Com'era la tua situazione contrattuale?

In perenne movimento. Prima con un bel contratto interno di sei mesi, che è stato di seguito rinnovato due volte, poi con varie scuse mi hanno riassunto ancora due volte tramite agenzia interinale, sempre per sei mesi, poi ancora sei mesi da interno e alla fine è arrivata l'assunzione a tempo indeterminato. Anche perché avevano capito che, a quel punto, se non mi assumevano davvero avrei fatto una vertenza e finivano davvero nelle grane. Nel frattempo, però…

Cosa era successo?

Ero diventato Rsu. La Cgil mi ha nominato e questo ha rafforzato la mia posizione, anche dopo due anni e mezzo di lavoro. Anche se, appena mi hanno assunto a tempo indeterminato, ho iniziato a cercare altrove.

Dove?

Mi piacerebbe andare a Bologna, a lavorare in una sala d'incisione. Sono una persona piuttosto inquieta. Il contatto con il mondo della fabbrica mi ha portato a studiare, ad avvicinarmi alla politica, ed in particolare a Rifondazione. Ma fin dall'inizio mi sono reso conto di una cosa.

Che cosa?

Che chi oggi deve quotidianamente affrontare il dramma del lavoro non ha il tempo materiale di occuparsi di politica. Solo pochi ci riescono. I più volenterosi. Alla fine, alle manifestazioni, alle riunioni, siamo sempre le stesse persone. Una piccola tribù che purtroppo alla fine si parla addosso. E capisco anche per quale motivo. Non essendoci oggi nessuna sicurezza, nessuna stabilità nel mondo di lavoro, come si fa ad occuparsi di politica. Anche volendo, dico, come si fa?

Non lo so.

Ecco. Questa è una questione seria. Davvero molto seria. A fare carriera, anche nella Sinistra, sono quasi sempre i quadri di partito. I nullafacenti. I ragazzini figli di papà iscritti da dodici anni all'università. Chi più ha bisogno di fare attività politica meno riesce a farla. Se, come molte persone che conosco, lavori quattordici ore al giorno per tirare avanti, senza nessuna prospettiva a medio o lungo termine, e non trovi neanche il tempo per fare l'amore con la tua fidanzata, come fai ad occuparti di politica?