Maurizio Garino
Marco Revelli - 10-01-2005
Maurizio Garino - scrive Marco Revelli - era nato a Ploaghe (provincia di Sassari) il primo novembre 1892. Aveva quindi 82 anni nella primavera del 1975, quando gli feci una lunghissima intervista (12 ore circa di registrazione, divise in quattro incontri) sulla sua storia di anarchico a Torino. Vi raccontava gli anni cruciali della sua vita, quelli che vanno dal 1909 - l'anno della grande mobilitazione operaia contro la condanna a morte, in Spagna, dell'anarchico Francisco Ferrer - al 1922, l'anno della conquista del potere da parte del fascismo e della strage di Torino, nel dicembre, quando gli squadristi di Brandimarte assassinarono il segretario della Camera del lavoro, Pietro Ferrero, e altri militanti operai. In mezzo, tutte le tappe storiche di quel ciclo sociale: la lotta contro la guerra di Libia, i grandi scioperi autonomi degli operai dell'auto nel 1911, la settimana rossa, la guerra mondiale e l'insurrezione del 1917, l'occupazione delle fabbriche, quando Garino collaborò con Antonio Gramsci e con Giovanni Parodi nella direzione del movimento. E naturalmente la Scuola Moderna, fondata a Torino nel 1910, sul modello tracciato, appunto, da Francisco Ferrer, e diventata (come si racconta nel brano qui riprodotto) il centro motore della formazione culturale e umana del folto gruppo di lavoratori che fu protagonista di quel tratto, decisivo, di storia del movimento operaio che ebbe Torino epicentro. Essa costituisce un significativo esempio di socializzazione autonoma e antagonistica, realizzato attraverso la costruzione di uno spazio pubblico non statuale da parte di un soggetto collettivo - l'operaio di mestiere, ancora oscillante tra le proprie origini artigianali e il proprio destino industriale -, che intendeva esercitare così il controllo sulla propria formazione non solo professionale, ma umana e politica nel senso più ampio, contendendo il terreno all'altro grande modello culturale allora egemone, quello cattolico. L'accelerato processo di nazionalizzazione delle masse innescato dal fascismo, e il parallelo processo di statizzazione dell'educazione realizzato col monopolio culturale della scuola pubblica, assorbiranno e cancelleranno quell'esperienza, ponendo fine alla "kulturkampf" - chiamiamola così: al conflitto culturale per l'egemonia formativa - tra socialisti e cattolici. Il terreno della "scuola" risulterà per questa via "neutralizzato" rispetto alle consolidate identità di classe, inaugurando l'epoca in cui dimensione pubblica e dimensione statale dei processi educativi finiscono per coincidere. Il che farà guadagnare, non c'è dubbio, in universalità, ma determinerà una brusca caduta sul piano delle autonomie sociali. Gli uomini come Garino, che abitavano con dignità, orgoglio e indipendenza le barriere operaie, i grandi quartieri della periferia torinese, come si abita una "patria", diventeranno sempre più rari.

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