Dentro la notizia
Anna Di Gennaro Melchiori - 08-01-2005
Segnalo da Tuttoscuola

Maremoto, insegnanti ne parlino a scuola

Parlarne ma soprattutto far parlare loro, i più piccoli, dell'immane tragedia che ha sconvolto il sud-est asiatico, a cui hanno assistito attraverso le immagini proposte dai media, che certamente possono averli traumatizzati, scatenando in loro ansie e paure come quella del mare. Alla vigilia della riapertura delle scuole dopo la lunga pausa natalizia purtroppo contrassegnata dalla catastrofe di Santo Stefano, è questo il compito che spetta agli insegnanti che, al fianco dei genitori, devono aiutare, attraverso il dialogo, i bambini a far emergere ed elaborare la tragica esperienza che, seppure vissuta indirettamente, li ha comunque segnati. Su questo sono d'accordo gli esperti.

Sui banchi, come a casa, la questione va affrontata, secondo Piero Lucisano, professore di pedagogia all'università La Sapienza di Roma, e Maria Rita Parsi, psicologa e presidente della "Fondazione Movimento Bambino". "Sicuramente a scuola gli insegnanti - ha spiegato Lucisano - devono parlarne ma soprattutto far parlare i bambini cercando di aiutarli a rielaborare l'esperienza, la paura e l'ansia (le immagini del mare che si solleva e porta via ogni cosa possono scatenare nei più piccoli per esempio la paura del mare) e a stimolare in loro un atteggiamento positivo nel senso che loro stessi possono contribuire nel proprio piccolo a fare qualcosa di utile". Devono, ha aggiunto, "aiutarli ad esprimere, a tirar fuori quello che hanno percepito e poi tentare, per quanto possibile, di rassicurarli, spiegando che è possibile ricostruire, collaborare. Ma allo stesso, gli insegnanti - ha sottolineato - devono però stare attenti a non riproporre il loro vissuto d'ansia e astenersi da letture apocalittiche o moralistiche". Certamente, secondo il pedagogista, "il modo in cui è stata illustrata la tragedia nei media non ha tenuto conto dei traumi che poteva provocare nei bambini. Loro, per quanto abituati ai film, questa volta si sono trovati di fronte alla realtà... Ad un evento che a volte è stato anche spettacolarizzato". "Uno studio svolto in seguito alla strage in una scuola americana - ha proseguito Lucisano - ha dimostrato come i bambini che vi hanno a lungo assistito sono stati solo di poco meno traumatizzati dei bambini che invece hanno vissuto l'esperienza. Molto traumatici sono poi anche i messaggi dei bambini rapiti, sfruttati. Il rischio è che si crei una paura generalizzata nei confronti del mondo degli adulti".

Parlare di quanto accaduto nel sud-est asiatico è un compito che spetta "con serenità e attenzione anche agli insegnanti", ha detto Parsi, spiegando che sono "infinite le paure scatenate nei bambini da questo tragico evento. Faranno bene a parlarne e a lavorare su questo. Molti bambini hanno sofferto, molti sono rimasti impressionati, molti si sono coinvolti in quanto hanno visto. Il trauma indiretto non è da sottovalutare. Molti sono rimasti traumatizzati dalle immagini". Con quali conseguenze?

"Lo scatenarsi di grandi ansie, incubi notturni, paura del mare", ha risposto la psicologa, sottolineando "l'effetto mediatico: i bambini sono passati dagli scenari di guerra, massacri e decapitazioni causati dall'uomo che hanno segnato tutto il 2004 alle scene dello tsunami, all'orrore generato dalla natura. Scene di devastazione e morte portata dalla furia dell'acqua". A suo parere, "la scuola è il luogo-ponte tra la famiglia e la società", ha detto ricordando l'esperienza della bambina inglese che di fronte al sopraggiungere della tragedia, ricordandosi di una lezione di geografia a scuola, ha dato l'allarme e salvato molti turisti sulla spiaggia a Phuket.

"Solo la scuola, insieme ai genitori - ha concluso Parsi - può dare gli strumenti giusti, essere il mezzo che più formidabilmente aiuta ad avere un rapporto con la società positivo. Deve esserci una grande alleanza docenti-bambini".

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 Virginia Mariani    - 08-01-2005
Il 7 gennaio, dopo i consueti saluti di benvenuto, ho proprio iniziato così: "Come voi stamattina ho attraversato il cortile dell'edificio scolastico sperando di aver sbagliato il giorno del rientro: che fatica ricominciare!
Quante volte, poi, pensiamo che la Scuola non serva a nulla o sia sbagliata (da prospettive diverse e con considerazioni molto differenti, in verità) e, invece, non so se avete saputo che proprio grazie a un argomento studiato in classe una bambina ..."
Alcuni sapevano, altri hanno ascoltato quasi con rapimento.
Schiava dell'obiettivo "Farli innamorare della Scuola e dello Studio", non ho chiesto di esprimere le proprie emozioni e riflessioni sull'accaduto, ma la mia terza media esuberantemente vivace com'è non avrebbe mancato di dire la propria, nel caso l'avesse avuta. La mia impressione è che l'avvenimento è troppo lontano, così come le guerre, la fame e la povertà: siamo al sicuro noi!
E ci andiamo a vedere "Christmas in love" completamente dimendichi/e, fra l'altro, che questi giorni abbiamo avuto la gioia immensa di non frequentare le tediose lezioni perchè siamo cristiani/e.

 ilaria ricciotti    - 09-01-2005
Cari insegnanti, cari studenti, se leggerete l'ultimo numero di il forasacco spero accogliate l'invito di creare, tramite le organizzazioni presenti in quei territori, dei gemellaggi con gli studenti che hanno vissuto la terribile tragedia dello tsunami. Lo spero tanto, perchè penso proprio che ciò arricchisca tutti, oltre che fare del bene.
I ragazzi, cari docenti, nella maggiorparte dei casi sono molto recettivi e sensibili a certe problematiche!Spetta a voi dare il "la", "cercare il tempo e non trovarlo"-come qualcuno ha scritto!!!!!!
Questo mio intervento vuole essere un passaparola, affichè le scuole italiane si attivino per stabilire questi rapporti di collaborazione e di aiuti con chi è stato sfortunato e, purtroppo continua ad esserlo.
Per aver dei contatti vi farò sapere nella rubrica a chi potremo rivolgerci.
Credo nella sensibilità degli studenti ed anche nella voglia, presente in molti di voi, di fare scuola in modo diverso.
Chi volesse fare proposte o porre domande, è pregato di scriverle nei commenti di "il forasacco".

 CROCI PIERA    - 09-01-2005
sono d'accordo nel parlare a scuola dello tsunami, anzi di far parlare i bambini per capire le loro ansie , ma io insegno in una prima elementare per cui sono preoccupata e vorrei trovare le parole giuste per aiutarli un pochino almeno a superare le loro paure e soprattutto far nascere in loro molto piccolo la solidarietà.
gradirei avere qualche suggerimento.
grazie per la collaborazione

 Gianni Mereghetti    - 09-01-2005
Lettera aperta al Ministro Moratti

Gentilissimo Ministro Moratti,

ho apprezzato il suo suggerimento affinché al ritorno a scuola dopo le vacanze di Natale si parli della tragedia che ha devastato le coste del sud-est asiatico.

E’ giusto che la scuola, o meglio chi vive dentro la scuola, si assuma in modo libero la responsabilità di portare con il giudizio e la solidarietà un fatto grave come la catastrofe provocata dallo Tsunami. Mi permetta però una nota alla sua ragionevole indicazione. La questione di fondo che questa tragedia ha aperto in noi non è innanzitutto di tipo psicologico; è la domanda sul destino che si è sprigionata dalle spiagge colpite in modo così violento ed improvviso dal maremoto.

Assumere questa domanda mi pare essere il primo compito di chi sta a scuola. Del resto da più parti e in modi diversi in questi giorni è stata la questione del senso della vita ad essere affrontata, e spesso collegata all’affermazione o alla negazione di Dio.

Lo Tsunami si è abbattuto su di noi, sulla nostra fragilità, che prima di essere psicologica è esistenziale, sulla nostra debolezza, figlia di una cultura in cui si parla di tutto fuorché del perché si viva, si soffra, si studi, si lavori. Educare è fare in modo che di fronte alla realtà abbia voce la domanda più semplice, quella del destino dell’esistenza umana. Tanto più in una occasione così drammaticamente eccezionale vale questo principio elementare dell’educazione.

E’ una domanda radicale quella che la catastrofe dello Tsunami suscita, una domanda che va al cuore della vicenda umana e alla quale non potrà dare risposta la scuola, ma solo chi in essa vive. Per questo motivo il suo suggerimento lo potrà raccogliere solo la nostra libertà di insegnanti e di studenti, una libertà che ci porti a mettere in gioco non tanto argomentazioni intellettuali o psicologiche, quanto la speranza che tesse il nostro appassionato impegno con la vita.

Educare è infatti possibile per una speranza di cui si fa esperienza quotidiana e da cui scaturisce la certezza di una positività ultima della vita, quella del Mistero Buono che fa tutte le cose e che soccorre l’uomo dentro le condizioni più difficili, impedendo che lo trascinino nel vortice del nulla.

La solidarietà che in questi giorni ha avuto un flusso dirompente e che dentro la scuola potrebbe avere ulteriori esempi, è il segno significativo e commovente di questa positività, più forte di qualsiasi catastrofe, perché non dall’uomo è generata, ma da un Dio che non è insensibile al grido dell’uomo, anzi gli è vicino con la "Sua Presenza amica" e vi risponde in modo sorprendentemente efficace.

La ringrazio per l’attenzione.

Gianni Mereghetti
Insegnante al Liceo Scientifico Pascal di Abbiategrasso