breve di cronaca
Un buon sondaggio nasconde tutto
l'Unità - 06-01-2005
Anno nuovo, sondaggi vecchi. È quasi una persecuzione ormai, quella che ci arriva dalle pagine dei giornali. Ogni giorno siamo informati sulle opinioni, sui desideri, sui gradimenti, sulle conoscenze degli Italiani, e sempre, ovviamente, ciò avviene per via statistica (su campioni “rappresentativi” della popolazione).
Non voglio certo sminuire la fondatezza scientifica delle tecniche demoscopiche, che ha raggiunto livelli estremamente sofisticati (soprattutto in Italia, fra l’altro). Mi sembra, però, che l’eccesso di sondaggi pubblicati dai mezzi di comunicazione di massa rifletta un cattivo costume che ha preso piede nel nostro Paese, e che fra l'altro danneggia anche l'immagine degli stessi ricercatori. Proviamo a ragionarci su.
Primo: la varietà dei temi affrontati li fa spesso apparire del tutto futili. Sapere, ad esempio, se i tifosi amano di più Capello o Lippi, se i maschi adulti preferiscono la Bellucci o la Littizzetto, se le signorine sono incantate più da Bova o da Keanu Reeves è di totale irrilevanza. Tutti sono liberi di apprezzare una simile informazione, certamente. Ma la conseguenza è che l'insieme dei sondaggi viene declassato al rango di pura curiosità, quando, invece, la statistica sociale dovrebbe servire a mettere in luce dei dati quantitativi di base, per poi analizzarne le cause qualitative, ed eventualmente agire di conseguenza.
Secondo: il risultato nasconde spesso il metodo. I sondaggi vengono pubblicati non già come orientamento probabile della popolazione, ma come fotografia della realtà. Così, è sufficiente mostrare una qualche tabella per affermare l’evidenza di uno stato dei fatti. Salvo gridare allo scandalo quando la verifica non corrisponde alla previsione. Basti ricordare che perfino durante le ultime elezioni americane a una certa ora della notte sembrava che Bush avesse perso, ed era accaduto il contrario. Ma non si possono utilizzare gli incidenti per incolpare i ricercatori. Non sono loro, infatti, la causa del fenomeno, bensì la scarsa chiarezza sui metodi impiegati per l’analisi. Non a caso a volte si spacciano per sondaggi anche i semplici contatti telefonici casuali, come accade in televisione, o ricerche condotte su campioni insufficienti, o su questionari con le domande che contengono implicitamente le risposte, e così via.
Terzo: l’immagine di “verità oggettiva” nasconde la manipolazione. In molte occasioni, l'uso che si fa dello strumento è davvero intollerabile. Infatti, è spesso a scopo persuasivo: l'etnometodologia (che è una scienza sociale anch’essa) ci insegna che esiste il fenomeno della profezia che si autoavvera per il semplice fatto di essere stata annunciata, o che si contraddice automaticamente per il fatto di essere stata suggerita. Esempio del primo tipo: un candidato a elezioni presidenziali viene dato costantemente in testa dai suoi supporter; vince le elezioni per generale spirito di adeguazione (vedi il recente ballottaggio in Ucraina). Esempio del secondo tipo: si annuncia che alle elezioni un candidato neonazista è in testa nelle previsioni di voto; costui perde, perché votano per partiti più regolari anche coloro che, nella circostanza, ne sarebbero delusi (vedi l’ultima affermazione di Chirac in Francia).
Quarto: il risultato nasconde spesso il problema. Voglio illustrare questo punto con una battuta: due persone mangiano un pollo, e per la statistica hanno mangiato mezzo pollo a testa; solo che non sappiamo se il pollo se lo sono diviso, oppure se lo ha divorato uno solo e l'altro è rimasto digiuno, e se il digiunante è più ricco o più povero, uomo o donna, adulto, anziano o bambino, forte o debole. So bene che i sondaggi prevedono la “distribuzione” del contenuto per classi di geografia, età, sesso, istruzione, ricchezza e quant’altro. Rimane però il fatto che il risultato tende a essere lui l’obiettivo, e non il mezzo per arrivare alla conoscenza della realtà. Esempio: se per caso, dopo un efferato fatto di sangue, la popolazione asserisce di essere a favore della pena di morte, occorre favorire una legge in tal senso, o bisogna invece capire perché quell'opinione esiste, e come far cambiare idea alla gente?
Insomma, la mentalità che si crea attraverso la sopravvalutazione dei sondaggi può anche essere devastante. A mio modesto avviso, attualmente in Italia stiamo attraversando un periodo caratterizzato proprio da questo. Le forze politiche - ma in particolare quelle governative - tendono ormai a formulare proposte solo sulla base di presunte credenze della popolazione, senza pensare che la politica è invece progetto (e non necessariamente coincidente con idee maggioritariamente diffuse). È senza dubbio maestro in questa tecnica Silvio Berlusconi, e la riprova consiste nel fatto che spesso ha pronunciato affermazioni poi contraddette dai fatti: ma non si trattava di boutade, bensì di esplorazioni; visti in seguito i sondaggi, o tornava indietro o avanzava nuovi schemi di comportamento. Quanto al fatto di nascondere i problemi, poi, il sondaggio può risultare decisivo. In questi giorni emerge, ad esempio, che il presidente del consiglio supera altri personaggi politici nel gradimento popolare. Buon per lui, ovviamente. Tuttavia, la statistica nasconde due cose: che un candidato del centrosinistra per propria natura è per l'appunto un candidato, e non un leader carismatico; e che Berlusconi, con una efficientissima e ossessiva presenza in tv, ha compiuto di questi tempi un investimento “di prodotto” che dà i suoi normali risultati. In campagna elettorale, le cose non starebbero affatto allo stesso modo (sempre che ci sia parità di condizioni). I due esempi che ho citato testimoniano però anche di due lacune lasciate (o provocate) dai sondaggi: nel primo caso, che la politica è oggi senza programma e senza progetto; nel secondo, che non abbiamo una informazione televisiva equa. In entrambi i casi viene da chiedersi: quando i nostri uomini politici smetteranno di fare i notai dell’opinione pubblica, e ricominceranno a esserne gli interpreti?

Omar Calabrese
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