Ora e sempre Croce Rossa
Emanuele Giordana - 04-01-2005
Parte per il Sud dell’Asia l’operazione Cri. Con tre ospedali da campo



C’è un’operazione Iraq2 nel futuro della Cooperazione italiana. E soprattutto nel futuro dell’Asia del Sud. Un futuro che, ancora una volta, porta il nome di Maurizio Scelli e le insegne della Croce rossa italiana. Stando a voci ufficiose raccolte in ambienti diplomatici, l’organizzazione diretta dal commissario straordinario, che nel dopoguerra iracheno suscitò un mare di polemiche per la scelta di creare un ospedale da campo a Bagdad, intende ripetere il suo modulo operativo in Indonesia, Maldive e Sri Lanka. Ufficialmente la Cri non conferma, anche perché non c’è ancora un avallo diretto della Farnesina che, almeno ufficialmente, ha il coordinamento della task force italiana, ma i giochi sembrano fatti. Un team di esperti, in maggioranza della Cri e dove figurerebbe solo qualche responsabile dell’Istituto superiore di sanità e del ministero degli esteri, sarebbe in partenza già oggi per capire dove impiantare gli ospedali e con quale tipo di struttura. Certo non si tratterà della roboante operazione messa in piedi a Bagdad dal costo iniziale di 7 milioni di euro erogati dalla Farnesina. Anche perché di soldi non ce n’è.
Nel comunicato con cui il ministero ha cercato di chiarire dove reperirà i settanta milioni di euro promessi dal governo si scopre infatti che gli unici milioni “veri” e non virtuali sono circa 4. Che, a quanto sembra di capire, finiranno nelle tasche della Cri, diventata ormai la bandiera della nostra cooperazione all’estero. E le Organizzazioni non governative cui Scelli nel suo intervento di venerdi scorso alla Farnesina ha promesso gioco di squadra?

Resteranno in panchina, si dice ridacchiando nei corridoi della Direzione per la cooperazione allo sviluppo che, sia detto per inciso, sta spendendo un po’ meno (3,5 milioni) dell’equivalente offerto ai paesi disastrati per ristrutturare i suoi uffici al quinto piano del ministero. Quanto agli altri 66 milioni che mancano all’appello, il ministero ha messo in piedi una classica partita di giro contabile, sommando i debiti da condonare ai paesi verso cui vantiamo crediti e quelli che dovranno essere erogati dall’Unione europea (in parte certamente italiani).
Per fortuna i soldi arriveranno da altre parti. Ci sono 23 milioni raccolti via sms dal buon cuore degli italiani che sembrano però destinati alla Protezione civile “che non se li sfarà sfilare”, sentenziano alla Farnesina. E poi i soldi che le regioni e i comuni spenderanno nei paesi disastrati. Anche in India, nonostante il governo di Delhi abbia detto di non voler nessun aiuto. In realtà i governatorati locali hanno fatto sapere che accetteranno volentieri di esser aiutati. Al momento la parte del leone la farà Colombo, l’unica capitale che ha aperto le porte a tutti. Più difficile l’Indonesia, dove i militari hanno fatto capire che la gestione sarà unicamente locale attraverso i 55mila soldati (altri 15mila sono stati infatti appena inviati) che ormai compongono l’operativo nella provincia ribelle.

L’Italia è dunque ancora in stato confusionario, uno stato per altro non molto diverso, se la cosa può consolare, da quello in cui versano anche altri paesi. Non è una novità ad esempio che in Gran Bretagna, privati e Ong abbiano incassato più soldi del governo obbligando Blair a rilanciare. Ma in Italia non si sa bene chi gestirà cosa: Farnesina, come si dice, o Protezione civile come appare sempre più evidente? E se li gestirà la Farnesina, viene da chiedersi, come mai un così risicato manipolo di esperti viene inviato in missione all’estero? Tra i tecnici del ministero c’è malumore. Nessun sembra far più conto sulla decennale esperienza accumulata dai nostri esperti cui il governo sembra sempre più preferire le improvvisate di Scelli. Molte cose del resto stanno cambiando in questo settore chiave per la nostra politica estera e il nostro buon cuore umanitario. E’ di questi giorni la notizia che ad Herat gli uffici della cooperazione andranno a integrarsi nella struttura militare. Sul modello americano, chiariscono alla Farnesina, perché ciò semplifica gli aspetti logistici. Una cosa che, certamente, non sarà necessario spiegare ai soldati indonesiani che ad Aceh già stanno lavorando così.

Emanuele Giordana


Lettera 22


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 l'Unità    - 06-01-2005
Ong in rivolta: «Il governo è incapace»

ROMA Si naviga a vista, la bussola chissà dove è finita. L’unico punto fermo è che i fondi «raccolti per aiutare le popolazioni del sud est asiatico saranno gestiti dalla Protezione civile», come ha detto ieri il vicepremier Gianfranco Fini cercando di rassicurare un inedito Guido Bertolaso che ha posto paletti chiari, deciso a non farsi passare le decisioni sulla testa. Per il resto niente di certo. Le Organizzazioni non governative dopo 11 giorni di silenzio sono stanche. «Non è decoroso apprendere dai giornali - dice Sergio Marelli, presidente dell’associazione delle Ong italiane - che ci sono polemiche sulla gestione dei fondi». E sono costrette a registrare un fatto: il governo non ha dato un solo euro per gli interventi che stanno facendo nelle zone colpite dallo tsunami. Chi è andato lo ha fatto a spese proprie. E molte organizzazioni si sono mobilitate già all’indomani della catastrofe. In Italia, invece, il governo discute su chi deve gestire i fondi e gli aiuti.

Presidente, è soddisfatto di quanto ha detto Fini?

«Diciamo che leggendo le agenzie quello che finalmente viene fuori in maniera chiara è che sarà la protezione civile a gestire i fondi donati dagli italiani. Noi, però, restiamo ancora in attesa di capire chi gestirà i fondi pubblici».

Se fosse il Capo della Croce rossa, Maurizio Scelli?

«Noi non entriamo in queste discussioni politiche. Registriamo fatti: uno di questi è che domani (oggi per chi legge, ndr), partirà una missione composta dalla Direzione della Cooperazione internazionale, dall’Istituto Superiore di Sanità e dalla Croce Rossa Italiana».

Voi chiedete chiarezza e trasparenza nella comunicazione. Risultati?

«Finora nulli. Abbiamo chiesto un coordinamento e uno scambio di notizie continui e ci troviamo ad avere incontri ogni 10 giorni, non mi sembra un buon risultato. Ancora oggi, a quasi due settimane dal maremoto, resta un mistero con chi parlare. Non era mai successo. Chiediamo a questo governo un’assunzione di responsabilità: ci facciano sapere formalmente a chi intendono assegnare la cabina di regia degli aiuti italiani, dopo di che saputo questo e conosciute le condizioni prenderemo una posizione».

Come dovrebbe essere composta questa cabina di regia?

«Innanzitutto non dovrà essere caratterizzata da una gestione governativa dei fondi. Non accetteremo un’altra missione “Arcobaleno”, per intenderci. Kofi Annan è stato chiaro: ha invitato i governi a devolvere i fondi alle Ong e alle agenzie dell’Onu. Nei paesi colpiti da questa enorme tragedia ci sono governi che non garantiscono i diritti umani, non si possono mandare a loro i fondi. Questa cabina di regia, inoltre, dovrà avere uno strettissimo rapporto a livello internazionale con l’unico coordinamento possibile che è quello delle Nazioni Unite. Per far questo l’Onu deve essere messa in grado, con risorse e deleghe chiare, molto più forti di quelle attuali, di assumersi la responsabilità di coordinare la più grande azione umanitaria mai effettuata».

Crede che il governo italiano sia all’altezza di questo compito?

«Per ora vedo due fatti: il primo è il forte ritardo nella gestione di questa situazione, anche per la comunicazione trasparente nei confronti dei cittadini che hanno contribuito alle raccolte di fondi. Credo sia un loro diritto sapere in quali aree e per quali progetti andranno. Il secondo fatto, che mi fa credere che il governo non sia all’altezza della situazione, è che ancora non sono stati stanziati finanziamenti, ad eccezione di qualche briciola, prelevandoli dal denaro pubblico. Non si può pensare di affrontare questa emergenza ricorrendo unicamente alla solidarietà privata. Siamo ad un livello di stanziamenti inferiori a quelli già decisi dal Belgio, uno stato molto più piccolo del nostro e che non fa parte neanche parte del G8. Con gli altri paesi G8, invece, siamo a rapporti da 1 a 30».

Lei ha chiesto il 31 dicembre, durante un incontro con il governo, di rivedere la Finanziaria. Cosa le è stato risposto?

«Nulla. Purtroppo questa è un’altra delle questioni che non ha avuto risposte. L’entità della catastrofe è tale per cui un intervento adeguato e dignitoso del nostro governo impone una revisione dei fondi stanziati. Già in condizioni diciamo «normali» è a dir poco ridicolo destinare lo 0,11% del Pil, come fa l’Italia, per gli aiuti umanitari. Figuriamoci in una situazione come questa».

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