breve di cronaca
Dietro la notizia niente
L'Unità - 28-12-2004
Qualcosa di immenso è accaduto nel mondo e il mondo non sembra essersene accorto. È stato veloce ad afferrare l’evento con le braccia automatiche delle notizie. Come notizia, il maremoto che ha distrutto tutte le coste dell’Asia e ha fatto, ormai si dice quasi ufficialmente, centomila morti, è una straordinaria notizia che ha tutto per essere trasmessa e ritrasmessa, stampata e ristampata: la quantità immane di distruzione, la corsa della morte in sequenza da un punto all’altro del mondo, con il brivido della differenza di tempo, che rende possibile immaginare, con orrore, ma anche con il senso della grande avventura, il prima e il dopo.

È una sorta di straordinaria sequenza narrativa capace di creare - come ha detto un sopravvissuto italiano al Tg 3 la sera di martedì - “una sorta di euforia di cui poi ti vergogni”. Il momento è straordinario per il tsunami perché le migliaia e migliaia di chilometri quadrati distrutte dal mare, la distesa di cadaveri che si vede in ogni inquadratura, in ogni fotografia, irrompono su schermi e giornali mentre finisce l’anno e c’è un vuoto di notizie. Inutile fingere: questa è la notizia dell’anno, forse dei prossimi dieci anni. È la notizia, non la coscienza di ciò che è veramente accaduto, a imporre tanto spazio e tanta attenzione. Infatti, dietro la notizia niente.

Niente governi, niente organizzazioni internazionali, niente di grande, non dico grande come l’evento, che è impossibile da fronteggiare in dimensioni proporzionate, ma almeno grande come sforzo organizzativo, come impegno annunciato, come dimensione del danaro e dei mezzi disponibili, come mobilitazione di parlamenti, di assemblee generali, di eserciti.

Dal mondo ciascuno - tra i Paesi che possono - provvede a far tornare i suoi cittadini. È urgente, è giusto. Ma il grido di un gruppo di missionari che ieri dalla Tailandia ha detto: «Vi prego non pensate solo ai turisti» è andato perduto. Ci dicono che la protezione civile italiana ha avuto dall’Europa l’incarico di coordinare tutta l’attività dell’Unione Europea. Sappiamo che la protezione civile italiana lavora bene. Ma l’incarico - se esiste - ci dice il limite posto alla missione: aiutare gli europei (non solo gli italiani) a tornare a casa. Ci fa onore, vuol dire che i voli speciali funzionano bene. Ma ci dice il vuoto. Per l’Indonesia e la Tailandia, per India, per Bangladesh e Sri Lanka, per migliaia di isole sbattute dal maremoto e semidistrutte dal sisma, non c’è niente, non c’è nessuno.

Per capire quello che dico pensate a un libro, pensate a un film. Centomila morti sono un disastro immenso. Autore e regista troverebbero necessario immaginare una seduta straordinaria del Congresso americano, un soprassalto di tutta l’Europa, politica, istituzioni, imprese. Ci farebbero vedere le sedute di un comitato mondiale di coordinamento mentre dai quattro angoli del pianeta i rappresentanti di tutti gli stati membri vanno al Palazzo di vetro per una assemblea generale straordinaria. Centomila morti in un giorno sono molto più di una guerra, e il Consiglio di sicurezza si convocherebbe in seduta permanente. Banche ed enti finanziari internazionali diventerebbero collettori delle risorse congiunte dei grandi Paesi e dei piccoli Paesi in modo da creare una catena di interventi, di aiuti, di coordinamenti regionali, di missioni speciali, soldati e scienziati, costruttori e infermieri, esperti di ogni tipo capaci di coordinare eserciti di volontari. I volontari ci sono. Ma isolati e con mezzi propri.

Il mondo non subiva da decenni una prova così dura con un esito tanto tragico. Mai prima d’ora, nel mondo moderno, egoismo, indifferenza, distruzione, disattenzione, incapacità di capire (pensate che formidabile guerra al terrorismo sarebbe essere presenti e capaci di aiutare - sia pure a un costo enorme - in tutte le coste distrutte) hanno dato uno spettacolo così grande e così desolante. Arriveranno, al massimo, tanti sms di solidarietà. E un giorno sembrerà impossibile che tutto ciò sia successo. 100mila morti, una grande notizia e nient’altro. Come ha detto il turista italiano salvato: «Prima provi euforia. Poi vergogna».

Furio Colombo

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 Pierangelo    - 29-12-2004
da Repubblica del 29.12.2004

L´AMACA
di MICHELE SERRA

Quando già si conoscevano le dimensioni dell´ecatombe, non è stato gradevole sentire e vedere nei tg i turisti italiani in partenza per quei mari molto preoccupati per lo stato dei loro bungalow, e per l´eventuale rimborso. C´è chi ha perso la vita e chi un biglietto d´aereo, almeno la faccia di circostanza sarebbe stata utile. Nelle prime ore dopo il maremoto, mentre la nostra tv ci rassicurava sulle condizioni di Zambrotta e sul rientro di Paolo Maldini, su Cnn e Bbc andavano in onda solo immagini dall´Asia, proprio come se la tragedia riguardasse soprattutto gli asiatici. Sul satellite si parlava di quei luoghi con familiarità per niente esotica, con una pratica del mondo così poco provinciale, così globale, che cambiare canale era un sollievo. C´è anche un Italia cosmopolita che ha avuto le sue vittime, qualcuno era laggiù per viverci e non per turismo, ma l´informazione nazionale, con davvero poche eccezioni, non è riuscita a collegarsi, se non con grande fatica e ritardo, con lo spirito del mondo. Il lutto italiano è grave e doloroso, ma è appena una goccia nell´oceano di morte che ha massacrato interi popoli: forse un pochino di misura in più, e qualche finestra che si apre nel nostro tinello chiuso, ci avrebbe evitato il sempre più frequente ricorso al satellite, e alle tv estere, per potere fare davvero i conti con una tragedia asiatica.

 Pierangelo    - 29-12-2004
da l'Unità online - 29.12.2004

Fronte del video
La morte in vendita
di Maria Novella Oppo

Resta, anzi cresce sempre di più, la distanza tra le immagini e le parole. Basta togliere l’audio alla tv e si rimane impietriti di fronte al mare di cadaveri che proprio il mare ha lasciato sulla battigia e ai fardelli avvolti nel bianco di mille lenzuola, dai quali escono mani che sembrano ancora cercare la salvezza. Invece le parole sono inadeguate, anche se, certo, saranno sincere. Pure quelle di Giorgino, che dice: «Ecco il momento più drammatico, guardate lì, nel cerchio rosso, un uomo che cerca di resistere alla violenza dall’acqua». Quasi che, se non ce lo dicesse, da soli non sapremmo commuoverci abbastanza. Sarà che nel nostro mondo la sofferenza si consuma come tutto il resto e anche la morte si vende un tanto a inquadratura. Come racconta ai tg un turista toscano di ritorno, che ha visto gente filmare come uno spettacolo i corpi trascinati via. E sono le stesse immagini che ora vediamo anche noi da casa, quelle che arrivano molto più veloci degli aiuti. Dell’acqua, dei farmaci, del cibo e dei soldi che non bastano. Perché l’Occidente è avaro, come ha detto Kofi Annan, ma molto generoso di bombe liberatrici.

 Pierangelo    - 30-12-2004
da l'Unità - 29.12.2004

L’asse terrestre e i media, la pagliuzza e la trave
di Pietro Greco

C’è una notizia sugli effetti globali causati dal sisma di domenica scorsa nell’Oceano Indiano che ieri le televisioni, le radio e molti giornali hanno rilanciato con dovizia di dettagli: gli enormi spostamenti causati dal terremoto avrebbero provocato un riequilibrio della massa terrestre intorno al suo centro di gravità tale da determinare una variazione dell'inclinazione dell'asse virtuale intorno a cui ruota il nostro pianeta e una diminuzione del giorno, ovvero del tempo che la Terra impiega a completare una rotazione intorno al proprio asse.
La notizia è fondata, anche se del tutto preliminare. Il Centro di Geodesia Spaziale di Matera, che è parte delle rete mondiale di telemetria laser, ha infatti confermato che una serie di misure effettuate in sincrono da diversi istituti internazionali sembrano indicare che domenica l'asse terrestre ha modificato la propria inclinazione di due millesimi di secondo d'arco. E il Jet Propulsion Laboratory della Nasa ha confermato di avere indizi per ritenere che la giornata si è accorciata di tre microsecondi.
Diciamolo subito: la notizia, in sé, non è inattesa; è tutta da confermare; non ha e non avrà (a quel che se ne sa) influenza alcuna sulla nostra vita quotidiana.
La notizia non è inattesa, perché la Terra è un sistema dinamico, che cambia in continuazione. Nelle viscere del nostro pianeta masse enormi si muovono in continuazione e in continuazione richiedono un riequilibrio gravitazionale. Cosicché ogni grande terremoto può incidere, in linea di principio, su questo assetto, modificando un pochino l'inclinazione dell'asse di rotazione o la durata della giornata. Si pensa che seicento milioni di anni fa, in seguito a un riequilibrio titanico di masse interne, si sia avuta una variazione dell’inclinazione dell'asse terrestre addirittura di 90 gradi, con il completo ribaltamento del pianeta: cosicché i poli si sono trovati all’equatore e due punti dell'equatore si sono ritrovati ai poli. Nulla di tutto ciò è avvenuto domenica. La variazione è stata cinquantamila volte inferiore. Grande quanto l'angolo descritto dai bordi opposti di una moneta da un euro posta a duemila chilometri da un osservatore. Una variazione che è ai limiti della verificabilità. E che gli scienziati hanno tutta l'intenzione di verificare e più e più volte, prima di darla per avvenuta.
Tutto da verificare è anche l’accorciamento della giornata. Tre microsecondi sono forse al di sotto dei limiti attuali di misura. E, quindi, prima di darlo per avvenuto occorrono nuove, numerose e ben fondate prove.
In ogni caso tutto questo, a quanto ne sappiamo, non ha alcuna possibilità di produrre effetti tangibili sulla nostra vita quotidiana. Non inciderà in maniera misurabile sui cambiamenti del clima o su qualsiasi altro sistema della geofisica terrestre. Neppure, probabilmente, nel lunghissimo periodo. Perché molti ritengono che, per mera casualità statistica, con il succedersi dei terremoti e di altri movimenti di masse, nei prossimi decenni e nei prossimi secoli ci saranno altre variazioni che compenseranno quelle provocate dal sisma di domenica scorsa.
Detta in altri termini: l'oscillazione dell'asse terrestre e l'accorciamento della durata del giorno sono poco più che curiosità scientifiche. Che in altri tempi e occasioni avrebbero a stento rotto il muro dell'attenzione mediatica e avrebbero trovato spazio, al più, nelle pagine scientifiche dei giornali o nei rotocalchi televisivi.
Perché, ieri, sono state date nei titoli di testa dei telegiornali e sono comparse nelle prime pagine dei giornali, soprattutto italiani? Certo molto ha giocato la concitazione del momento. La necessità di riempire a qualsiasi costo pagine e pagine sull'evento del giorno, dell'anno, forse del decennio. Ma molto ha giocato anche quel provincialismo di cui parlava Vincenzo Vasile ieri su L'Unità. Un provincialismo capace, a tratti, di ridurre una tragedia epocale a evento di campanile.
La verità è che il sisma di domenica scorsa ha avuto ben altri effetti globali. Effetti macroscopici. Tangibili. Ma di cui pochi parlano.
Ha mostrato, nel modo più tragico possibile, quanto grande sia oggi il problema dell'accesso ineguale all'informazione e alla tecnologia d'avanguardia figlia diretta della conoscenza scientifica: domenica mattina un quarto d'ora dopo il sisma - grazie a un network di sensori, satelliti, computer e uomini preparati - c'era chi aveva notizie utili sul conseguente maremoto e non ha potuto (non ha saputo) trasmetterle in tempo reale a chi poteva salvare la vita a migliaia, forse a decine di migliaia, di persone.
Sta mostrando, in queste ore di caos nei soccorsi, anzi di vere e proprie lacune strutturali - autorevolmente denunciate da Jan Egeland, sottosegretario delle nazioni Unite con delega agli interventi umanitari - quanto il mondo sia impreparato a gestire grandi emergenze regionali o globali. In questa impreparazione globale i paesi ricchi si salvano con i loro sistemi di protezione locale. Ma le popolazioni (anche le popolazioni ricche) che vivono nei paesi poveri semplicemente non si salvano.
Il sisma di domenica scorsa non è solo una nuova, tragica, dimostrazione di quanto poco capaci siano oggi i governi - ma, più in generale, la politica - di gestire la complessità (e, quindi, la fragilità) del mondo attuale. È anche una dimostrazione di quanto sia inadeguato, soprattutto in Italia ma non solo in Italia, il sistema dei media a criticare i potenti, incalzare i governi, smuovere la politica. Insomma, ad accettare e a vincere le sfide globali.

 Pierangelo    - 02-01-2005
da Repubblica online - 1.1.2005

Su Internet, nei giorni della tragedia, l'informazione ha avuto innumerevoli fonti e diffusori e i giornali si sono fatti "hub"
E nel maremoto di Natale nasce la "zattera" multimediale
Un nuovo tipo di utenti cerca e trova notizie. Filtrate dai professionisti creano uno straordinario circuito
di VITTORIO ZAMBARDINO

"Cataclismi in Prima Persona", titola il blog di un pubblicitario milanese in questi giorni. E descrive come l'autore si sia costruito il suo itinerario di siti e fonti di informazione in molte lingue. Sono successe due cose in questi giorni: un mito è crollato, il mito di un mondo "wired", sempre connesso, dove l'informazione è ubiqua e rieccheggia da un angolo all'altro del pianeta grazie ai mezzi vecchi e nuovi. Ma "dentro" il mondo finora irreale di internet è emerso il pubblico che non mangia solo televisione. L'onnivoro dell'informazione.

Aveva torto il giovane Guzzanti a prendere in giro il mito del mondo interconnesso. Ricordate la gag sulla comunicazione globale? "Grazie a Internet posso comunicare con un aborigeno che sta dall'altra parte del mondo. Ma la domanda è: aborigeno, ma io e te, che cazzo dobbiamo dirci?". Avrebbero potuto dirgli con tre ore di anticipo (agli asiatici, non agli aborigeni) che stava arrivando lo Tsunami. Ma il punto è che una buona parte dell'umanità vive ancora senza corrente. Un'altra , più grande, la usa come noi negli anni '30 e non ha mai fatto un telefonata. Un altro paio di miliardi di persone sono chiuse dietro cortine di ferro che filtrano e censurano anche la rete. E il governo indiano (siamo sicuri che solo loro?) funziona coi fax. Che, com'è noto, si perdono. Il mondo interconnesso, peccato per chi se n'è riempito la bocca, non c'è ancora.

"Cataclisma in prima persona" invece, che è giovane, tiene la televisione in sottofondo, sintonizzata sulla Cnn, ma non è soddisfatto, non ce la fa ad aspettare che gli inviati superino la strada distrutta e trovino il mondo di mandare un servizio.

Il nuovo utente ha fretta e guarda le bacheche elettroniche con i nomi dei dispersi, ospedale per ospedale, va a cercare le fotogallerie "selvagge", non filtrate dalla pietà professionale dei giornalisti, e quindi si espone al trauma di guardare dentro il pozzo dell'orrore. Prima delle organizzazioni internazionali e benefiche, che hanno impiegato almeno tre giorni per mettersi in moto, sottoscrive presso un pool di blogger asiatici che già poche ore dopo i fatti, avevano organizzato un vero e proprio circuito di raccolta fondi. E' un utente che corre i suoi rischi nel caos.

In quel marasma molti giornali online si sono trasformati in veri e propri "hub" dell'informazione. Decine di migliaia di messaggi in ogni formato sono stati collazionati, editati, inseriti dentro le pagine html o semplicemente linkate, collegate. Il "giornale" online oltre che filtro professionale insostituibile nel marasma dei fatti, si è fatto ponte che ha trasportato prima messaggi, immagini, voci notizie "dal basso". Poi si è fatto sintetizzatore delle notizie di altri circuiti, dalla televisione alla radio, dal web ai cellulari, alle mail spedite dai pochi centri che funzionavano e dalle case di chi cercava parenti e dispersi. Non è esagerato dire che la televisione è stata spesso battuta sul tempo, sui modi e sulla profondità della sua copertura, da quesi "circuiti di mezzi multipli" che si sono assemblati per affinità elettive e culturali. E li ha usati a man bassa, ovviamente.

Qualche studioso americano (segnalato nel blog "Giornalismo d'altri") se lo è già chiesto. Di fronte alle catastrofi il giornalismo aveva finora il problema della scarsezza di notizie e fonti. Oggi ha la necessità di filtrare il Niagara informativo dei filmati e delle foto amatoriali, dei resoconti dei blogger, delle impressioni e delle grida d'aiuto della gente che si esprime come se tutto ciò che ha vissuto fosse "l'unica verità". E questa non è nemmeno una novità assoluta, è ciò che accade da mesi in Iraq, con i siti, i comunicati del terrore, gli annunci falsi e veri, e i filmati dell'orrore. Ma nel cataclisma di Natale è nato un mezzo multimediale. Una "piattaforma" affollata dove si sono incontrati tutti gli altri modi umani di comunicare. Non se ne andrà più via.