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Alla sbarra il codice di guerra
Il Manifesto - 18-12-2004
La commissione parlamentare d’inchiesta sui crimini nazifascisti denuncia Giuseppe Scandurra, procuratore generale presso la corte di Cassazione. Sua la proposta di legge che manda in galera inviati di guerra e ong. Tra il 1994 e il 1998 ha occultato nuovamente i fascicoli sui crimini nazifascisti ritrovati durante il processo Priebke. Quasi tutti riguardavano le Ss italiane.

Oltre a rappresentare il vertice della magistratura militare inquirente, Giuseppe Scandurra, procuratore capo della corte militare di Cassazione è il vero autore della legge delega per la riforma del codice militare di guerra, ovvero quel testo che prevede il carcere duro per i giornalisti che daranno informazioni sulle missioni militari e pene durissime per le Ong colpevoli di dare viveri al «nemico» iracheno e afghano. Ieri però la sua carriera, coronata dai complimenti del ministro della difesa Antonio Martino per il testo scritto, ha subito un piccolo incidente.

Proprio mentre le commissioni difesa e giustizia della camera avviavano l’analisi del testo che darà poteri insperati alla magistratura militare, in un altro palazzo a cento passi da Montecitorio un’altra commissione parlamentare decideva di denunciare il magistrato.

La commissione d’inchiesta parlamentare sull’occultamento dei crimini nazifascisti, presieduta da Flavio Tanzilli dell’Udc, ha scoperto che dopo l’apertura dell’Armadio della vergogna nel 1994, il dottor Giuseppe Scandurra si è auto attribuito 202 fascicoli relativi soprattutto ai crimini compiuti dalle Ss italiane. Come anticipato da il manifesto, senza nessun mandato né competenza il magistrato ha gestito per anni alcune indagini sui crimini di ’50 anni fa evitando di avvisare la magistratura competente, salvo inviare nel 2002 i 54 fascicoli più «deludenti» alle procure interessate. In alcuni casi la sua indagine ha trovato fatti nuovi che avrebbero potuto portare a compimento processi lasciati in sospeso per tanti anni. Ma tutte le informazioni utili sono rimaste sul suo tavolo fino a ieri. Ora il magistrato, denunciato alla procura di Roma, potrebbe essere indagato per reati che vanno dal peculato, all’abuso di ufficio fino all’attentato contro organi costituzionali per aver ostacolato le attività della commissione.

Oggi Scandurra è l’autore del testo che potrebbe mandare alla corte marziale gli inviati di guerra, i pacifisti che «collaborano col nemico» e garantire l’impunità ai vertici dell’esercito (con la nuova legge sarà il ministro della difesa a dare l’autorizzazione a procedere). Ma i suoi colleghi della magistratura militare non nascondono che il suo curriculum è costellato di episodi inquietanti almeno come quello scoperto dalla commissione sui crimini nazifascisti.

Il caso più noto è l’intervento a difesa del generale Domenico Tria, l’alto ufficiale che si trovava a bordo di un’auto blu che nel 2001 causò un brutto tamponamento con 4 vittime sulla via del Mare vicino Roma. L’incidente all’epoca fece parecchio scalpore perché il generale disse di non aver visto nulla. E in quegli stessi giorni si scoprì che durante una indagine per peculato a carico di Tria, Scandurra aveva chiamato gli inquirenti con un tono definito «inopportuno» dal Consiglio militare che si occupò della vicenda.

Negli ultimi anni le azioni del magistrato napoletano sono state messe sotto accusa più volte dal Csm militare. Scandurra ha fatto parte della commissione ristretta che dopo il ritrovamento dei fascicoli nazifascisti nel 1994 ha vagliato tutto il materiale - senza alcun mandato - decidendo cosa inviare ai magistrati competenti e cosa no. Alla fine del lavoro il consiglio ha inviato al Csm militare una relazione sul lavoro svolto. «Scandurra si presentò alla riunione proponendo una nuova versione del testo `con alcune leggere modifiche’ - racconta un magistrato militare che preferisce mantenere l’anonimato - in realtà aveva completamente cambiato il senso del documento in modo da escludere ogni responsabilità da parte dei vertici della magistratura militare». L’episodio ha causato una raffica di discussioni e polemiche tra i togati dell’esercito. Poi tutto è finito lì.

Nel 2002 il nuovo episodio «strano». Tra il 12 e il 25 luglio del 2002, il dottor Roberto Rosin ha inviato alle procure competenti cinquantaquattro fascicoli dei 202 occultati da Scandurra. I fascicoli erano talmente scarni da non dare vita ad alcuna indagine. Ma in seguito a quell’atto Giuseppe Rosin, membro del consiglio della magistratura militare, ha inviato un esposto al Consiglio militare. La discussione della Commissione affari generali del Consiglio è durata un anno e mezzo, ma al momento di votare una relazione di condanna dell’accaduto, in toni non troppo allarmanti, Scandurra ha chiesto alla commissione di fare ulteriori indagini bloccando tutto.

Commentando la denuncia arrivata ieri il senatore dei Ds Walter Vitali ha spiegato: «E’ in discussione la condotta dei massimi vertici della magistratura militare italiana. La mancata trasmissione nel 1994 degli incartamenti alle autorità giudiziarie competenti non ha trovato giustificazione alcuna nelle audizioni della Commissione parlamentare». E in effetti il rischio è che questa denuncia di una commissione sconosciuta ai più metta in serio pericolo il progetto del ministro Martino.

SARA MENAFRA


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