Mentre l´
Herakleidon di Atene ospita, fino al prossimo giugno, sotto il titolo "Oltre l´infinito: L´arte di M. C. Escher", 250 opere tra disegni, litografie e foto, una mostra dell´artista olandese, ricca di 102 opere grafiche datate 1917-1969 e un volume di litografie del 1932, è aperta nei
Musei Capitolini, per le cure di Federica Pirani e Bert Treffers, in collaborazione con Lidy Peters.
Buona parte delle xilografie, delle incisioni e delle litografie, sono dedicate a Roma, dove
Maurits Cornelius Escher visse tra il 1923 e il 1933, e ai paesi italiani, tra la Toscana e la Sicilia, dalle torri di San Gimignano al Tempio di Segesta, visitati, spesso a piedi, in un rinnovato e lungo pellegrinaggio da Grand Tour, alla scoperta di temi inediti, di architetture fantastiche e "ultradimensionali" (per diverso tempo è stato considerato il primo artista psichedelico) che dessero continuità alle ricercate soluzioni tecniche, di un virtuosismo senza limiti, e alle immagini pronte a coniugare Brueguel e Piranesi, Feininger e Taut, il surrealismo e l´ideogramma alchemico, l´"albero" di Kircher e gli ideogrammi dei mezzi e dei metodi per lo studio della natura, un fotogramma di "Metropolis" e un progetto di Taut, il gioco degli stili di Finsterlin e la fantascienza interplanetaria, senza mai perdere un sottile grado di ironia tanto facile quanto inafferrabile.
La mostra di Roma, e il
catalogo Electa, volendo indagare "Nell´occhio di Escher", ne organizza le molteplici visioni interiori partendo da una litografia emblematica, la Mano con sfera riflettente, ovvero Autoritratto nello specchio sferico, del 1935, alla quale sono accostate Occhio, una incisione del 1946, Oblò, una xilografia del 1937, e Mani che disegnano, una litografia del 1948. In queste quattro opere c´è tutto Escher, anche quello degli anni maturi, quando il flusso di pensieri, mossi da concetti arbitrari indirizzati a un collegamento logico, sollecitati casualmente dalle tassellature nell´Alhambra di Granada o dalle decorazioni moresche della moschea di Cordova, si trasformano immediatamente in forme geometriche elementari iterate in serie contigue di immagini ordinate in un racconto privo di spazi vuoti.
La divisione regolare del piano, fin dalla sua infanzia, è stato il gioco ossessivo di Escher. Gli approfondimenti degli studi matematici nascono dalla necessità di soddisfare l´ansia dell´enigma e dell´ignoto, di percorrere e di perlustrare i sentieri inesplorati della simmetria, di rinvenire nelle figure zoomorfe modificate da effetti optical l´inesauribile gioco delle metamorfosi.
Era, in sostanza, il solo modo per capire le regole di costruzione del disegno, affidandole a incisioni quali Blocchi di basalto in riva al mare del 1919 o a Tre mondi del 1955, a Vincolo di unione del 1956 o a Tre sfere I del 1945, ma soprattutto a una fitta serie di quaderni di scuola a quadretti dove appunti e bozzetti, recuperati una dozzina di anni fa da Doris Schattschneider, ci aprono le porte segrete di un´immagine forgiata in un´autentica officina. Qui si evidenzia la griglia tecnica e formale di Escher. I trucchi del mestiere, nel più alto significato del termine, tale da permettergli di essere il primo capace di unificare tecniche diverse quali la xilografia, la litografia e la maniera nera, aderiscono perfettamente all´abituale transizione dinamica da un motivo all´altro. Perciò, la distribuzione dei colori, a volte contrastanti, nei disegni periodici, in seguito utilizzata nella classificazione dei cristalli, è un modo per individuare ogni singola figura dei suggestivi mondi immaginati da Escher ma anche la guida per la distribuzione dei tasselli di un paesaggio della costiera amalfitana, quello di Atrani, del 1931, di Metamorfosi II del 1929-1940, di Balconata del 1945 dove la forma genera un´altra forma, le case sul mare diventano scatole, si trasformano in semplici cubi, la seconda dimensione nella terza, ogni livello di percezione s´intreccia nel successivo e così via.
«Noi non conosciamo lo spazio, ha scritto Escher. «Non lo vediamo, non lo ascoltiamo, non lo percepiamo. Siamo in mezzo a esso, ne facciamo parte, ma non ne sappiamo nulla». I disegni, le xilografie, lo studio sistematico delle superfici, delle profondità, delle cortecce, della striscia di Moebius, dei pianeti, dell´ordine e del caos, del finito e dell´infinito nei quali quaranta specie di animali o di cristalli, di torri o di stelle, si muovono secondo i fondamenti basilari della stereometria e delle trasformazioni geometriche, l´uso perfetto della prospettiva, con rotazioni, riflessioni, sovrapposizioni e traslazioni che scavalcano ogni limite per farsi, alternativamente, ora figura e ora sfondo di edifici impossibili in cui siamo invitati ad entrare, ora acqua e ora cielo di universi semireali in cui siamo costretti a immergerci.
Nell´uno e nell´altro caso, la provocazione è evidente. Le leggi matematiche e la logica in esse nascosta in maniera tale da sbalordire Douglas R. Hofstadter, autore di un celebre saggio sull´intelligenza artificiale che accosta a Escher un grande musicista (Bach) e un celebre matematico (Gödel), vogliono aguzzare la nostra percezione dello spazio, per palesare i confini o gli equivoci delle nostre attitudini percettive, e farsi beffa di quanti accompagnano alle cascate e ai belvederi, alle salite e alle discese, alla galleria delle sue stampe, una compiaciuta meraviglia. Al tempo stesso, sono la conferma che la scienza e l´arte possono incontrarsi, «come due pezzi di quel puzzle - ha scritto Escher - che è la vita umana, e che può stabilirsi un contatto attraverso la frontiera che separa i nostri rispettivi campi d´indagine».
GIUSEPPE APPELLA