tam tam |  messaggio  |
Fratello migrante, compagno migrante
Liberazione - 04-12-2004
Fai conto di avere 20 anni e di vivere in un Paese che si affaccia sul Mediterraneo a Sud dell'Italia: sei Magrebino, sei Curdo, sei Palestinese; o di vivere in una favela di una delle tante cinture delle metropoli del Centrafrica o dell'America australe; o di abitare in una sperduta periferia dell'Estremo Oriente. Muori letteralmente di fame, malattie facilmente debellabili uccidono a grappoli bambini e anziani, l'Aids divora la tua gente, la prostituzione è per la stragrande maggioranza delle persone, l'unico mezzo per mangiare, la tua speranza di vita è meno della metà che in Occidente. Volti di donne, di bambini, di ragazze e ragazzi, come li racconta Alex Zanotelli nel suo I poveri non ci lasceranno dormire, i volti, le voci, la disperazione di un luogo come Korogocho, a disperazione dei bambini costretti a vivere e a sopravvivere nel "Mukuru", la grande discarica, dove nemmeno arrivano i rifiuti "buoni" ma lo scarto dei rifiuti perché «i ricchi si appropriano persino della spazzatura migliore». E nulla migliora… anzi, le disuguaglianze si accrescono. Come dice Padre Zanotelli: «I poveri diventano sempre più poveri, a Korogocho come a Salvador di Bahia, a Johannesburg come a Manila. Gli aggiustamenti strutturali voluti dal Fondo Monetario Internazionale vengono pagati pesantemente dai poveri. Ormai, questi non riescono quasi più ad avere accesso agli ospedali, rimangono esclusi da servizi sociali fondamentali come la scuola. Tra qualche anno, buona parte dei bambini di Nairobi non potrà permettersi il lusso di accedere all'istruzione primaria… La vecchia apartheid, quella basata sul colore della pelle, al confronto fa sorridere. I ricchi sono oggi quelli che impongono leggi e regole che i poveri, i derubati, devono osservare: una morale doppiamente ipocrita. Si costringe chi ha subito il torto a rispettare la volontà di chi quel torto ha esercitato».

Poi, oltre alla fatica di sopravvivere, c'è spesso la guerra, la discriminazione di culture, religioni, popoli, c'è l'arbitrio del potere, lo spregio di diritti fondamentali.

Anche se vivi nel Paese meno disgraziato tra quelli, pensi a quante sono le ragioni per restare e quante quelle per partire, a cosa lasci e cosa ti puoi aspettare. Ne sappiamo qualcosa nella nostra storia recente: i migranti italiani che lasciavano l'Italia per quella banchina di New York, dove, forse, poter ricominciare.

Se non muori nell'attraversamento, raggiungi quella meta, ma ti accorgi ben presto che quello non è l'Eden - e il gigantesco spot delle magnifiche sorti dell'Occidente svanisce in una realtà ben diversa.

Tu, in quel viaggio, hai una speranza e arrivi in luoghi che sembrano averla perduta. Entri dentro un sistema che ti prende e ti respinge allo stesso tempo. Ti prende come braccia e gambe da utilizzare, come merce, e prende tutto il tuo tempo, le tue energie, il tuo lavoro e ti respinge come persona, come cultura, come cittadino, come lavoratore.

E' la ricetta della destra, è la filosofia che sorregge la legislazione che le destre hanno prodotto, è la "Bossi Fini". E' l'idea dell'Europa, dell'Occidente, come fortezza sicuritaria e il tentativo di tradurla in una ideologia compatta, quella di Bush, dell'Occidente come Bene che lotta contro il Male, tutto ciò che è estraneo ad esso. Ma è essa stessa un'ideologia ipocrita che cela una falsità che va disvelata: prova a realizzare il sogno di questa ideologia reazionaria e fai sparire in una notte tutti i migranti che vivono e lavorano in Italia, in Europa, negli opulenti Stati Uniti e guarda che cosa accade: accade che l'intero sistema di queste economie viene sconvolto e spazzato via.

E allora, le destre ti usano: tu servi. Servi come lavoro vivo dentro il processo di accumulazione e hai la possibilità di restare allorché e finché sei utilizzabile in una condizione servile dentro questo meccanismo. E il tuo permesso di soggiorno è in relazione diretta con questo stato di precarietà assoluta che ti ricatta e ti rende schiavo.

Frammista a questo trovi, però, anche una società ricca, incontri un sistema di relazioni dense: associazioni, movimenti, organizzazioni del movimento operaio che, esse stesse, si interrogano sul nuovo conflitto di classe al tempo della globalizzazione neoliberista. Tu sembri l'eccezione ma stai diventando la regola, sembri rappresentare una condizione del lavoro che parla del passato (pensiamo al nostro caporalato) ma, invece, indichi il futuro della condizione lavorativa, indichi il futuro prossimo cui il presente tende per tutti.

Il lavoro migrante dall'interno e la delocalizzazione dall'esterno sono le tenaglie che tendono a chiudersi sul mondo del lavoro per ridisegnare il complesso delle relazioni sociali e dei rapporti di produzione.

La precarietà, da condizione di fasce sociali più o meno estese, a seconda delle vicende dell'economia e dei rapporti sociali, si fa condizione generale.

Per questo motivo profondo la condizione dei migranti non parla dell'antica schiavitù, da cui ci siamo liberati nel corso di un grande processo di emancipazione del secolo scorso ma della modernità della condizione del lavoro servile nel nuovo secolo.

La condizione del lavoro migrante, quindi, rappresenta oggi l'estremo della condizione di precarizzazione e di servitù che si fa paradigma della ridefinizione dei rapporti di produzione e sociali per tutti. L'altra faccia della delocalizzazione.

Dunque, migranti, non solo fratelli, come pure è indispensabile nella convivenza umana, ma compagni, per la conquista di un nuovo corso sociale e politico, parte di una nuova coalizione, di un nuovo movimento operaio.

Ecco perché poniamo sullo stesso piano la necessità di abrogare la legge 30 sulla estremizzazione del precariato del lavoro, la Bossi Fini e quella Moratti sull'istruzione. Non perché non vi siano altre leggi indecorose da cambiare o da cancellare ma perché queste tre leggi si tengono insieme e rappresentano le tessere fondamentali di una caduta complessiva della cittadinanza universale che si stringe sul lavoro.

La loro cancellazione, naturalmente, non è per tornare alla legislazione del centrosinistra, per fare due soli esempi, alla legge Turco Napolitano sull'immigrazione (e mantenere la vergogna dei Cpt che, al contrario, vanno cancellati) o alla legge Berlinguer sull'istruzione, ma per determinare una rottura con il ciclo neoliberista e, anche per quella via, aprire un nuovo corso.

Migranti, fratelli e compagni nella costruzione di quello che abbiamo definito nuovo movimento operaio: è questa la sfida di fronte a tutti noi. Il neoliberismo determina la rottura della coesione sociale, tende a dividere e separare i soggetti, crea l'illusione del rifugio dentro una ideologia sicuritaria e di guerra.

I movimenti, cresciuti sull'onda lunga del movimento altermondialista, uno separato dall'altro, non ce l'ha fanno, il rischio è il loro ripiegamento in una logica difensiva. Solo connettendo le lotte, unendo i percorsi, unificando i progetti, è possibile oggi riproporre il loro ulteriore sviluppo e la loro stessa capacità di incidenza. E questo ancora da solo non basta. Serve e un progetto politico di alternativa.

Questo è il nostro progetto. Questo è il progetto che ti proponiamo, fratello, compagno migrante.

Fausto Bertinotti
3 dicembre 2004

  discussione chiusa  condividi pdf