Il giudice e il terrore, due.
Aldo Ettore Quagliozzi - 03-12-2004
“ ( … ) A gettare il Cile nello scompiglio è stato il rapporto della commissione designata dal presidente Ricardo Lagos per fare luce su come la dittatura del generale Augusto Pinochet, al potere dal 1973 al 1990, abbia sottoposto migliaia di uomini e donne alle più selvagge forme di tortura.
A causare lo sdegno dei cileni non sono stati i terribili racconti pieni di crudeltà delle vittime.
Il bambino torturato davanti alla madre per obbligarla a parlare, il prigioniero costretto a defecare nella bocca di un’altra vittima, gli elettrodi collegati al pene di un prigioniero, i ratti nella vagina di una donna, lo spillo infilzato nell’occhio o il fuoco fatto passare sulla pelle.
Erano cose che si sapevano già, anche se forse non così in dettaglio. No: per i cileni l’aspetto intollerabile della vicenda è che, dopo questo rapporto, il loro paese non potrà più negare che il terrore inflitto a persone indifese fosse sistematico e necessario alla sopravvivenza del regime di Pinochet.
Gli stessi orrori e le stesse umiliazioni si sono ripetute in ogni angolo del nostro paese, negli scantinati e negli attici, al nord come al sud. Le esecuzioni sono state portate avanti anno dopo anno, usando gli stessi metodi per estorcere una confessione o distruggere una vita.
( … ) Il generale Juan Emilio Cheyre ( comandante in capo dell’esercito cileno ), con grande stupore di tutto il paese, ha ammesso la responsabilità istituzionale dell’esercito nell’uso delle torture.
Ha inoltre affermato che non esistono giustificazioni ammissibili per la violazione dei diritti umani – neanche se lo scopo è tutelare la sicurezza nazionale.
Cheyre ha detto che, più che alcuni individui isolati, è l’esercito nel suo insieme ad essere responsabile di certi abusi, e in questo modo ha fatto sì che molti cileni tornassero a pensare con angoscia al passato.
Sono stati rivolti appelli alla marina, alle forze aeree e alla polizia nazionale perché seguano l’esempio dell’esercito.
Si è anche fatto appello ai molti civili che hanno servito nel governo Pinochet: si chiede loro di ammettere che non hanno fatto niente per evitare che i loro concittadini venissero torturati, e che hanno anzi incoraggiato quella brutalità.
( … ) Nel mondo post-11 settembre, in cui la guerra contro il terrorismo ha portato alla disastrosa invasione dell’Iraq, alle oscenità di Abu Ghraib e di molte altre prigioni nel mondo, alla detenzione preventiva di numerose persone dentro e fuori gli Stati Uniti senza possibilità di appello, in un mondo così pieno di paura da farci giustificare ogni ferocità in grado di darci sicurezza, Bush farebbe bene ad ascoltare le parole del generale Cheyre.
Sfortunatamente, sembra molto probabile che nei prossimi quattro anni il presidente americano continuerà a imitare quello che potrebbe essere definito un modello pinochettista: sottrarsi alle responsabilità nei confronti di ogni catastrofe etica causate dalle proprie scelte politiche.
E’ un’altra occasione perduta. Bush era in Cile, un paese che sta affermando ad alta voce dinanzi al resto del mondo che le violazioni dei diritti umani, qualsiasi siano le circostanze in cui avvengono o i nostri timori, non possono mai essere giustificate.
Bush era in Cile, ma è stato cieco e sordo, incapace di ascoltare le parole del generale Cheyre – parole che ogni governante e ogni soldato dovrebbero ascoltare e apprezzare, e che dovrebbero essere di ispirazione per tutti noi in questo periodo così turbolento e pieno di pericoli.
Bush era in Cile, ma non ha visto, non ha sentito, non ha imparato niente. “

I brani riportati sono stati tratti da una accorata e tragica corrispondenza di Ariel Dorfman, scrittore cileno, che ha vissuto la tragedia di quel loro ‘ 11 settembre ‘.
E’ sempre vero che a tutte le latitudini, in tutte le epoche, il terrore perpetrato dal potere ha le stesse inconfondibili caratteristiche.
E le parole del giudice Baltasar Garzòn tornano come luce viva a rischiarare le tenebre che incombono sul mondo.

“ ( … ) Il fenomeno del terrorismo, il crimine organizzato transnazionale, la corruzione, la protezione delle minoranze e dei soggetti più deboli, l’intransigenza ferma e risoluta verso i comportamenti razzisti e xenofobi, richiedono giudici che siano non solo dei professionisti in grado di adempiere alla massima di Montesquieu secondo cui sono ‘ la bocca muta che applica la legge ‘, ma anche e soprattutto giudici informati e impegnati nei riguardi della società cui prestano servizio e che debbono difendere da quelle minacce.
Ma non sono solamente questi – in particolare la giustizia – i valori che debbono occupare un posto centrale nelle nostre vite.
Valori essenziali sono anche altri, come l’educazione e la cultura. Quando domandavano a Victor Hugo, ‘ Maestro, cosa dobbiamo fare per combattere la corruzione ? ‘, lo scrittore rispondeva: ‘ Costruite scuole ‘.
La cultura, nella sua accezione più genuina, richiede un’azione critica demolitrice arricchita di capacità d’indignazione e anticonformismo, che ci porti a smuovere le ‘ acque stagnanti ‘ della nostra compiacente cultura occidentale.
Con la ‘ cultura del sospetto ‘ ormai radicatasi nelle nostre vite, per cambiare le cose dobbiamo imparare a far uso della nostra immaginazione creativa; e a questo non si sottrae neppure la giustizia, nell’opera pedagogica che è tenuta a svolgere verso i cittadini.
La vera cultura proclama ai quattro venti che ‘ un altro mondo è possibile ‘.
( … ) La cultura dichiara guerra agli imperi. L’impero della nostra epoca non ha frontiere, sospende la storia – ( … ) – e impone per decreto una falsa ‘ pace universale ‘ che introduce un nuovo tipo di guerre, quelle dell’intervento preventivo in nome di principi universali – sebbene infrangano principi universali e diritti fondamentali.
L’impero si converte in un bio-potere centrato sul controllo totalitario, che annulla il meticciato e l’interculturalità.
La cultura ci fornisce di riferimenti etici; ( … ). Ed è per questo che di fronte agli intolleranti che seminano odio; di fronte a coloro che esercitano il potere e auspicano che si uccida, o che la paura si impossessi di un’umanità messa sotto sequestro, e di fronte a quelli che confondono la religione con il fondamentalismo fanatico, l’unica via di salvezza è, ora più che mai, dare linfa all’etica della persuasione insieme all’etica della responsabilità.
La cultura deve condurci a ripetere pervicacemente le parole di Amos Oz quando dice: ‘ non è mia intenzione sopportare la crudeltà, la pazzia, la menzogna e le sofferenze che le persone si arrecano vicendevolmente ‘. “

Il giudice Baltasar Garzòn ha espresso i suoi profondi convincimenti in occasione del ritiro a Parigi il 9 novembre 2004 del “ Grand Prix “ assegnatogli dalla “ Académie Universelle des Cultures “.


  discussione chiusa  condividi pdf