Il giudice ed il terrore
Aldo Ettore Quagliozzi - 01-12-2004
Reed Brody è il consigliere speciale della organizzazione ‘ Human Rights Watch ‘ e di recente ha scritto sull’ “ International Herald Tribune “ a proposito della involuzione subita dalle regole e dalle norme giuridiche della democrazia americana a seguito della tragedia dell’11 settembre:

Il prigioniero è stato portato via nel cuore della notte 19 mesi fa. E’ stato incappucciato e condotto in una località segreta. Da allora non si è saputo più nulla di lui.
Gli incaricati degli interrogatori hanno usato la forza in maniera graduata ricorrendo anche alla tecnica dell’annegamento, nota in America Latina con il nome di ‘ submarino ‘, con la quale il detenuto viene immerso con la forza sott’acqua e indotto a ritenere che sta per affogare.
Insieme al prigioniero sono stati prelevati anche i suoi due figli di 7 e 9 anni, presumibilmente per indurlo a parlare.
Era l’esercito guatemalteco? Erano i paramilitari colombiano ? No, era la Cia. Il prigioniero si chiama Khalid Sheikh Mohammed ed è il principale architetto degli attentati dell’11 settembre.
E’ uno di una dozzina circa di operativi di vertice di Al Qaeda semplicemente spariti dopo essere stati arrestati dagli americani.
Dopo gli attentati dell’11 settembre l’amministrazione Bush ha violato le più elementari norme giuridiche in materia di trattamento dei detenuti.
Molti sono stati trasferiti in prigioni fuori del territorio americano, la più nota delle quali è quella di Guantanamo Bay, a Cuba.
Come sappiamo i prigionieri sospettati di terrorismo e molti contro i quali non esiste alcuna prova, sono stati maltrattati, umiliati e torturati.
Ma probabilmente nessuna pratica è così fondamentalmente contraria alle fondamenta del diritto americano e internazionale quanto la detenzione per lunghi periodi dei sospetti membri di Al Qaeda in ‘ località segrete ‘.
( … ) Come ha detto la commissione dell’11 settembre: ‘ le affermazioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero maltrattato i prigionieri in loro custodia hanno reso più difficile il compito di costruire le alleanze diplomatiche, politiche e militari di cui il governo avrà bisogno ‘.
In secondo luogo, la tortura e la sparizione dei prigionieri ad opera degli Stati Uniti invita tutti i governi più riprovevoli del mondo a fare altrettanto. Di fatto paesi che vanno dal Sudan allo Zimbawe hanno già citato Abu Ghraib e altre azioni degli Stati Uniti per giustificare le loro pratiche o soffocare le critiche.
Ma anzitutto deve preoccuparci l’accettazione di metodi antitetici ad una democrazia e che tradiscono l’identità degli Stati Uniti come Stato di diritto.
Se gli Stati Uniti dovessero accettare la tortura e la sparizione degli oppositori, abbandonerebbero i loro ideali e diventerebbero una nazione degna di meno rispetto.


E’ il mondo nuovo che ci attende e che gli Stati Uniti vogliono esportare sulla punta dei loro missili intelligenti ? Opporre orrore ad orrore ? E’ questa la nuova pedagogia nell’era del terrore senza confini ?
Che per la grande ed unica potenza del mondo è cosa ben facile esportare ovunque le sue teorie pedagogiche all’insegna della novella dottrina degli ‘ stati canaglia ‘, da punire esemplarmente perché il resto inorridito dell’umanità abbia di conseguenza come regolarsi.
Si rivolterebbe nella sua tomba Alexis De Tocqueville, grande studioso ed estimatore degli ordinamenti americani, che in una sua lettera indirizzata all’amico De Beaumont, datata 5 ottobre 1828, scriveva:

“ ( … ) Meditate bene su questo, niente offre più ampia materia di riflessione: supponiamo che un despota s’impadronisca della sovranità, il suo potere, qualunque esso sia, avrà dei limiti, se non altro quelli dettati dalla paura; ma un sovrano investito del potere di fare ogni cosa in nome della legge è molto più temibile, e lui non teme nulla. ( … )

Intendeva Alexis De Tocqueville parlare della dinastia dei Tudor; è una differenza di epoche, ma la sostanza delle cose non cambia con l’oggi.
Ed è sempre confortante che vengano dalla ‘ Vecchia Europa ‘, così come sarcasticamente di recente politici del vecchio e nuovo mondo hanno etichettato un modo di pensare e di vivere in contrapposizione alla ‘ Nuova Europa ‘ guerrafondaia, le parole piene di umanesimo antico ma non per questo fuori dal tempo del giudice spagnolo Baltasar Garzòn pronunciate in una pubblica e solenne occasione:

L’impegno democratico contro il terrorismo ci rende più liberi e riafferma in noi la convinzione che questa lotta ha bisogno non solo di legittimità, ma che deve essere portata avanti nella più stretta osservanza della legalità, senza indulgere in interpretazioni di comodo della teoria hegeliana del Diritto Perverso, che privilegiano l’opportunità a detrimento della legge, la falsa sicurezza e la paura a scapito della libertà.
( … ) Vivere in un mondo più sicuro non deve comportare necessariamente vivere in un mondo meno libero, in cui le garanzie dei cittadini e delle cittadine si degradino e si appannino fino a scomparire del tutto, e in cui il principio di equità ed uguaglianza di fronte alla legge scompaia in favore dell’arbitrarietà e dell’assenza di limiti alla volontà di coloro che hanno in mano il potere.
Qualcuno ha detto, e io lo ritengo vero, che viviamo nell’epoca della vergogna, la vergogna del terrore, della corruzione, della guerra, dell’oblio e della xenofobia, ma forse ora, in questo momento, siamo prossimi a dischiudere le porte dell’epoca della tolleranza, intesa come principio attivo che porta al rispetto delle differenze e della diversità, e come strada unificante e inclusiva che ci condurrà alla comprensione tra le razze, le culture e le religioni.
Tutti noi aspiriamo a una vita collettiva nella quale i dissidi e le divergenze trovino armonia nel cammino unico della concordia, della giustizia, della cultura e della pace.
Una pace unificante che racchiuda le nostre aspirazioni e le nostre frustrazioni, in un contesto né aggressivo né violento per le persone e l’ambiente, e che esiga dai governi e dalla società una lotta reale contro la povertà e l’emarginazione, garantendo uno sviluppo integrale, intimamente equo e solidale, che superi qualsiasi residuo di dominazione egemonica o unilaterale basata sulla forza delle armi o del potere economico e finanziario.
E’ tempo dunque che la ragione della forza lasci spazio alla forza della ragione; che il Diritto prenda corpo e dispieghi la sua efficacia nella risoluzione dei conflitti, in una prospettiva che concili la sicurezza con la difesa dei diritti umani.
Questo equilibrio esige che i principi della democrazia si accompagnino ai principi della giustizia, e che entrambi costituiscano il fondamento della sicurezza umana. ( … )


Ecco tornare prepotente come faro di luce nel buio profondo di questi giorni l’umanesimo pieno dell’uomo europeo, conscio dei suoi millenni di storia; è la pedagogia della ‘ vecchia Europa ‘da contrapporre fortemente alla pedagogia del terrore, alla pedagogia della paura che le fa’ da contraltare, con fini ed intendimenti che vanno ben al di là delle esigenze irrinunciabili di sicurezza per tutti i cittadini di questo pianeta chiamato
Terra.

La riflessione continua qui



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 dall'Unità    - 01-12-2004
Abusi a Guantanamo. Questa volta a dirlo è una fonte autorevole e assolutamente imparziale: la Croce Rossa internazionale.

A comunicarlo al mondo ci pensano il New York Times e Financial Times che aprono le loro edizioni on-line con il medesimo articolo a firma di Neil A. Lewis dal titolo «La croce rossa denuncia abusi a Guantanamo».

Non si tratta di una notizia vecchia, sebbene ormai la frequenza delle denunce di abusi su detenuti può indurre a confusione, bensì di un rapporto confidenziale dell’Icrc (Comitato internazionale della Croce rossa) indirizzato al governo di Washington nel quale si denuncia l’uso intenzionale da parte dei militari americani della coercizione fisica e psicologica, «equivalente a tortura», sui detenuti di Guantanamo.

Il rapporto, che si riferisce a una visita effettuata nel giugno 2004, è stato consegnato ai legali della Casa Bianca, al Pentagono e al Dipartimento di stato e ai comandi del centro di detenzioni di Guantanamo.

Per saperne di più