Se i ragazzi non sanno più soffrire
Gianni Mereghetti - 23-11-2004
Marco Lodoli grazie alla sua sensibilità umana ci propone un’altra questione centrale nella vita dei giovani d’oggi, il fatto che non vogliano soffrire più, neanche per un momento, e che molti dei loro comportamenti derivino dal tentativo di evitare la sofferenza. Come al solito è dal rapporto quotidiano con i suoi studenti che tale questione è emersa e con la drammaticità tipica della giovinezza, da cui noi adulti avremmo molto da imparare.
Lodoli ha incontrato una domanda decisiva, la domanda che sta dentro il cuore di ogni ragazzo, perchè sta dentro il suo, il mio cuore. Perchè mai dovremmo soffrire? Tutto di noi tende alla vita, è per la vita, perchè questa contraddizione strana, assurda?
Che una ragazza ci sbatta in faccia questa domanda, che ci ricordi la pochezza di tutti i surrogati che la cultura ha inventato per bypassare, ahimè, invano!, la sofferenza, che non si rassegni all’evoluzione naturale delle cose, più che segno di fragilità è l’esplosione di un desiderio di vita.
Infatti la questione seria non è che i ragazzi ( e con loro noi!) non sanno più soffrire, ma che non sanno più essere felici!
Un’esperienza di felicità, che non si frantumi al primo colpo di vento, un’esperienza di felicità, in cui tutto sia compreso, pur nella sua drammaticità, e non spiritualmente evaso, è questo ciò che ogni ragazzo domanda, ci domanda.
La studentessa di Lodoli è una sfida a me, mi chiede se ciò che le comunico ogni mattina porta dentro una speranza che valga il suo desiderio. E’ questa la sfida di ogni giorno, quella per cui mi alzo, vado a scuola e balbetto le mie quattro conoscenze, la sfida di una vita in cui la felicità non è una tragica evasione, ma una presenza misteriosa che impregna di positività tutto, anche ciò che mi fa soffrire.


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 Anna Di Gennaro Melchiori    - 23-11-2004
Anch'io ieri ho letto con attenzione l'articolo del prof. Lodoli su Repubblica, ma non condivido parecchie sue affermazioni.
Innanzitutto la terminologia: i ragazzi d'oggi, infatti, mi sembrano meno disposti alla fatica più che alla sofferenza! Del resto chi di noi ama soffrire?
Il sadomasochismo non è nè auspicabile nè augurabile! Le creature umane, come afferma S. Agostino, sono fatte per la felicità...
Pedagogicamente mi hanno insegnato a "motivare intrinsecamente" i miei alunni alla fatica, attraverso la mia stessa tenacia, il mio carisma, la curiosità per materia, ma soprattutto per non disattendere il loro Destino di persone cosapevoli. "Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza".
Dante mi affascinava come vari altri autori perchè la mia prof. era partecipe della bellezza dell'arte, nonchè certa che anche noi saremmo state sicuramente felici d'imparare ciò che aveva reso la sua vita ancor più significativa. Certo eravamo tutte femmine all'Istituto Magistrale Carlo Tenca di Milano, proprio durante l'epoca dello scandalo della Zanzara pariniana, ma la scuola esercitava una vera e propria attrazione, nonostante le fatiche quotidiane. Forse perchè tutto era condiviso tra noi e con i nostri insegnanti, per i quali nutrivamo profondo affetto! Non esagero nel dichiararmi fortunata nell'aver vissuto quel tal '68 così lontanamente, nonostante il Parini fosse a due passi da noi. Ciò mi ha permesso di assaporare un clima scolastico positivo e propositivo; docenti competenti e collaborativi tra loro, mai conflittuali come oggi sento spesso dire, attenti alla nostra voglia di vivere, capaci di perdonare e riaccogliere le ragazze che, anche allora, manifestavano incidenti di percorso.
Insomma mi domando, ma se i ragazzi sono così svogliati e in parte certamente è attribuibile alla famiglia, non è che sia anche giunto il momento d' interrogarci un po' tutti?
Rino Cammilleri nel suo libro "L'ombra sinistra della scuola" ha saputo descrivere magistralmente il disagio provato attraverso un'ironia del tutto speciale, alternando passato e presente: dall'esperienza di studente nella "sua" Trinacria, a quella professionale d'insegnante del Nord. Altresì consapevole di vivere nella scuola degli anni '80 '90 che, secondo il suo parere, era ormai una nave affondata da un pezzo. L'ho incontrato qui a Milano per fargli le mie congratulazioni: il libro, unico nel suo genere per la freschezza del periodare, è ancora oggi l'unico che consiglio a tutti i docenti affinchè, riuscendo a far un po' di autoironia, riescano magari a trovare qualche difettuccio nel loro far scuola...
Fiori e Mastrocola compresi!

Una ex maestra che non ha mai messo piede in Università, Anna Di Gennaro

 Sasha    - 03-05-2007
Bhè che dire...è vero tantissimi giovani vorrebbero smettere, imparare a non soffrire più. Prendere la rincorsa e saltare l'ostacolo il più lungo possibile. Ho letto attentamente quello che ha scritto il Professore Lodoli Marco, e quello che ho pensato è che una ragazza durante un'interrogazione nn può soffrire, la sofferenza non è questa. Essa è forse una pigrizia, la mancanza di voler studiare. La sofferenza è un dolore che ti affligge, che ti lacera; e non come i mali fisici ai quali c'è rimedio. Magari ci fossero delle anestesie o degli antidolorifici per alleviare la sofferenza interna, quella morale, ove solo, forse, il tempo può aiutare a chiudere quella ferita di dolore. Alla quale nessuno può aiutarti. Perchè sta a te sciogliere questa catena, e anche se le persone più care ti stanno accanto, tu magari, non ci pensi riesci a ridere, ma poi il martirio ritorna. E' vero la mano delle persone più care ti aiuta ad abbattere quest'avversità. Bisogna tener conto che ci sono quei giovani che non lo danno a vedere la loro sofferenza, che non hanno più le forze di combattere e magari cercando di saltare l'ostacolo, cadono, sentendo ancora più male; abbandonandosi così con essa. E ci sono casi dove la soluzione non c'è, e se c'è capita che per vari fattori tu non possa coglierla, e quindi devi aspettare che sia il tempo così, tu ragazzo, cresci e maturi, scegliendo così la via più giusta e la cosa più giusta da prendere e da fare.Certe cose non si dovrebbero trattare con superficialità, penso che questo sia un esempio errato per far notare la sofferenza dei giovani nei confronti della società.
E tornando al fatto se i giovani non sanno più soffrire, io rispondo che soffrono.Sì che vorrebbero smettere di soffrire,chi non lo vorrebbe?