Sparanise
Paolo Mesolella - 17-11-2004
Un convegno sul Campo di concentramento tedesco

Arrivammo al campo di concentramento di Sparanise nel pomeriggio del 23 ottobre 43. Nel campo vi erano già 5000 prigionieri. Il campo era ubicato a monte della linea ferroviaria Napoli - Roma, aveva tre ingressi, ed era esteso almeno 250 metri di lunghezza per 200 di larghezza. Distava una cinquantina di metri dalla stazione ferroviaria ed era in posizione strategica ideale per il trasferimento dei prigionieri in Germania. Reticolati e cavalli di frisia recintavano il perimetro del campo, sorvegliato da un nutrito numero di sentinelle che impedivano eventuali tentativi di fuga. All’interno del campo esisteva una sola baracca di legno, coperta da una lamiera metallica, adibita ad infermeria. Non c’erano cucine da campo, né una fontanina per attingervi acqua. Si andava ad attingerla ad una cisterna, oltre i reticolati, scortati dalle sentinelle del campo. Non esistevano servizi igienici, per cui ognuno andava a soddisfare i propri bisogni fisiologici lungo il perimetro del campo. Non esisteva alcun tipo di carta. Il fetore era insopportabile, l’aria pestifera. Guai ad inzaccherarsi le scarpe, camminando su quei cumuli di escrementi che coprivano tutta la fascia perimetrale del campo. Il senso del pudore era scomparso, essendo costretti a soddisfare i propri bisogni all’aria aperta ed alla vista di tutti. Uno spettacolo veramente degradante e vergognoso. Eravamo ridotti a livello delle bestie, con la biancheria intima sporca e maleodorante, la barba non rasa da giorni ed i pidocchi che infestavano ogni parte del corpo”.

Il prof. Giuseppe Spera di Sarno, nonostante i suoi 82 anni e la voce rotta dall’emozione, ricorda ancora chiaramente il campo di concentramento tedesco di Sparanise e i giorni vissuti, senza mangiare, in piccole baracche di legno dove si poteva stare soltanto seduti. Lo fa spesso, quando lo invitano nelle scuole, e lo ha fatto il 19 novembre scorso, nel Cinema delle Palme, durante la giornata della memoria dedicata al campo di concentramento tedesco di Sparanise. Un campo dove sono passati migliaia di deportati, prima di essere inviati ai campi di lavoro e di sterminio. E’ il caso del prof. Spera , ma anche del Generale Alfonso Cascone di Pompei, di Giovanni Desiderio di Castellammare di Stabia, deportato a Dacau, di Padre Gaspare Tessarollo di Napoli, del maresciallo Walter Scialdone di Sparanise e di tanti altri, tutti venuti a Sparanise per dare la loro testimonianza di deportati nel campo sparanisano.
Un campo, nato il 9 settembre 1943, su un deposito militare italiano costruito tre anni prima, sequestrato dai tedeschi all’indomani dell’armistizio con lo scopo di radunare uomini per fortificare Cassino ed inviare manodopera ai campi di lavoro. “L’autocolonna che mi portò a Sparanise da Sarno – ha ricordato il prof. Spera – era formata da tre camion e trasportava un centinaio di deportati, alcuni dei quali poi, da Sparanise furono inviati nei campi di Norinberga, Lipsia ed Erfurt. Ricordo il povero Umberto Robustelli, merciaio, vestito di un leggerissimo pigiama estivo, con ai piedi un paio di pantofole di stoffa. In quelle condizioni era stato catturato. Non gli era stato concesso nemmeno il tempo di indossare un vestito, i calzini o le scarpe. Ricordo poi la ressa che si scatenò intorno al camion che trasportava il pane, sufficiente soltanto per un decimo dei prigionieri: un maresciallo tedesco, sulla quarantina, armato di bastone, colpiva alla cieca, con violenza estrema, chi gli capitava a tiro, allo scopo di arginare quella marea umana. Ricordo anche una furibonda rissa, scoppiata al centro del campo, quando un prigioniero per essersi allontanato dal posto, ebbe l’amara sorpresa di non trovare, al ritorno, il suo pezzo di pane, perché qualcuno glielo aveva portato via. Successe il finimondo. Costui aggredì con selvaggia furia tutti i vicini. Ricordo poi le donne di Sparanise che con ceste colme di viveri, sostavano lungo il viottolo adiacente al campo, distribuendo qualcosa da mangiare ai prigionieri che tendevano le mani oltre i reticolati. Ricordo una miriade di mani tese verso i gruppi di donne che distribuivano un pò di cibo a tutti. Ma riuscire ad afferrare qualcosa, era impresa disperata, a causa della calca che schiacciava contro il filo spinato quelli che stavano in prima fila, i quali si producevano ferite lacere al volto ed in altre parti del corpo. Sempre le donne, riunite in gruppi, tra una sentinella e l’altra, permettevano ai più audaci di allargare le maglie dei reticolati e scappare all’esterno, mescolandosi tra loro. Il fortunato evaso, camminando con la schiena curva, veniva accompagnato lontano dal campo. Alcune giovani donne, nel generoso tentativo di distrarre in ogni modo le sentinelle, arrivavano al punto di scoprire parte del seno e delle cosce..”. Anche il Generale Alfonso Cascone, 82 anni, di Castellammare di Stabia ha voluto dare la sua testimonianza. “Avevo vent’anni, ha detto, ero allievo dell’Accademia Militare di Artiglieria e Genio di Torino. L’11 settembre fummo inviati in licenza e così tentai di raggiungere casa. Per Napoli da Roma funzionava solo la linea Cassino. Senza divisa, parte a piedi e parte in treno, non so come, sono arrivato a Capua. Qui, però, il 24 settembre, sono stato catturato da una pattuglia tedesca e fui portato a Sparanise dove incontrai molti miei concittadini tra i quali mio fratello Benito e l’attuale ing. Talamo (mio cognato), all’epoca entrambi diciottenni. Con loro vi erano altri 3 paesani diciottenni, un diciannovenne e due venticinquenni. Tra questi Catiello Langella e Giovanni Esposito finiti in Germania. Io mi facevo chiamare Catello Di Capua perché non volevo che mi separassero da mio fratello. In quei tre, quattro giorni trascorsi a Sparanise non toccammo cibo, giacché era mia convinzione che chi si recava a prendere il mangiare non tornava indietro. Ricordo, infatti, che su di un lato del campo vi era la linea ferroviaria su cui sostava un convoglio con numerosi carri ferroviari. Era mia convinzione che chi si recava a prendere il mangiare veniva condotto su quei carri per essere portato in Germania. Nel campo dormivamo per terra, sotto piccole tende. Ricordo che vi era anche un tendone in cui sostavano alcuni ufficiali italiani in divisa. Credo che fossero prigionieri anche loro. Il 28 settembre, a causa di una frase detta da mio fratello ad un ufficiale tedesco, siamo stati trasportati a Teano a pulire e fare le striglie ai cavalli che i tedeschi sequestravano agli italiani. Con me e mio fratello c’erano altri 8 deportati di Castellammare tra i quali Giovanni Mutti di 19 anni ed un tale Mollo detto “Tubettiello” . Dei nove amici di Castellammare, quattro sono già passati dall’altra parte e tre li ho persi di vista”. Dopo la fuga dal campo quel 19 ottobre, non sono più tornato a Sparanise”.
Giovanni Desiderio, invece, è stato il più giovane deportato d’Italia. Aveva 16 anni quando fu rastrellato, nel settembre 43, a Castellamare di Stabia con altri 5000 concittadini. Oggi ha 79 anni ed ha trascorso la vita a commerciare legno. Anche lui ha ricordato la sua permanenza al campo. “Furono tre giorni, dal 25 al 27 settembre 1943, trascorsi all’addiaccio, stipati come sardine in un campo che allora contava circa 10 mila deportati. Solo noi – ha spiegato – stipati in 70 su un treno di una ventina di vagoni potevamo essere 1500. Arrivai a Sparanise la notte del 25 settembre, in un carro bestiame con altre 60 persone: 40 erano avanzi di galera provenienti da Poggioreale, gli altri eravamo studenti, perlopiù universitari. Da qui ripartimmo il 27 settembre e, dopo sette giorni di viaggio, arrivammo a Dacau. Del campo di smistamento di Sparanise ricordo le donne che donavano fichi bianchi ai prigionieri attraverso i reticolati. Poi il lungo piazzale della ferrovia ed un capannone. Il campo era delimitato da filo spinato e vi erano sentinelle tedesche ogni dieci metri. Poteva contenere anche diecimila persone. La notte del 27 settembre per esempio, eravamo stipati in 60 in ognuno dei trenta vagoni in partenza, per un totale di circa 1800 persone. Qualcuno riusciva a scappare, ma diversi sono stati anche fucilati mentre cercavano di scavalcare il ponte che costeggia la ferrovia e poi venivano fatti seppellire dagli stessi prigionieri. Ricordo ancora mio padre che venne a Sparanise per protestare con i tedeschi dal momento che avevo solo 16 anni e la mia età non rientrava tra quelle previste dal manifesto di rastrellamento (18 anni). Aveva 50 anni, venne con il cavallo ed il biroccio, ma se ne dovette tornare a piedi. Ricordo che seguì l’ufficiale tedesco per una settimana cercando di riprendersi il cavallo cui era molto legato”.
Il maresciallo Walter Scialdone, invece, si è trovato nel campo per una triste circostanza. La morte del padre. Il 5 settembre 1943, spiega, gli arriva a Capua la telefonata della morte del padre. Gli danno 5 giorni di licenza, ma al ritorno in aeroporto a Grazzanise, non trova nessuno. Qualcuno gli dice di andare all’aeroporto di Galatina (Lecce) ma lui preferisce ritornare a casa. L’indomani, però, il 12 settembre, alle 4.30 di mattina, due tedeschi bussano alla porta di casa e lo portano nel campo di concentramenti di Sparanise. A quell’ora è il primo ed unico prigioniero del campo. “C’erano solo due guardie all’ingresso del campo, nei pressi del cancello di legno - ha spiegato –. Poco tempo dopo vennero quattro ufficiali tedeschi, uno dei quali mi fissava. Poi venne verso di me e mi disse: “Ma tu sei Walter? Ti ricordi di me? Dell’aeroporto di Stalino in Russia? Poi mi venne vicino e mi abbracciò: eravamo stati due anni insieme in Russia. Tutte le mattine segnavamo i numeri degli aeroplani che partivano dall’aeroporto di Stalino. Gli dissi della licenza e del rientro a Capua, dove non c’era più nessuno. Allora lui mi disse :”Vieni come me! E mi portò verso il ponte piccolo, alzò il reticolato, mi abbracciò di nuovo e mi sussurrò:”Buttati e nasconditi”. Io mi buttai giù dalla scarpata di due metri e dietro il ponte, presi una strada che portava verso l’attuale tabacchificio. Qui incontrai due tedeschi, ma mi chiesero solo di accendere una sigaretta. Allora arrivai a casa ma, dopo tre giorni, mi nascosi a casa della Contessa Giuseppina Fatigati Marinelli. Qui, oltre alla Contessa, c’erano il Conte Antonio, le quattro figlie Carmen (di 23 anni), Franca (21), Domenica (23), Clotilde (20) e diversi rifugiati: la famiglia Scialdone, Maria e Libero Graziadei, Eduardo Rebulla, Vitaliano Pucciarelli, la signora Frecentese e la figlia adottiva Filomena di 17 anni. Sara stato forse anche questo il motivo per cui il 15 settembre 43, i guastatori tedeschi minarono prima il palazzo Marinelli e poi, la casa della signora Frecentese, rimasta uccisa sotto le materie".
Poi c’è la testimonianza di Padre Gaspare Tessarolo, deportato a Sparanise nel settembre 43. E’ riportata nel sito della parrocchia della Sacra Famiglia di Napoli, dove padre Gaspare Tessarollo fondò una chiesa, una casa famiglia ed iniziò numerose attività umanitarie. Quella di Giuseppe Catalano e Giuseppe Esposito di Sarno, ancora viventi: il primo liberato grazie alla manomissione della carta d’identità , il secondo, invece, dopo una settimana fu deportato in Germania. E ancora le testimonianze di Vespasiano Fusco e Guido Bucciaglia di Sparanise. Il primo, ha ricordato come diverse volte i prigionieri scappavano dal campo, scendendo lungo il tubo dell’acqua ed entrando nel giardino della sua casa che costeggiava un lato del campo. Qualche evaso, finita la guerra, è anche ritornato a ringraziare suo padre. Guido Bucciaglia, invece, ha ricordato come il padre Domenico, insieme ad altri ferrovieri sparanisani davano i loro berretti e le loro giacche ai prigionieri che riuscivano a scappare sotto il filo spinato, per confondere i tedeschi.
Ancora un esempio dello spirito di condivisione della popolazione di Sparanise.
Per una strana coincidenza del destino, nel luogo in cui sessant’anni fa c’era il campo di concentramento tedesco, oggi, ci sono due scuole: la scuola Media “L. Da Vinci” e la sede succursale dell’Istituto Tecnico Commerciale “G. Galilei”con le sue 23 aule. Una circostanza questa, spesso sconosciuta agli stessi studenti, da quanto il tempo, cancellando i resti di quel campo, ne a rimosso e cancellato perfino il ricordo. Eppure era stato capace di ospitare fino a diecimila persone contemporaneamente. Di qui l’idea di dedicargli un convegno.
Il nostro Istituto, ha spiegato il preside del Galilei, Raffaele Adduce, è Scuola Polo per la Didattica della Storia, per cui si è posto l’obiettivo di gettare nuova luce sul campo nazista, a partire dall’individuazione precisa del sito, come ha fatto in passato per il Campo Francese, per le Vittime dell’Eccidio nazista del 22 ottobre e per Don Francesco D’Angelo, il cappellano militare sparanisano tre volte condannato a morte dai tedeschi, al quale abbiamo dedicato la biblioteca. L’incontro infatti dovrebbe far ricordare una pagina di storia locale, troppo presto dimenticata, soprattutto dai giovani studenti. Non a caso per l’occasione sono arrivati a Sparanise, da Napoli, anche cento studenti delle classi quinte del Liceo Scientifico “Mercalli” con i loro insegnanti. Noi li ringraziamo, perché sono stati loro, chiedendoci notizie del nostro campo di concentramento, a farci venire l’idea del convegno.

prof. Paolo Mesolella ITC Sparanise (Ce)

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