A.Q. - 18-11-2004 |
Appena prima della trionfale rielezione di George Bush alla Casa Bianca Robert Reich aveva concesso ad un settimanale economico-finanziario italiano una lunghissima intervista che l’articolista aveva titolato ‘ L’America deve riscoprire le virtù della solidarietà ‘. Robert Reich è stato responsabile, negli anni che furono di Clinton, del dicastero americano del lavoro. Ultimata la sua esperienza politica è ritornato ad insegnare economia alla ‘ Brandeis University ‘ di Boston. In quella intervista Reich, tra le altre cose estremamente allarmanti della politica di Bush, premiata elettoralmente dagli americani, asseriva: “ In America l’80 per cento della popolazione vive un momento difficilissimo. Non riesce più a comprare nulla, a sostenere i costi del college per i figli né della sanità. ( … ) … in America cinquanta milioni di cittadini sono tuttora privi di assistenza sanitaria. E’ una situazione che qui in Europa faticate perfino a comprendere e che qualsiasi amministrazione decente dovrà sanare. Poi servirà una contro-riforma fiscale elaborata in modo progressivo che sovverta l’attuale situazione regressiva. Vede, in America ci sono delle persone ricchissime ad un livello che non si riesce neanche ad immaginare. E’ necessario che siano loro a finanziare la sanità, i programmi per i più poveri e svantaggiati, le facilitazioni per gli anziani e simili misure. A prendersi carico, almeno in una certa misura, delle necessità della maggior parte dei loro concittadini, anziché continuare a vivere indisturbati nella loro torre di privilegio, pagando poche tasse e sfruttando i più poveri. E’ necessario, giusto e urgente capovolgere questa situazione. ( … ) Fare la guerra è stato un errore, non c’era nessuna minaccia di Saddam contro l’America né affiliazioni con Bin Laden né armi di distruzione. Non a caso George padre aveva evitato di infilarsi in una trappola del genere. George W., il figlio, lo sapeva pure lui. Ma è un bugiardo. La sua malafede è evidente dall’intera gestione del dopo 11 settembre: su quell’evento drammatico ha costruito l’intera sua presidenza. Nel nostro paese si deve parlare della guerra, al presidente fa comodo distrarre l’opinione pubblica per non parlare dell’economia, che invece è il punto più dolente. ( … ) I consumatori sono in difficoltà già da molto tempo. La catastrofe del debito privato è sotto gli occhi di tutti. Ora oltretutto si sta esaurendo la spinta propulsiva che ha avuto l’ondata di rifinanziamenti sui mutui immobiliari degli ultimi due anni, quelli dei tassi favorevoli. Mancano i soldi nella tasche degli americani, i salari non crescono, e intanto i prezzi di cibo ed energia aumentano ben più dell’inflazione. L’unico mercato che reggeva era quello immobiliare, ma ho paura che stia per crollare visto che era sostenuto dai tassi bassi, un’epoca che sta tramontando. ( … ) “ L’autore della rilettura, Bradfrod DeLong, insegna economia all’università della California di Berkeley. “ Nel secondo trimestre del 2004, il deficit della bilancia commerciale degli Stati Uniti ha raggiunto il 5,7 per cento del pil. Eppure il valore del dollaro rimane relativamente alto: meno del 20 per cento al di sotto della sua punta più alta nel 2001 e, in termini reali, più del 10 per cento al di sopra della prima metà degli anni novanta. Negli ultimi cinque anni, man mano che il deficit della bilancia commerciale saliva, gli economisti di tutto il mondo facevano a gara nel prevedere il disastro: gli utili sui capitali investiti negli Stati Uniti sono piuttosto bassi, perciò a un certo punto – probabilmente tutti insieme – i detentori di titoli in dollari si renderanno conto che il rischio di una grossa perdita di valore non è adeguatamente compensato. Appena gli investitori cominceranno a vendere i loro titoli in dollari ci sarà una fuga generale, e il valore del dollaro crollerà scatenando la prima grande crisi economica mondiale del ventunesimo secolo. Fred Bergsten dell'Institute for international economics definisce questa situazione "un disastro in fieri". Quanto dovrà scendere ancora il dollaro? La prima regola empirica basata sui precedenti storici ci dice che scenderà del 10 per cento per ogni punto percentuale di deficit insostenibile rispetto al pil. La seconda regola è che le valute in declino tendono a schizzare verso l'alto: quando si sta per toccare il fondo, le persone che speculano sulle valute di tutto il mondo cercano di ottenere un sostanzioso premio di rischio per timore che il crollo della valuta scateni qualcosa di peggio. Quando arriverà questo crollo e questa crisi del dollaro? "Presto", assicura Bergsten. Ma probabilmente si sbaglia. Rudiger Dornbusch diceva che le situazioni insostenibili durano più a lungo di quanto possano immaginare gli economisti che credono nella razionalità e nell'equilibrio del mercato. E poi tendono a precipitare più rapidamente di quanto chiunque possa pensare. A suo avviso, la sopravvalutazione di una moneta attraversa cinque fasi. Nella prima, gli speculatori a breve termine che cercano profitti più alti, o quelli eccessivamente preoccupati per la sicurezza, spingono il valore di una valuta a livelli insostenibili. Nella seconda, quelli che seguono le tendenze continuano a comprare perché negli ultimi tempi i profitti sono stati alti, determinando così un livello e una durata della sopravvalutazione che gli economisti ortodossi non sono in grado di spiegare. Nella terza, gli economisti più intelligenti, stupiti da questa durata, sviluppano teorie sul perché le cose stanno andando diversamente, e ipotizzano che forse stavolta la sopravvalutazione sarà sostenibile. Nella quarta, gli speculatori al rialzo, incoraggiati dalle teorie sulla "nuova economia" che giustificano i profitti straordinariamente alti degli ultimi tempi, continuano a comprare e mantengono alta la valuta ancora per un po' di tempo a dispetto dei princìpi fondamentali dell'economia. Nella quinta, le risorse degli acquirenti entusiasti e degli investitori che seguono le tendenze si esauriscono, producendo un crollo. Negli ultimi sei mesi, il ciclo del dollaro è entrato nella sua terza fase. Louis Uchitelle del New York Times cita l'intelligente commento di Catherine Mann sul "rapporto d'interdipendenza tra gli Stati Uniti e i loro partner commerciali", che potrebbe "durare ancora un po' di tempo", perché "gli Usa e i loro principali partner hanno interesse a mantenere lo status quo". Il Giappone, la Cina e altri paesi dell'Asia orientale la cui economia si basa sulle esportazioni sono interessati a mantenere il valore del dollaro relativamente alto, e le loro banche centrali hanno accumulato quasi due trilioni di titoli in dollari. Il governo cinese considera il rischio di perdite di capitale sui suoi titoli in dollari meno importante della necessità di mantenere una situazione di piena occupazione nelle città industriali della costa, come Shanghai. Dopotutto, gli oligarchi comunisti al potere si sono ormai abituati a condurre uno stile di vita confortevole: non vogliono certo che la disoccupazione di massa e i disordini nelle città mettano a rischio la loro posizione. Ma se gli speculatori internazionali cominciano a sentire il profumo dei profitti quasi inevitabili che trarrebbero da un declino del dollaro, tutte le banche centrali asiatiche messe insieme non riusciranno a mantenere alta la valuta americana. Solo la Federal reserve può farlo – ed è molto improbabile che la banca centrale statunitense sacrifichi i posti di lavoro degli americani sull'altare di un dollaro forte. L'atterraggio potrebbe tuttavia essere morbido, che sia lento o veloce: durante l'ultimo grande ciclo del dollaro, dal 1985 al 1987, la nostra valuta è scesa del 40 per cento senza mai causare panico, gravi bancarotte o la richiesta da parte degli investitori di un grosso premio di rischio per compensarli di aver conservato titoli in una valuta in declino. Ma la regola empirica che possiamo dedurre dalla storia è che le probabilità di un atterraggio veloce e duro hanno ormai superato il 25 per cento, e continuano ad aumentare.” |