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Il senso della vita nelle cose d'amore
Repubblica - 03-11-2004
Non è una cosa tranquilla, non è delicatezza confidenza comprensione
di UMBERTO GALIMBERTI

Pubblichiamo parte dell´introduzione del libro di "Le cose dell´amore" (Feltrinelli, pagg. 171, euro 8) che esce in questi giorni

Perché un libro sull´amore? Perché, rispetto alle epoche che ci hanno preceduto, nell´età della tecnica l´amore ha cambiato radicalmente forma. Da un lato è diventato l´unico spazio in cui l´individuo può esprimere davvero se stesso, al di fuori dei ruoli che è costretto ad assumere in una società tecnicamente organizzata, dall´altro lato questo spazio, essendo l´unico in cui l´io può dispiegare se stesso e giocarsi la sua libertà fuori da qualsiasi regola e ordinamento precostituito, è diventato il luogo della radicalizzazione dell´individualismo, dove uomini e donne cercano nel tu il proprio io, e nella relazione non tanto il rapporto con l´altro, quanto la possibilità di realizzare il proprio sé profondo, che non trova più espressione in una società tecnicamente organizzata, che declina l´identità di ciascuno di noi nella sua idoneità e funzionalità al sistema di appartenenza.
Per effetto di questa strana combinazione, nella nostra epoca l´amore diventa indispensabile per la propria realizzazione come mai lo era stato prima, e al tempo stesso impossibile perché, nella relazione d´amore, ciò che si cerca non è l´altro, ma, attraverso l´altro, la realizzazione di sé.
Nelle società tradizionali, da cui la tecnica ci ha emancipato, vi era poco spazio per le scelte del singolo e la ricerca della propria identità.
Oggi l´unione di due persone non è più condizionata dalla lotta quotidiana per la sopravvivenza, o dal mantenimento e dall´ampliamento della propria condizione di privilegio sociale e di prestigio, ma è il frutto di una scelta individuale che avviene in nome dell´amore, sulla quale le condizioni economiche, le condizioni di classe o di ceto, la famiglia, lo Stato, il diritto, la Chiesa non hanno più influenza e non esercitano più alcun potere, sia in ordine al matrimonio dove due persone in completa autonomia si scelgono, sia in ordine alla separazione e al divorzio dove, in altrettanta autonomia, i due si congedano.
L´amore perde così tutti i suoi legami sociali e diventa un assoluto (solutus ab, sciolto da tutto), in cui ciascuno può liberare quel profondo se stesso che non può esprimere nei ruoli che occupa nell´ambito sociale.
L´amore diventa a questo punto la misura del senso della vita, e non ha altro fondamento che in se stesso, cioè negli individui che lo vivono, i quali, nell´amore, rifiutano il calcolo, l´interesse, il raggiungimento di uno scopo, persino la responsabilità che l´agire sociale richiede, per reperire quella spontaneità, sincerità, autenticità, intimità che nella società non è più possibile esprimere.
È come se l´amore reclamasse, contro la realtà regolata dalla razionalità tecnica, una propria realtà che consenta a ciascuno, attraverso la relazione con l´altro, di realizzare se stesso. E in primo piano, naturalmente, non c´è l´altro, ma se stesso. E questo di necessità, quindi al di fuori di ogni buona o cattiva volontà, perché a chi sente di vivere in una società che non gli concede alcun contatto autentico con il proprio sé, come si può negare di cercare nell´amore quel sé di cui ha bisogno per vivere e che altrove non reperisce?
Ma così l´amore si avvolge nel suo enigma: il desiderare, lo sperare, l´intravedere una possibilità di realizzazione per se stessi cozzano con la natura dell´amore che è essenzialmente relazione all´altro, dove i due smettono di impersonare ruoli, di compiere azioni orientate a uno scopo e, nella ricerca della propria autenticità, diventano qualcosa di diverso rispetto a ciò che erano prima della relazione, svelano l´uno all´altro diverse realtà, si creano vicendevolmente ex novo, cercando nel tu il proprio se stesso.
Se tutto ciò è vero, nell´età della tecnica, dove sembrano frantumati tutti i legami sociali, l´amore, più che una relazione all´altro, appare come un culto esasperato della soggettività, in perfetta coerenza con l´esasperato individualismo cui non cessa di educarci la nostra cultura, per la quale l´altro è solo un mezzo per l´accrescimento di sé. L´amore non è ricerca della propria segreta soggettività, che non si riesce a reperire nel vivere sociale. Amore è piuttosto l´espropriazione della soggettività, è l´essere trascinato del soggetto oltre la sua identità, è il suo concedersi a questo trascinamento, perché solo l´altro può liberarci dal peso di una soggettività che non sa che fare di se stessa.
Che cos´è quel desiderarsi degli amanti, quel loro cercarsi e toccarsi se non un tentativo di violare i loro esseri nella speranza di accedere a quel vertice morale che è la comunicazione vera, al di là di quella finta comunicazione a cui ci obbliga la nostra cultura della funzionalità e dell´efficienza?
Per essere davvero il controaltare della tecnica e della ragione strumentale che la governa, amore non può essere la ricerca di sé che passa attraverso la strumentalizzazione dell´altro, ma deve essere un´incondizionata consegna di sé all´alterità che incrina la nostra identità, non per evadere dalla nostra solitudine, né per fondersi con l´identità dell´altro, ma per aprirla a ciò che noi non siamo, al nulla di noi.
Per questo diciamo che amore non è una cosa tranquilla, non è delicatezza, confidenza, conforto. Amore non è comprensione, condivisione, gentilezza, rispetto, passione che tocca l´anima o che contamina i corpi. Amore non è silenzio, domanda, risposta, suggello di fede eterna, lacerazione di intenzioni un tempo congiunte, tradimento di promesse mancate, naufragio di sogni svegliati. Amore è violazione dell´integrità degli individui, è toccare con mano i limiti dell´uomo.
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