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Nostro sacro universo
Repubblica quotidiano - 30-10-2004


Qual è il senso di questo Universo smisurato in cui apparentemente non siamo niente, di queste leggi che assillano la ragione umana, di tutto quello che ci domina a partire dalla sua altera e suprema estraneità? C´è solo un senso? Questa è la domanda, la domanda che affrontiamo ora con un certo timore. Timore, evidentemente, che le nostre menti non siano all´ altezza, timore che sia senza risposta, o che i tempi non siano maturi per comprenderla, timore, infine, di parlare a sproposito di speranza e di saggezza.

La filosofia non ci aiuta minimamente in questo ambito, l´abbiamo appena visto. E la scienza? Steven Weinberg, un grande fisico contemporaneo, ci dice, dopo aver descritto le incontestabili meraviglie dell´universo, che, per quanto ne sa, questo Universo gli sembra privo di senso, pointless: non conduce a nulla. Che confessione! Altri (e lui stesso) si esaltano per lo splendore delle leggi e per la loro magnifica unità, per la gioia di scoprirle. Ma hanno un senso per noi umani, per coloro che soffrono di disperazione e di vuoto interiore? I cantori dell´astratto non ne dicono niente.

Di fatto la questione è insolubile se ci si aspetta una spiegazione dell´Universo e delle leggi che diano ad esso un significato. Questo significato sarebbe in effetti, se fosse verificato, una verità al di là di quelle della scienza e dell´esperienza: una verità metafisica. Ma una verità di questo genere è inaccessibile alla ragione, Kant rimane incontestabile su questo punto, poiché non è scientifica e sfugge all´esperienza.
Siamo profondamente coscienti della bellezza delle leggi e della gioia che danno a chi si accosta ad esse: e non siamo meno sensibili al desiderio insopprimibile di trovare un senso al mondo. Bertrand Jordan, un biologo di qualità, ha trovato le parole per esprimere questo desiderio o questo bisogno, questa richiesta, in Le Chant d´amour des concombres de mer : « Il fatto inaudito, eppure verificato è che questo edificio (della vita) è stato costruito dal gioco di mutazioni aleatorie. Malgrado l´abbondanza delle prove di cui disponiamo, continua talvolta ad essere difficile credere che sistemi così interconnessi derivino da un processo governato dal caso. Il caso (...) e la necessità (delle leggi) (...). Faccio fatica a credere che la meccanica perfetta del mio corpo, questi occhi che abbracciano il paesaggio nella quiete mattutina, queste orecchie piene del rumore delle onde, questo stesso cervello che riflette (...) derivino da un gioco di mutazioni senza un fine predefinito, da innumerevoli tiri di dadi successivi avvenuti nel corso di un´evoluzione che si perde nella notte di milioni, di miliardi di anni. Lo so intellettualmente, le prove ci sono, e non potrebbero essere più certe, le ho riconosciute anche io stesso nel mio lavoro di ricercatore. (...) È possibile anche analizzare le ragioni stesse della mia incredulità, eppure qualcosa in me è restio ad ammettere questa costruzione del caso: mi sembra che sottragga al mondo ogni significato profondo e, tra l´altro, che neghi la mia esistenza ».

Non possiamo che unirci a Jordan. Intellettualmente, sappiamo che la domanda sul senso è senza risposta, o almeno che la risposta è al di là dell´orizzonte dell´attuale sapere. Eppure, quali parole sono uscite dalla nostra penna e da quella di Jordan? Sofferenza, vuoto interiore, bellezza, gioia, desiderio, ripugnanza, fatica a credere... Appartengono tutte alla sfera del sentimento; un sentimento che lotta con l´intelletto. Si potrebbe dire che la questione non consiste nel trovare il significato intellettuale dell´Universo e delle leggi, ma nell´integrare questa conoscenza alla coscienza, una coscienza più vasta della pura conoscenza, che ingloba i sentimenti, compreso il sentimento di sé. È in me, tramite me, per me che voglio fare della conoscenza una parte vivente di me, e non un´estranea assoluta.

Un grande neurobiologo, Antonio Damasio , ci aiuterà a dare corpo a questa idea ancora vaga, alla luce dei recenti risultati riguardanti il cervello e la coscienza. Ecco che cosa dice: « Forse l´idea più sorprendente (derivata dalle ricerche a questo proposito) è che, in conclusione, la coscienza inizia come un sentimento. (...) Considerare la coscienza come un sentire di sapere è coerente con l´importante dato di fatto che ho citato a proposito delle strutture cerebrali legate più strettamente alla coscienza. (...) Presentare le radici della coscienza come un sentimento dà modo di mettere insieme una spiegazione del senso di sé. (...) Se si sostiene che i sentimenti sono gli elementi costitutivi della coscienza, si è costretti a indagare la natura intima dei sentimenti. Di che cosa sono fatti i sentimenti? (Notiamo che precedentemente l´autore ha esposto il supporto biologico, umorale delle emozioni, che sono primarie rispetto ai sentimenti). I sentimenti sono la percezione di cosa? Quanto possiamo scavare dietro i sentimenti? Sono domande alle quali per il momento è impossibile rispondere in modo completo. (...) La realizzazione della coscienza umana potrebbe richiedere l´esistenza dei sentimenti».

L´ultima frase appariva in occasione di una breve discussione su ciò che distingue la conoscenza registrabile da una macchina (un computer) e quella stessa conoscenza nella coscienza umana. Si potrebbero concepire macchine che facciano esperienze, che ricorrano a un´intelligenza artificiale e arrivino ad accrescere la conoscenza dell´Universo e delle leggi, ma «la realizzazione della coscienza umana potrebbe richiedere l´esistenza dei sentimenti». Non sarà forse questa la chiave della nostra domanda?

L´Universo, le leggi, suscitano evidentemente sentimenti forti nei ricercatori impegnati nel loro lavoro. Ne derivano piacere, certo, anche se André Lichnerowicz ha giustamente notato: « La ricerca? Apporta grandi momenti di gioia, ma sempre dopo mesi o anni di frustrazione ». Ciononostante, non si tratta dei sentimenti dei ricercatori, si tratta di quelli dell´uomo in generale. Qual è il senso più vasto, come sentimento generatore di una coscienza, che corrisponde a quello che c´è di più elevato nella conoscenza, le leggi elaborate dell´Universo? La nostra risposta, quella che sentiamo profondamente, è la seguente: è il senso del sacro.

Il sacro! « Ma non si tratta di religione? », direte voi. Sì, si tratta proprio di questo, ma anche di qualcosa di più. Occorre credere in Dio per sentire la presenza del sacro ascoltando alcuni pezzi di Bach o di Mozart? Non c´è forse una componente sacra nella natura dell´uomo anche agli occhi di molti atei? Bertrand Russell, agnostico dichiarato e lucido, se ce ne sono stati, ha riferito le sue esperienze per così dire "mistiche" dell´insorgere del sacro. Il fatto non è del resto così strano. Di che cosa si tratta? Per rispondere rivolgiamoci a Mircea Eliade , ritenuto un valido giudice in materia: « L´esperienza del sacro (...) implica le nozioni di essere, di significato e di verità. (...) È difficile immaginare (...) come lo spirito umano potrebbe funzionare senza la convinzione che nel mondo vi sia qualcosa di irriducibilmente reale; ed è impossibile immaginare come la coscienza potrebbe manifestarsi senza conferire un significato agli impulsi e alle esperienze dell´uomo. La coscienza di un mondo reale e dotato di significato è legata intimamente alla scoperta del sacro. Mediante l´esperienza del sacro, lo spirito umano ha colto la differenza tra ciò che si rivela reale, potente, ricco e dotato di significato, e ciò che è privo di queste qualità: il flusso caotico e pericoloso delle cose, le loro apparizioni e le loro scomparse fortuite e vuote di significato (...). Il "sacro" è insomma un elemento della struttura della coscienza, e non uno stadio nella storia della coscienza stessa ».

GEORGES CHARPAK E ROLAND OMNÈS


Traduzione di Federica Niola



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