breve di cronaca
La dottrina revisionata
il manifesto - 30-10-2004
E' uscito, dopo cinque anni di gestazione, il «Compendio della dottrina sociale della Chiesa»: circa 500 pagine di cui 200 di indici, con cui la chiesa cattolica cerca di far sentire ancora una volta la sua voce in un momento per lei non facile, come dimostra il rifiuto della menzione delle radici cristiane nella carta costituzionale europea. La dottrina sociale della chiesa cattolica era era stata codificata da leone XIII nella «Rerum novarum» (1891). No sia a una destra di stampo liberale, sia, e soprattutto, a una sinistra di stampo socialcomunista. I papi successivi l'avevano confermata e precisata, soprattutto dopo la tragedia delle guerre mondiali. I vari partiti che vi si erano ispirati, soprattutto la Dc, avevano cercato di metterla in pratica. Il suo luogo era, ovviamente, il centro, proprio quel centro che gli odierni bipolarismi mettono in dubbio. La chiesa poteva ancora avere voce in capitolo in campi che riteneva suoi, fondamentali per la vita sociale di credenti e non? Era logico un ripensamento e una rielaborazione. Il testo non presenta grandi novità. Sugli stessi temi il magistero cattolico si era già espresso più volte negli anni recenti, soprattutto su quelli riguardanti la vita, la famiglia, il sesso, proprio quelli che gli sembrano più scottanti e discussi. Qualche esempio dal Compendio: «Il diritto alla vita, dal concepimento fino al suo esito naturale, condiziona l'esercizio di ogni altro diritto e comporta l'illiceità di ogni forma di aborto procurato e di eutanasia». No assoluto al terrorismo e anche alla guerra «di aggressione». Ma «i responsabili di uno stato aggredito hanno il diritto e il dovere di organizzare la difesa anche usando la forza». La guerra preventiva «non può che sollevare gravi interrogativi sotto il profilo morale e giuridico». Bush e Blair se la cavano così, con i «gravi interrogativi».

Il testo, non soltanto in questo caso, cerca le mediazioni. Anche nel caso della condanna della pena di morte: «La Chiesa vede come un segno di speranza la sempre più diffusa avversione dell'opinione pubblica alla pena di morte». Sembra che si sia fatta attenzione affinché nessun governo ne esca apertamente condannato (forse soltanto Zapatero). Neppure Berlusconi, neppure per la legge Bossi-Fini sulla immigrazione.

Si alla democrazia «che non è soltanto il risultato di un rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedure democratiche». Non si dice, però, che la vera democrazia richiede una certa eguaglianza anche economica: forse l'ombra lunga del comunismo mette ancora paura, ma è vero che «i beni, anche se legittimamente posseduti, mantengono sempre una destinazione universale». Forse, un po' poco, di fronte alla capacità distruttiva del grande capitale. «La dottrina sociale, pur riconoscendo al mercato la funzione di strumento insostituibile di regolazione all'interno del sistema economico, mette in evidenza la necessità di ancorarlo a finalità morali». Basterà?

Il «Compendio», forse per essere accettato da tutti, nei temi economici e politici sembra talvolta ispirato più a un largo buon senso che alla radicalità evangelica. Quella che beatificava gli ultimi e condannava il ricco Epulone. A programmare le mediazioni pensano già molte autorità, forse troppe. C'è proprio bisogno che lo facciano anche le chiese?

Nei temi di etica familiare e sessuale, invece, il compendio rivendica la classica specificità cattolica. Una specificità discutibile e, in effetti, sempre più discussa anche all'interno del mondo cristiano.

Filippo Gentiloni

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 Riccardo Ghinelli    - 31-10-2004
L'articolo che riportate pone l'accento su quelle che chiama "mediazioni". Tali appaiono se si considera il documento come tentativo "a posteriori" di trovare soluzioni a problemi contemporanei e talvolta contingenti.
Dal punto di vista del cristiano è invece qualcosa di totalmente diverso: è la sorgente della dottrina, che precede i problemi.
Il Compendio è il risultato, in qualche caso, di una dialettica che dura da secoli, su questioni millenarie, come ad esempio quella della proprietà privata, sulle quali nella Chiesa si dibatte dal Medioevo.
Segna la strada rispetto alla quale la condotta umana può essere più o meno allineata, per alcuni in un un senso e per alcuni in un altro. Per questo, a chi la considera un fatto concepito a posteriori rispetto ai problemi contemporanei, appare una mediazione.
Ma per chi crede (attraverso la Fede) che sia la migliore interpretazione della volontà di Dio disponibile al momento, "mediazione" appare un termine molto riduttivo.
In un momento in cui sembrano mancare i punti di riferimento, un approfondimento della dottrina sociale della Chiesa mi sembra un fatto da prendere in considerazione.

 Pierangelo    - 01-11-2004
"Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno." (Mt. 5,37)
In questo senso mediazione appare un termine negativo. Ci si aspetterebbero posizioni più nette sui grandi argomenti della pace e della giustizia, almeno attrettanto nette di quelle alle quali siamo abituati in tema di morale sessuale, quando la Gerarchia sbircia all'interno delle mutande dei credenti e, ahimé, anche di coloro che credenti non sono.
E invece, via via compendiando, ci si accorge che addirittura Leone XIII era in confronto uno che diceva pane al pane e vino al vino. Figurati se nel 2004 c'è qualcuno che ritiene di abolire per legge la proprietà privata! Ma che gli scompensi tra Nord e Sud del mondo derivano dall'accumulazione delle risorse che sono di tutti nelle mani solo di alcuni, qualcuno lo dovrà pur dire e ci si aspetta che i Cristiani siano in prima fila nell'affermarlo.
Parliamo di Dottrina sociale della Chiesa, allora. Ma non possiamo parlarne senza scontentare nessuno.
Nella "Rerum Novarum" (1891) di Papa Leone XIII viene auspicata una certa concezione dei rapporti tra lo Stato ed i cittadini. La Rerum novarum critica i due sistemi sociali ed economici: il socialismo e il liberalismo. Al primo è dedicata la parte iniziale, nella quale si riafferma il diritto alla proprietà privata; al secondo non è dedicata una speciale sezione, ma — cosa meritevole di attenzione — si riservano le critiche, quando si affronta il tema dei doveri dello Stato. Questo non può limitarsi a "provvedere ad una parte dei cittadini", cioè a quella ricca e prospera, e non può "trascurare l’altra", che rappresenta indubbiamente la grande maggioranza del corpo sociale; altrimenti si offende la giustizia, che vuole si renda a ciascuno il suo. "Tuttavia, nel tutelare questi diritti dei privati, si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri. La classe dei ricchi, forte per se stessa, ha meno bisogno della pubblica difesa; la classe proletaria, mancando di un proprio sostegno, ha speciale necessità di cercarla nella protezione dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e bisognosi, lo Stato deve rivolgere di preferenza le sue cure e provvidenze".

Nella "Octogesima adveniens" (1971) Papa Paolo VI, dopo aver condannato il marxismo, dice a proposito del liberalismo:

"Dall`altra parte si assiste a un rinnovamento dell`ideologia liberale. Questa corrente si afferma sia all`insegna dell`efficacia economica, sia come difesa dell`individuo e contro le iniziative sempre più invadenti delle organizzazioni e contro le tendenze totalitarie dei poteri politici. Certamente l`iniziativa personale deve essere mantenuta e sviluppata. Ma i cristiani che s`impegnano in questa direzione, non tendono, a loro volta, a idealizzare il liberalismo, che diventa allora un`esaltazione della libertà? Essi vorrebbero un nuovo modello, più adatto alle condizioni attuali, e facilmente dimenticano che alla sua stessa radice il liberalismo filosofico è un`affermazione erronea dell`autonomia dell`individuo nella sua attività, nelle sue motivazioni, nell`esercizio della sua libertà. Ciò significa che anche l`ideologia liberale esige da parte loro un attento discernimento."

Nella bellissima "Centesimus Annus" (1991) di Papa Giovanni Paolo II viene attualizzata ai giorni nostri la dottrina sociale della Chiesa ed ancora una volta si legge una forte critica nei confronti del liberismo "spinto":

"In questo senso si può giustamente parlare di lotta contro un sistema economico, inteso come metodo che assicura l`assoluta prevalenza del capitale, del possesso degli strumenti di produzione e della terra rispetto alla libera soggettività del lavoro dell`uomo. A questa lotta contro un tale sistema non si pone, come modello alternativo, il sistema socialista, che di fatto risulta essere un capitalismo di stato, ma una società del lavoro libero, dell`impresa e della partecipazione. Essa non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società."

Considero quindi che non a caso questa destra di cialtroni, bisognosa di riferimenti culturali ed ideologici presentabili, di cui è priva, si faccia scudo sui cosiddetti "valori cristiani", che hanno a che fare con tutto meno che con il Vangelo. E rimango allibito nel vedere come, in cambio di un piatto di lenticchie, illustri porporati le diano sponda, in Italia e negli Stati Uniti. Considerando che gli stessi che si sciacquano la bocca con "Dio qua, Dio là" vedono come il fumo negli occhi i valori espressi dal Concilio Vaticano II.

"Il classismo dei ricchi si chiama interclassismo e l'anticlassismo i ricchi lo chiamano classismo" diceva Don Lorenzo Milani. Partiamo da qui per "compendiare", da insegnanti e da uomini e donne credenti del nostro tempo, la Dottrina Sociale della Chiesa.