La valutazione dell’INValSI: più rischi che vantaggi!
Maurizio Tirittico - 26-10-2004
Ho sempre sostenuto – e sostengo – la necessità di una valutazione esterna del sistema di istruzione, degli apprendimenti e degli insegnamenti nonché degli standard cosiddetti di servizio. Non possiamo permetterci di non sapere che cosa conoscono e sanno fare i nostri studenti, limitarci soltanto ai dati statistici, e lasciare che poi siano le indagini internazionali a farci le pulci sulle conoscenze e sulle competenze dei nostri giovani. Né possiamo permetterci di non sapere come funzionano i nostri istituti scolastici in termini di strutture, organizzazione, gestione, servizi, uso delle risorse, ecc. Ed ancora! Ho sempre apprezzato le attività del CEDE: pochi ma preziosi esperti, scarse risorse, prodotti sempre di eccellenza. Quindi nessuna acrimonia!
Ma, mi domando, e tutti ci domandiamo con preoccupazione: come provvederà l’INValSI nel prossimo mese di aprile alla valutazione obbligatoria (sic!) degli apprendimenti di tutti gli studenti della II e IV classe della scuola primaria e della I classe della secondaria di primo grado per l’anno scolastico 2004-05?
Nihil obstat circa il rigore scientifico delle prove e dell’efficienza della organizzazione: tutto andrà per il meglio! Ma efficienza non è sinonimo di efficacia! Mi spiego meglio.
In ogni procedura valutativa dell’apprendimento, perché sia affidabile, attendibile e valida, devono essere chiari almeno i seguenti fattori:
a) la certezza del contesto di riferimento;
b) quali conoscenze e/o competenze si intendono accertare;
c) quali criteri e strumenti si adottano per la costruzione e la somministrazione delle prove;
d) quali criteri si adottano per la loro misurazione/valutazione e quali siano le soglie di accettabilità.

Sono soddisfatti tali requisiti? Vediamoli!

Sub a) Mai si è avuto un contesto così incerto. C’è una riforma che si trova ai primi difficilissimi e contestatissimi passi. Insegnanti che sono dimezzati tra pratiche consolidate ed Indicazioni nazionali che ufficialmente… non sono affatto ufficiali – evviva gli ossimori! – ma sono solo documenti allegati ad un decreto e non il testo di un regolamento, per cui – ce lo dice lo stesso decreto – sono adottate in via transitoria! Inoltre, vengono suggerite procedure didattiche che non hanno riferimenti scientifici certi e che creano soltanto enormi problemi applicativi! Ci vengono descritti puntigliosamente obiettivi specifici di apprendimento che, mentre da un lato sono presentati come standard di prestazione del servizio che le scuole sono tenute ad assicurare a tutti i cittadini, da un altro lato, invece, quando si parla del portfolio della scuola secondaria di primo grado, sono indicati come obiettivi raggiungibili dagli stessi studenti! Abbiamo una amministrazione che in piena estate minaccia sanzioni per coloro che non applicheranno puntualmente la riforma (la nota riservata ai Direttori regionali) e che ad ottobre (sono parole del ministro, non scritte purtroppo!) afferma che la riforma va avviata adelante sì, ma con juicio, e deve essere sperimentata e convalidata nella autonomia delle scuole! Per non dire di un tutor (anche le funzioni tutoriali saranno oggetto di verifica!) di cui non si sa nulla, perché la trattativa è ancora in alto mare! E di un portfolio di cui non si danno né parametri né indicatori! Per non dire poi delle ore obbligatorie perdute. E della beffa dell’inglese dimezzato, della seconda lingua comunitaria fantasma, dell’educazione tecnica desaparicida! Solo per citare alcuni dei nodi in cui tuttora le scuole si dibattono! E che creano inquietudine, amarezza, sconcerto e che pesano indubbiamente sulla qualità stessa degli apprendimenti.

Sub b) Non è certo quali conoscenze e/o competenze si intendano accertare, in quanto mancano standard nazionali di apprendimento a cui riferirsi. Nelle scuole attualmente si procede a vista (si pensi ai problemi creati in tutte le discipline dalla cancellazione della ciclicità! Si pensi all’ibrida convivenza di libri di testo vecchi e nuovi) e ad aprile inoltre non sarà dato sapere quali obiettivi siano stati raggiunti e siano così verificabili anche dall’esterno. Ma le prove forse si attesteranno sugli obiettivi realizzati nell’anno precedente! Mah! Va allora ricordato che gli obiettivi dei programmi del ’79 e dell’85 sono stati scritti quando una valutazione esterna di sistema non era ancora in programma, e si tratta di obiettivi ampiamente descrittivi e difficilmente afferibili a standard chiaramente definiti e misurabili. Né alle scuole alla fine dello scorso anno scolastico è stata mai indicata l’imminente valutazione esterna obbligatoria (la direttiva ad hoc è del luglio di quest’anno). E non può essere considerata indicativa in assoluto l’esperienza dei tre progetti pilota, il cui scopo era quello di rodare certe iniziative valutative sulla base della volontarietà delle scuole! Le cose cambiano sostanzialmente quando il progetto non è più pilota né sperimentale bensì finalizzato alla valutazione, per lo più obbligatoria, dell’intero sistema.

Sub c) E’ certo che si tratterà di test a scelta multipla, ma non se ne conosce né l’ampiezza né lo spessore né le complessità; si sa solo che saranno somministrati nel volgere di una giornata per materia. E test di quel tipo – e parla un fanatico dei test! – sono sufficienti a saggiare un ampio spettro di conoscenze e/o competenze significative?

Sub d) Si tratta di un requisito su cui è certa soltanto la discriminante tra “risposte” vere e false, ma… quale sarà il numero degli item? Secondo quali criteri una prova sarà considerata accettabile?

Ed aggiungerei un sub e), determinante ai fini del successo dell’operazione INValSI: vi sarà un reale coinvolgimento degli insegnanti? Saranno attivate iniziative di informazione e formazione… ma saranno anche iniziative… di condivisione? Quella condivisione che manca a fronte dell’intero processo innescato con la legge 53 potrà essere sollecitata con una operazione che di questa riforma dovrebbe costituire il coronamento e la legittimazione?

Ma un altro interrogativo ci angustia: una riforma tutta incentrata sulla personalizzazione, su obiettivi formativi commisurati sulle attitudini e sulle inclinazioni di ciascun alunno e di ciascuna famiglia, una riforma totalmente critica nei confronti di tutto ciò che è curricolo, programmazione, prove oggettive e quant’altro ricordi la scuola di un passato da dimenticare, come può rispolverare e proporre prove oggettive per la valutazione di sistema? O forse la mano destra che ha scritto le nuove norme non sapeva bene che cosa scriveva la sinistra? E vi è un altro fattore di contraddizione: la riforma, da un lato ci sollecita ad attivare portfoli che raccoglieranno tutto ciò che di bello e di buono produce l’alunno, dall’altro conserva – o almeno sembra tuttora conservare – quelle schede di valutazione in cui i docenti continueranno ad annotare anche le insufficienze. Potremo così avere portfoli meravigliosi e prove oggettive non superate.
Ci domandiamo: in questo contesto oggettivamente e soggettivamente così labile e di grande incertezza valutativa era proprio necessario avviare così tempestivamente una operazione di questo genere? Con la fretta la gatte fanno i gattini ciechi! E non vorremmo che con la fretta l’INValSI conducesse una azione che, pur egregia dal punto di vista della efficienza, fosse assolutamente poco credibile dal punto di vista dell’efficacia! Saranno dati veramente attendibili e significativi quelli rilevati? Non è dato saperlo. Una sola cosa è certa: che per la nostra amministrazione la macchina di una riforma zoppa deve andare avanti comunque, come un bulldozer!
E c’è ancora un rischio che non va affatto sottovalutato! Dopo il riconoscimento costituzionale dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, le nostre scuole hanno il diritto e il dovere di operare con maggiore libertà lungo rotte ben più articolate e ricche rispetto al passato. Ma, cosa potrebbe succedere con il mese di aprile 2005? Che la sindrome del bulldozer le potrebbe inchiodare ad attaccare il somaro dove vuole il padrone; e che le prove INValSI diventino il nuovo totem sostitutivo dei vecchi programmi ministeriali!
Con buona pace della qualità dell’istruzione! E con piena soddisfazione dell’amministrazione! La valutazione di sistema è una cosa troppo seria per andare incontro a rischi così macroscopici! Ma i ripensamenti non sono di questa amministrazione!

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 elena fazi    - 01-11-2004
Concordo con tutte le sue perplessità e ne aggiungo una in più.
Insegno in una scuola di borgata, dove è alto il numero degli extracomunitari che non conoscono per nulla o poco l'italiano. Inoltre buona parte dell'utenza della mia scuola è deprivata culturalmente: come
farà a sostenere le prove dell'invalsi con pari opportunità rispetto ad alunni di scuole di quartieri agiati e culturalmente ricchi? E' previsto un correttivo? Oppure i nostri alunni sono a priori condannati
all'insuccesso? Come verranno lette e utilizzate queste prove? Gli standard che, sembra, vogliano ricavarne come fanno ad andare bene per realtà territoriali e culturali così diverse?
Per favore qualcuno sa darmi qualche risposta certa ?
Grazie

 Anna Pizzuti    - 01-11-2004
Cara Elena, sai cosa farò? Girerò la tua domanda a qualcuno degli esperti che intervistammo, a marzo scorso, quando preparammo lo speciale sull'Invalsi

 anna pizzuti    - 02-11-2004
Ricevo da Giovanni Cominelli (Invalsi) e trasmetto.

Le prove dell'INVALSI segnalano, come in uno specchio, i rendimenti reali in relazione a parametri relativi ai saperi di cittadinanza. Non danno e non autorizzano a dare nessun giudizio di capacità delle singole scuole o dei loro insegnanti.
Tocca al Ministero e alle singole scuole trarre delle conseguenze operative. Se si scopre che certe scuole danno risultati al di sotto dei parametri dei saperi di cittadinanza, il Ministero per la parte che gli compete e le scuole per la loro responsabilità dovranno mettere in atto delle misure che siano in grado di far raggiungere ai loro ragazzi il livello minimo, al di sotto del quale non si può ragionevolmente parlare di cittadinanza. Il che nel caso specifico significa un'offerta culturale specializzata e, quindi, investimenti adeguati.
Quando l'Invalsi riuscirà nell'impresa di costruire metodi di misurazione del valore aggiunto, allora sarà anche in grado di misurare la capacità delle singole scuole. Se una scuola ha un'utenza deprivata culturalmente, per ragioni di contesto sociale, il metodo della misurazione del valore aggiunto consentirà di verificare quanto la scuola avrà fatto nel tempo per eliminare la deprivazione culturale. In questo caso ciò che sarà "premiato", eventualmente, non sarà il livello degli apprendimenti, ma il loro miglioramento. Esempio: se una scuola del centro di Milano avrà il livello 7 nel 2004/2005 e nel 2005/06 avrà raggiunto il livello 8 e se una scuola della periferia sarà passata nello stesso tempo dal livello 5 al livello 7, quest'ultima sarà "premiata" (in modi tutti da decidere), perchè ha aumentato di 2 punti il valore aggiunto, mentre la prima solo di 1. Quest'ultima è certamente più brava.
Al momento, cioè all'inizio dell'esperienza dell'Invalsi,, noi abbiamo il dovere di:
- verificare, sulla base di parametri nazionali ed europei, quanti ragazzi stanno sopra e quanti sotto il livello minimo;
- intervenire con misure da individuare per far salire il livello degli apprendimenti di cittadinanza.
Quado disporremo di metodi più raffinati di misurazione del valore aggiunto, allora saremo in grado di stilare, eventualmente, una classifica delle scuole più o meno efficienti e quindi di fare politiche più raffinate di aiuto e di incentivo. Attualmente, come è noto, ci sono scuole di zone a rischio, nelle quali gli insegnanti hanno degli incentivi. Il difetto di questo metodo è che, se grazie al lavoro degli insegnanti, una scuola esce dal rischio, gli insegnanti cessano di essere incentivati (con i soldi). La conclusione paradossale, ma logica è che se un insegnante vuole avere più soldi (desiderio legittimo!) non deve far uscire la scuola dal rischio. Si tratta di un incentivo a restare al di sotto della soglia di normalità. E' chiaro che va rovesciato il criterio. Adottando la metodologia del valore aggiunto è possibile disporre di criteri più razionali ed efficaci. Il guaio è che la metodologia del valore aggiunto è complicata, in alcuni paesi si sta sperimentando. Vedremo...
Il misurare il livello degli apprendimenti non condanna nessuno all'insuccesso. Aiuta a capire a quale livello uno si trova e a cercare i rimedi. E' evidente che i parametri sono fuori di noi: sono europei e, perciò, nazionali. Per quanto le situazioni sul territorio siano le più diverse, ciò non toglie che si possa e si debba individuare un benchmark di cittadinanza, raggiunto il quale si possa dire che un ragazzo dispone degli strumenti essenziali per affrontare la vita. Scoprire che non ne dispone è uno stimolo per le autorità politiche di turno e per le scuole a provvedere
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