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Quando dire è fare
l'Espresso - 18-10-2004
Un marziano direbbe che in Italia, mentre tutto intorno si tagliano teste e si fanno saltare alberghi, si gioca con le parole

Sull'ultimo 'Espresso' Eugenio Scalfari chiudeva la sua rubrica scrivendo: "Di resistenza irachena è vietato parlare senza passare per faziosi o imbecilli". Uno dice: il solito esagerato. E invece nella stessa giornata sul 'Corriere della Sera' Angelo Panebianco scriveva: "I 'resistenti', come li chiamano certi spensierati occidentali...". Un osservatore marziano direbbe che in Italia, mentre tutto intorno si tagliano teste e si fanno saltare in aria treni e alberghi, stiamo giocando con le parole.
Il marziano direbbe che le parole contano poco, dato che ha letto in Shakespeare che una rosa sarebbe sempre la stessa con qualsiasi altro nome. Eppure, spesso, usare una parola in luogo di un'altra conta molto. È chiaro che alcuni di coloro che parlano di resistenza irachena intendono sostenere quella che ritengono una guerra di popolo; altri, dalla parte opposta, sembrano sottintendere che dare il nome di resistenti a degli sgozzatori significhi infangare la nostra Resistenza.

La cosa curiosa è che gran parte di coloro che reputano scandaloso usare il termine resistenza sono proprio quelli che da tempo tentano di delegittimare la nostra Resistenza, dipingendo i partigiani come una banda di sgozzatori. Pazienza. Ma il fatto è che si dimentica che 'resistenza' è un termine tecnico e non implica giudizi morali.

Anzitutto esiste la guerra civile, che si ha quando cittadini che parlano la stessa lingua si sparano tra loro. Era guerra civile la rivolta vandeana, lo era la guerra di Spagna, lo è stata la nostra Resistenza, perché c'erano italiani da ambo le parti. Salvo che la nostra è stata anche movimento di resistenza, dato che si indica con questo termine l'insorgere di parte dei cittadini di un paese contro una potenza occupante.
Se per avventura, dopo gli sbarchi alleati in Sicilia o ad Anzio, si fossero formate bande di italiani che attaccavano gli angloamericani, si sarebbe parlato di resistenza, anche per chi riteneva che gli alleati fossero i 'buoni'. Persino il banditismo meridionale è stata una forma di resistenza filo-borbonica, salvo che i piemontesi ('buoni') hanno fatto fuori tutti i 'cattivi', che ormai ricordiamo solo come briganti. D'altra parte i tedeschi chiamavano i partigiani 'banditi'.
Raramente una guerra civile raggiunge dimensioni campali (ma è accaduto in Spagna) e di solito si tratta di guerra per bande. E guerra per bande è anche un moto di resistenza, fatto di colpi alla 'mordi e fuggi'. Talora in una guerra per bande si inseriscono anche 'signori della guerra' con le loro bande private, e persino bande senza ideologia, che approfittano del disordine. Ora la guerra in Iraq sembra avere aspetti di guerra civile (ci sono iracheni che ammazzano altri iracheni) e di moto resistenziale, con l'aggiunta di ogni tipo di bande. Queste bande agiscono contro degli stranieri, e non importa se questi stranieri ci paiano nel giusto o nel torto, e neppure se siano stati chiamati e bene accolti da una parte dei cittadini. Se i locali combattono contro truppe occupanti straniere si ha resistenza, e non c'è santi che tengano.

Infine c'è il terrorismo, che ha altra natura, altri fini e altra strategia. C'è stato e in parte c'è ancora del terrorismo in Italia senza che ci siano né resistenza né guerra civile, e c'è terrorismo in Iraq, che passa trasversalmente tra bande di resistenti e schieramenti di guerra civile. Nelle guerre civili e nei moti di resistenza si sa chi sia e dove stia (più o meno) il nemico, col terrorismo no, il terrorista può essere anche il signore che ci siede accanto in treno. Il che fa sì che guerre civili e resistenze si combattono con scontri diretti o rastrellamenti, mentre il terrorismo si combatte con servizi segreti. Guerre civili e resistenze si combattono in loco, il terrorismo va magari combattuto altrove, dove i terroristi hanno i loro santuari e i loro rifugi.
La tragedia dell'Iraq è che laggiù c'è di tutto, e può accadere che un gruppo di resistenti usi tecniche terroristiche o che i terroristi, a cui certo non basta cacciare gli stranieri, si presentino come resistenti. Questo complica le cose, ma rifiutarsi di usare i termini tecnici le complica ancora di più. Supponiamo che, ritenendo 'Rapina a mano armata' un bellissimo film, dove erano simpatici anche i cattivi, qualcuno si rifiuti di chiamare rapina a mano armata l'assalto a una banca e preferisca parlare di furto con destrezza. Ma il furto con destrezza si combatte con qualche agente in borghese che pattuglia stazioni e luoghi turistici, di solito conoscendo già i piccoli professionisti locali, mentre per difendersi dalle rapine alle banche occorrono costosi apparati elettronici e pattuglie di pronto intervento, contro nemici ancora ignoti.

E quindi scegliere il nome sbagliato può forse sembrare rassicurante, ma induce a scegliere i rimedi sbagliati. Credere che si possa battere un nemico terrorista coi rastrellamenti con cui di solito si battono i movimenti di resistenza è una pia illusione, ma a credere di battere chi morde e fugge coi metodi che si dovrebbero usare coi terroristi, del pari si sbaglia. Pertanto bisognerebbe usare i termini tecnici quando occorre, senza soggiacere a passioni o a ricatti.

Umberto Eco

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