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28) Dal carteggio Adam Smith – Berlusconi
Aldo E. Quagliozzi - 22-10-2004


Ove giunge a conclusione la fatica di certo lieve della riscoverta e trascrizione delle lettere di quell’impareggiabile carteggio, e di tutto ciò che in esse è sopravvissuto e tornato alla memoria di quel tristo periodo della storia patria, che ha anticipato i tempi correnti dell’oggi non meno tristi e perigliosi per le sorti della vita civile e sociale del Bel Paese.
Ed ove si legge, con grande apprensione e con animo impaurito che “ Nell’era dell’informazione televisiva, i colpi di Stato non si fanno più con le truppe sguinzagliate nella notte a presidiare le città. Chiunque arrivi al potere grazie al controllo delle televisioni, se riesce ad acquisirne il monopolio e tiene duro per almeno un anno, poi potrà anche dissanguare i cittadini, con la sicurezza di ricevere sempre il plauso di una crescente maggioranza, capillarmente catturata dalle tecniche seduttive del consenso inconscio.”
Ed ove trovasi esauriente spiegazione all’arcano per cui l’impareggiabile carteggio si è rivelato una corrispondenza unidirezionale, dallo scozzese al nostro egoarca, poiché nella dichiarata avversione dell’egoarca alla parola scritta “ Un libro sta al video come quell’inerme ragazzo di Pechino stava al carro armato che voleva fermare in piazza Tienanmen.”
E dove è giusto rendere merito ed omaggio ancora oggi alla memoria di un grande scrittore, di un grande uomo e cittadino italiano, tragicamente scomparso all’indomani della pubblicazione del suo incunabolo presso i tipi di Laterza nell’anno del signore 1995, che aveva visto bene il grosso ed incombente nuvolame che andava addensandosi minaccioso all’orizzonte, togliendo la luce viva e forse pure la speranza di un avvenire che fosse di conquistata, consolidata e perfezionata partecipazione democratica alla vita sociale e politica del Bel Paese.


Glasgow, 5 dicembre 1994

Egregio presidente Berlusconi,
che tonfo, che fallimento davanti al mondo. Lei era certo che con i quattrini, magari senza averli davvero, si potesse comprare tutto, anche un intero paese. Ora si accorge – ma se ne accorge? – d’essersi sbagliato. Sono trascorsi tanti giorni dalla mia ultima lettera, che certamente lei credeva d’essersi scrollato di dosso questo curioso e pedante vegliardo scozzese, fanatico di Adam Smith. Invece eccomi ancora qua, vispo e invadente come quando, nel dicembre del ’93, Le scrissi la prima volta – se ne ricorda? – per incoraggiarLa a buttarsi in politica.
In tutti questi mesi, la realtà mi ha costretto a ripensare molti dei miei giudizi. Ora, quando parlo di tonfo e di fallimento, non mi riferisco tanto alla pesante sconfitta elettorale da Lei subita nelle amministrative di ieri. E neanche all’avviso di garanzia che il pool milanese di Mani pulite Le ha fatto avere il 21 novembre per concorso in corruzione. Non mi riferisco neppure alla perpetua zuffa in atto nel Suo governo. Men che meno alla nuova netta vittoria dell’Ajax – ahimé – sul Milan.
Mi riferisco piuttosto alla dimostrazione lampante di rancorosa tracotanza che Lei ha dato nel reagire all’avviso di garanzia, col solito sdegnato lamento del complotto. Ma non si ricorda che reagirono così anche Craxi, Andreotti, Forlani e compagnia brutta? Furioso, ora lei ha annunciato che venderà la Fininvest.
( … ) Qui Giulia ha detto, col suo gergo abituale: < Ci sta prendendo ancora per il culo >. A parte il linguaggio deplorevole, credo non abbia torto. Le procedure tecniche per far quotare in Borsa un’impresa richiedono tempi lunghi, un anno almeno. E in un anno, campa cavallo: ne possono accadere di cose. Inoltre, Lei ha detto che si terrà in ogni caso le quote di minoranza, e sappiamo bene che tali quote possono essere più che sufficienti per conservare il controllo delle gestioni.
E allora, dove sarebbe il rimedio al conflitto d’interessi? In sostanza, mi perdoni: a noi è parso che Lei abbia tentato un bluff, per ammonire i magistrati – o intimidirli? – convincendoli che vuole restare in politica a costo di sacrificare il suo patrimonio. Ma in realtà non sacrifica nulla.
( … ) Lei non ha voluto evitare la commistione d’interessi, e dunque non ha protetto il Suo governo, che sopravvive per forza di suggestione telematica, mentre le aspre lacerazioni prodottesi nella coalizione ministeriale rendono davvero fragile tale sopravvivenza.
E’ un problema italiano, io non ho titoli per dare consigli, figuriamoci, sono scozzese. Però forse Lei dovrebbe dimettersi: non tanto per l’avviso di garanzia ( che non ha valenza di colpevolezza e semmai è questione di sensibilità personale ), quanto perché ormai risulta chiaro che la Sua maggioranza si è sfasciata, per contrapposti interessi di bottega.
( … ) Giusto nei giorni in cui Lei s’impossessava della televisione di Stato ( dove però sopravvivono isole sorprendenti di ribellione in tutte le redazioni, e il Tg3 si permette di polemizzare, civilmente, proprio con Lei ) moriva il grande filosofo austro-inglese Karl Popper, che tanto aveva studiato i pericoli insiti nel potere condizionante della televisione. L’ultimo suo saggio in materia, ( … ), mi è parso in tragico ritardo rispetto all’azione condotta in Italia da Lei, che aveva capito ogni cosa prima di Popper, ma, anziché preoccuparsene, aveva prontamente utilizzato a proprio vantaggio tutti gli strumenti e gli accorgimenti indicati dallo studioso viennese come pericolosi per l’umanità.
In Lei, il disprezzo verso le opposizioni sembra connaturato. In una recente seduta della commissione parlamentare Antimafia, è bastato che il senatore Corrado Stajano Le rivolgesse una domanda scomoda, perché Lei facesse immediatamente scattare il meccanismo dell’aggressione ingiuriosa, dicendogli: < Lei è in malafede >. Che squallore, presidente. Ognuna delle mille pagine che in quarant’anni Corrado Stajano ha scritto, contro le balordaggini e i crimini del potere, vale, da sola, più di tutti gli affari trimalcioneschi da cui è scaturita la Sua ricchezza.
( … ) Ora, signor presidente, mi è tutto chiaro. Nell’era dell’informazione televisiva, i colpi di Stato non si fanno più con le truppe sguinzagliate nella notte a presidiare le città. Chiunque arrivi al potere grazie al controllo delle televisioni, se riesce ad acquisirne il monopolio e tiene duro per almeno un anno, poi potrà anche dissanguare i cittadini, con la sicurezza di ricevere sempre il plauso di una crescente maggioranza, capillarmente catturata dalle tecniche seduttive del consenso inconscio.
Quella parte di popolazione che è refrattaria, per spirito critico, alle omologazioni illiberali, potrà esercitare la facoltà di opporsi, ma solo nel chiuso di minoranze che adoperano mezzi di comunicazione arcaici come la scrittura e la carta. Serviranno a qualcosa? Serviranno gli spazi di libera informazione scritta, che nell’Europa del Duemila anche il più autoritario dei governi sarà costretto a lasciare aperti?
Un libro sta al video come quell’inerme ragazzo di Pechino stava al carro armato che voleva fermare in piazza Tienanmen. Il paragone è triste, perché in Cina stanno ancora al potere coloro che mandarono i carri armati contro quegli studenti. Ma i tempi della storia sono lunghi: e non c’è maggioranza che, per quanto pesantemente sostenuta dalla forza del potere, non possa diventare minoranza.
Pensi a come appariva indistruttibile fino a due anni fa il sistema egemone democristiano, e come ha fatto in fretta a dissolversi. Quando, poche settimane fa, è finito prima in carcere e poi agli arresti domiciliari l’ex ministro dell’interno Antonio Gava, i giornali hanno ricordato che, ai tempi in cui era l’uomo più potente della Campania, qualche sussurro d’accusa lo aveva sfiorato per il degrado che aveva procurato a Napoli l’onta pericolosa del colera. A epidemia scongiurata, circolò una battuta, attribuita allo stesso leader democristiano. < Il colera passa, i Gava restano >. Fu Enzo Biagi, se non sbaglio, a commentare: < E’ vero, sono sempre i migliori che se ne vanno >. Alla fine, tuttavia, pure Gava passò. Ora ci siete voi: e un po’ di colera passeggero, se non sbaglio, lo avete avuto pure voi.
( … ) Giulia ( … ) vorrebbe(… ) che io terminassi quest’ultima lettera – ( … ) – inviandole una vigorosa invettiva, come l’imperativo categorico di quattro sillabe nel quale sembra ormai riassumersi l’unità umorale di voi italiani, da Bolzano a Lampedusa. Ma noi britannici, almeno quelli della mia generazione, abbiamo il frusto orgoglio ineludibile della compostezza, per cui non posso concludere che porgendoLe distinti saluti. Adam Smith


( da “ Lettere di Adam Smith al Cavalier Berlusconi “ di Sergio Turone – Laterza - !995 )

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