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Poveri e senza futuro
Liberazione - 15-10-2004

di Luigi Ciotti

Non c'è nessun miglioramento sostanziale, secondo il rapporto dell'Istat per il 2003, sullo stato della povertà in Italia. Le famiglie povere passano dall'11% del 2002 al 10,6%, leggero calo "statisticamente non significativo". Al peggioramento della condizione degli anziani al nord, corrisponde un leggero miglioramento delle famiglie numerose al centro sud; anche se, afferma l'Istat, la situazione di queste famiglie rimane gravosa.
Considerando che la soglia convenzionale di povertà relativa per una famiglia di due persone - rappresentata dalla spesa media mensile pro capite - risulta nel 2003 di 869,50 euro (5,6% in più dell'anno precedente), "la povertà relativa - conclude l'Istituto centrale di statistica - si mantiene dunque stabile rispetto all'anno precedente sia a livello nazionale sia nelle tre aree geografiche".

Ma due sono le cifre che più emergono e che, al di là del dato tecnico, ci spingono a riflettere.

La prima è la costante disparità tra il Mezzogiorno e il resto del paese: il 65% delle famiglie povere risiede al sud, che ospita solo il 32,6% del totale delle famiglie del nostro paese. Ma il Mezzogiorno è l'area dove la presenza mafiosa è più consistente; una presenza che alimenta la paura, condiziona il lavoro e priva della libertà necessaria per costruire benessere. Ciò che è grave è che, nonostante aumentino di nuovo i morti di mafia e la guerra per i traffici e gli appalti, certi nodi non si vogliono affrontare e di queste cose si continua a non voler parlare. Ma l'impegno per il lavoro e lo sviluppo non nasce dal nulla; è un processo che deve essere accompagnato e sostenuto nella legalità. E per contrastare la criminalità organizzata è necessaria una forte azione per lo sviluppo, che sia centrata sulle risorse professionali, culturali e ambientali.

E che guardi soprattutto alle nuove generazioni. Ma la seconda cifra ci dice che è povero il 28% delle famiglie che ha per capo una persona in cerca di occupazione e il 33,4% di quelle con al proprio interno due o più componenti in cerca di occupazione. Oltre a sottolineare la necessità di adeguate politiche per il lavoro e lo sviluppo, che tocchi in particolare le giovani generazioni, il dato tecnico non ci mostra la "povertà" di tanti altri giovani che - pur non vivendo una diretta situazione di povertà perché protetti economicamente dal nucleo familiare - non riescono assolutamente a mantenersi col proprio lavoro. E' la tragedia di centinaia di migliaia di giovani disoccupati, o con lavoro saltuario o precario, privi di prospettive e di futuro. Con queste prospettive il dato non sembra assolutamente destinato a migliorare.

Allora, la vera povertà di oggi è il disorientamento. La paura del futuro è povertà che impedisce di progettare e credere alle proprie capacità e possibilità. La diseguaglianza e l'esclusione non è solo povertà economica: è mancanza di reti sociali e relazioni, laddove l'insicurezza ti porta a isolarti ed a sentirti fuori, di strumenti culturali, di informazione... Per arrivare, infine, alla guerra tra i poveri - nei carceri e tra gli immigrati i limiti più estremi - per strapparsi quel poco che resta. Sono i nuovi volti della povertà, che sfidano anche la nostra società e chiedono nuove risposte ai problemi della gente.

E i nuovi volti sono spesso quelli degli stranieri - che spesso tragicamente pagano la loro ricerca di orizzonti nuovi per un futuro migliore - a mostraci che l'apertura agli altri, piuttosto che la chiusura, deve essere la base per nuove risposte. Ma le risposte possono solo e necessariamente essere in relazione ai bisogni della gente. Cambiano le modalità con cui si può rispondere o disattendere a queste necessità, ma i bisogni fondamentali delle persone restano sempre uguali: cibo, lavoro, educazione, sanità... libertà e dignità. E questi non possono che essere la priorità.

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Sullo stesso giornale, ecco una scheda di approfondimento riguardante i dati ISTAT sulla povertà

Istat: in Italia una famiglia su cinque è a rischio miseria
Sulla soglia della povertà

In Italia una famiglia su cinque è a rischio di povertà. E' quanto ha rilevato l'Istituto centrale di statistica nel rapporto annuale presentato ieri sullo stato di povertà relativa. Una povertà con la quale, nel 2003, hanno fatto i conti 2.360.000 famiglie, pari al 10,6% di quelle residenti, per un totale di 6.786.000 persone, l'11,8% dell'intera popolazione.

Una povertà detta relativa perché calcolata sulla spesa media mensile sostenuta per i consumi da un campione di 28mila famiglie. Una moltitudine che quotidianamente vive sotto la soglia di povertà. Una deadline quantificata in 869,50 euro di spesa media, c'è ovviamente chi sopravvive con molto meno (la forbice di sopravvivenza va infatti da un minimo di spesa mensile di 695,60 euro a 1.043,40). Il 5,6% in più rispetto alla soglia convenzionale calcolata nel 2002 è da leggere come un adeguamento dovuto agli aumenti di costo dei consumi e ad eventuali scelte diverse ma non alla maggiore disponibilità delle famiglie.

La situazione riscontrata dall'Istat è dunque grave e conferma quella dell'anno precedente. Confermano gli esperti. Nel 2002 infatti la percentuale di nuclei famigliari considerati in stato di povertà era dell'11%, l'apparente distanza di cinque punti con il 2003, per l'Istat, non è un calo «statisticamente significativo». Anzi. E' opportuno tenere conto dell'errore che si commette - avverte l'Istituto nella stessa relazione - osservando solo una parte della popolazione: trattasi di errore campionario. «La povertà relativa - ha infatti precisato per l'Istat, Linda Laura Sabaddini - si mantiene stabile rispetto all'anno precedente sia a livello nazionale sia nelle tre aree geografiche».

La povertà interessa ancora vari livelli il 18.5% delle famiglie italiane, che tradotto in numero assoluto vuol dire 4.119.950 nuclei; di questi, oltre un milione vive in condizione di estremo disagio, ossia spendono per consumi meno dell'80% della soglia che discrimina lo stato di povertà. Le famiglie sicuramente non povere sono l'81,5% del numero totale (era l'81% nel 2002). L'indagine conferma le difficoltà della situazione al Sud, dove risiede il 65,6% delle famiglie povere, regioni che però ospitano solo il 32,6% di quelle residenti nel nostro Paese.

Inoltre rispetto allo scorso anno è da evidenziare il peggioramento della condizione degli anziani al Nord (la percentuale di famiglie povere tra le coppie con una persona in casa di 65 anni e più aumenta di due punti percentuali, attestandosi al 9,3%). L'Istat sottolinea che la tendenza negativa è ancora più evidente per le famiglie con due o più anziani (dall'8% al 10,7%), per quelle con a capo una persona ritirata dal lavoro (dal 6,2% al 7,1%). Mentre al centro diminuisce la percentuale di poveri tra anziani soli (dal 6,7% al 4,2%) e tra le famiglie con persona di riferimento fra i 45 e 54 anni per le quali l'incidenza risulta più che dimezzata (dal 6,4% al 3%).

Sul territorio invece le famiglie povere risultano risiedere il 5,3% al Nord (erano il 5% nel 2002), il 5,7% al Centro (6,7%), il 21,3% nel Mezzogiorno (22,4%). Nel Centro-nord l'incidenza di povertà relativa è a valori modesti (meno del 4,5%) in Veneto, Toscana, Emilia Romagna e Lombardia. Nel Mezzogiorno, invece, l'incidenza è significativamente più elevata rispetto al resto del Paese, ad eccezione di Sardegna e Abruzzo che mostrano valori più contenuti (13,1% e 15,4%). In Sicilia e Basilicata oltre il 25% delle famiglie vive in condizione di povertà.

Resta grave la condizione economica delle famiglie numerose (5 figli o più), oltre un quinto risulta povero; nel Mezzogiorno questa percentuale arriva al 30%. E' povero il 28% delle famiglie che ha per capo una persona in cerca di occupazione e il 33,4% di quelle con al proprio interno due o più componenti in cerca di occupazione. Meno "toccate" dal fenomeno della povertà - secondo l'Istat - le famiglie di lavoratori autonomi (6,7% contro l'8,2% delle famiglie di dipendenti e il 12% dei ritirati dal lavoro).

Peggiora anche la condizione dei single: rispetto al 2002 infatti, la percentuale di poveri con meno di 65 anni passa dal 3,1% al 3,9%. Migliora invece la condizione delle coppie con tre o più figli (dal 24,4% al 20,9%). E il calcolo della povertà assoluta? Ancora al palo: la rilevazione è sospesa causa modifica della metodologia di calcolo, oggetto del lavoro di una commissione di studio, avverte l'Istat. Il paniere di beni e servizi considerati essenziali per la sopravvivenza delle famiglie italiane e che determinava la base del calcolo tra poveri assoluti e meno poveri è ancora da definire.

(Sabrina Deligia )
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 Pierangelo    - 20-10-2004
da il Manifesto del 19.10.2004

Italia 2004, i nuovi poveri
Sono giovani, donne e immigrati: la radiografia della miseria compiuta da un monitoraggio della Caritas
Tra gli italiani indigenti in aumento i pensionati. E l'organizzazione avverte: «I nuovi poveri crescono perché non ci si cura abbastanza dei vecchi poveri»


Disoccupati, emarginati, migranti, analfabeti. Ma anche diplomati, famiglie monoreddito con più figli, pensionati. Sempre più giovani e sempre più donne, soprattutto tra gli immigrati. Sono questi i volti del nuovi poveri fotografati dalla Caritas italiana con alcune rilevazioni mirate attraverso la rete capillare delle diocesi. «I nuovi poveri crescono perché non ci si cura abbastanza dei vecchi poveri». Ne è convinto il direttore della Caritas italiana, mons. Vittorio Nozza, che in occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà ha fornito dati, analisi e stime su vecchi e nuovi fenomeni di esclusione sociale. Così dal «Progetto Rete» al rapporto «Vuoti a perdere», emerge per il nostro Paese «un quadro complesso che richiede interventi adeguati». Per monsignor Nozza, «a livello mondiale, ad esempio, nonostante una forbice crescente tra ricchi e poveri, si allarga il divario tra il poco che si destina alla cooperazione e ciò che si stanzia per spese militari». Servono quindi interventi in situazioni di crisi o sottosviluppo, progetti di pace, dialogo interreligioso, promozione di metodi nonviolenti e un impegno crescente sullo studio dei motivi strutturali e culturali dell'impoverimento del Sud del mondo. Quanto all'Italia - continua il direttore della Caritas - servono strumenti di lotta alla povertà. «Occorrono livelli essenziali di intervento sociale per costruire una rete protettiva universale che aiuti gli ultimi a rientrare in campo e impedisca ad altri di cadere». La «foto» della miseria in Italia è stata fatta grazie al Progetto Rete nazionale dei Centri di Ascolto e degli Osservatori delle Povertà e delle Risorse, nato per rilevare in modo sistematico situazioni di povertà ed esclusione sociale delle persone che si rivolgono ai servizi collegati alle 222 Caritas diocesane italiane. Il monitoraggio, relativo al trimestre gennaio-marzo 2004, riguarda 14 diocesi del Nord, 30 del Centro e 28 del Sud. Sono stati elaborati i dati delle 11.696 persone che si sono rivolte ai Centri di Ascolto delle 72 diocesi in questione. L'80% ha tra i 20 e i 60 anni (gran parte tra i 30 e i 40 anni); il 54% è costituito da donne. Sono numerose le persone celibi e nubili (33%), ma è più consistente la quota di coniugati (46,5%). Più del 15% sono senza fissa dimora, il 51,3% vive con dei familiari, il 27,2% con conoscenti, il 21,5% vive solo. Il 62,6% degli «utenti» non sono italiani e di questi circa il 40% è senza permesso di soggiorno: indice del riproporsi in termini significativi del fenomeno degli irregolari, nonostante l'ultima regolarizzazione del 2002. Significative poi le differenze tra italiani e stranieri. Tra quest'ultimi sono i giovani a ricorrere ai Centri di Ascolto (oltre il 90% ha tra 20 e 55 anni), in prevalenza donne (55,7%), in maggioranza coniugati (53,6%) e con un titolo di studio medio-alto. I tre quarti sono disoccupati, rispetto al 58% dei cittadini italiani. Significativa tra gli italiani è invece la presenza di pensionati: circa il 13%, cioè 1 su 8.

Situazioni legate al reddito, al lavoro e all'alloggio, spesso interconnesse, rappresentano i tre quarti delle povertà dichiarate. Circa l'8% sono relative a problemi familiari, soprattutto separazioni e conflitti tra genitori e figli. I Centri Caritas hanno offerto un ascolto attento, sostegno economico e alimentare, ma anche animazione promozionale, cioè coinvolgimento della comunità, e segretariato sociale, cioè orientamento ai servizi dei territorio. Proprio di questi nuovi volti si occupa "Vuoti a perdere", il Rapporto 2004 su esclusione sociale e cittadinanza incompiuta, edito da Feltrinelli e curato da Caritas Italiana e Fondazione Zancan di Padova. Il volume, che sara' presentato venerdì prossimo, contiene anche i risultati della prima indagine sul rapporto tra poverta' delle famiglie italiane e accesso ai servizi sanitari, frutto di un'intensa collaborazione con la Federazione italiana dei medici di medicina generale.

 Pierangelo    - 24-10-2004
da l'Unità del 24.10.2004

Profondo Sud
di Nicola Cacace

Parlare di povertà non è di moda in un’epoca in cui la povertà sembra sempre più vissuta come un vizio raro e la ricchezza come una virtù diffusa. Anche se la realtà è peggiore di quanto pensiamo. L’Istat ci ha appena comunicato che 12 milioni di italiani, di cui 7,3 meridionali (Istat, «La povertà relativa in Italia nel 2003») vivono con meno di 500 euro al mese, cioè sono più poveri del più povero paese dell’Europa, la Lettonia e nessuno sembra accorgersene. Questi 7,3 milioni di meridionali oggi costituiscono il 26° Paese, il più disgraziato, d’Europa.

Una prima considerazione salta fuori dall’indagine, non è vero, come sostengono i nostri governanti, che la povertà si riduce come nel resto d’Europa. Come correttamente scrive l’Istat «la diminuzione della povertà tra il 2002 ed il 2003 non è statisticamente significativa. La povertà relativa si mantiene dunque stabile sia a livello nazionale che nelle tre aree geografiche».

La seconda notizia è che la situazione è più nera di quello che appare. Infatti l'intensità della povertà cioè «la misura di quanto in percentuale la spesa delle famiglie definite povere è al di sotto della soglia di povertà» è aumentata proprio nella più grande area di povertà europea, il Mezzogiorno coi suoi 21 milioni di abitanti. In altre parole non solo a Sud più di un terzo dei cittadini vive con meno di 521 euro a testa al mese, ma in realtà, con una intensità pari al 22,8%, vive con meno di 400 euro al mese. La cifra di 12 milioni di poveri e quasi poveri è la somma dei «molto poveri» che vivono con meno di 348 euro a testa al mese, dei «poveri» che vivono con meno di 435 euro e dei «quasi poveri» che vivono con meno di 520 euro.

La terza notizia, non notizia, è che l'istruzione si conferma come primo fattore di povertà. I senza istruzione infatti hanno probabilità 4,5 volte superiore di essere poveri rispetto ai più istruiti (diplomati e laureati). La forza con cui si difende l'istruzione pubblica per tutti , non è mai troppa.

La quarta notizia è che la famiglia e la solidarietà in genere, sono fattori che riducono l'area di povertà. Insomma il valore «solidarietà-famiglia» pesa più del valore denaro nella dimensione della povertà. Qualche esempio. A Nord la ricca Provincia autonoma di Bolzano ha una incidenza della povertà relativa (chi vive con meno di 435 euro al mese) dell'11%, doppia della media del Nord (5,3%) mentre nel Mezzogiorno due Regioni in crisi come Abruzzo e Sardegna (entrambe hanno il record della riduzione di occupati tra 2003 e 2004) hanno tuttavia una incidenza della povertà nettamente inferiore alla media del Mezzogiorno (14% contro 21%).

Anche l'indagine sulla povertà conferma l'esistenza di differenze territoriali elevate e crescenti. La gravità della condizione di più di un terzo dei cittadini italiani che formano al Sud il più povero paese europeo imporrebbe soluzioni di politica economica e di politica sociale che purtroppo non si vedono all'orizzonte. Trovo scandaloso che si facciano tanti dibattiti su come far risparmiare qualche centinaia di euro di imposte a chi guadagna centinaia di migliaia di euro l'anno e nessun dibattito su come aiutare concretamente chi deve vivere con meno di 5000 euro l'anno.

 ilaria ricciotti    - 02-11-2004
E poi dicono che i giovani non hanno voglia di lavorare!
E poi dicono che l'Italia non è investita dalla crisi economica!
E poi dicono che comunque essa va, va, va! Dove? Verso un tipo di società dove vivono, comandano e sguazzano pochissimi paperoni alla faccia di molti poveri, ma belli.