M o d e r a t i
Marino Bocchi - 09-10-2004

Come ogni anno, in coincidenza con l’assegnazione dei Nobel, la Harvard University ha conferito gli IgNobel, che premiano “ le invenzioni più strane, inutili, singolari” ( Corriere online, 4 ottobre). Molti sono coloro che, anche in Italia, meriterebbero di riceverli. A partire non da uno o più singoli individui ma da una categoria dello spirito, quella dei moderati bipartisan, a mio modestissimo giudizio.

4 ottobre
Il 23 settembre la Commissione affari costituzionali della Camera ha approvato con due soli voti contrari la proposta di riconoscere il 4 ottobre, anniversario della morte di San Francesco, “quale solennità civile e giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse”. Con l’eccezione di un paio di leghisti schierati sulla linea xenofoba dello scontro di civiltà, gli altri 34 deputati, di tutti i gruppi, hanno votato a favore, come risulta dagli atti della seduta finale. E così, dopo la giornata delle memoria, avremo dal prossimo anno anche quella del dialogo. Altro fatto scandaloso, ancor più del primo, se possibile. Altro esempio di come, in nome dei cosiddetti valori condivisi, aberrante invenzione dei fautori della Storia bipartisan, il potere istituzionale, che non fa sconti, stracci la memoria col pretesto di volerla conservare; faccia mercato di passioni e ideali, venduti e negati in cambio della retorica dei buoni sentimenti; riduca le differenze, le lotte e i conflitti ad una fittizia e ipocrita base per un dialogo che, posto su tali false premesse, non solo non c’è. Ma non ci deve essere. Credo che questa, ennesima, indecente operazione del moderatismo profondo che è un dato politico, culturale e antropologico allo stesso tempo, indichi che ormai siamo giunti al punto limite, simbolico ed esemplare. Perché subdolamente conclude un processo di istituzionalizzazione di un personaggio anti-istituzionale quanti altri mai, nella storia del nostro paese: Francesco, appunto.
Dopo che per secoli le agiografie lo hanno ridotto ad un santino, ad un patrono d’Italia e del sentimento nazionale, ad un' icona mielosa e stucchevole di un’idea di pace senza conflitti, adesso questo vischioso e caramelloso messaggio si traduce in un invito ad organizzare “cerimonie, iniziative, incontri, in particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, dedicate ai valori universali indicati al primo comma”. I moderati hanno reclutato Francesco e lo useranno per le loro beghe interne fra centro-destra e centro-sinistra. Ha già iniziato Fini, il quale il 4 ottobre scorso ha sostenuto che egli “non condannò mai la legittima difesa sia del singolo che della comunità... non dissuase mai dal portare le armi per difendere deboli e umili”. Ergo: Francesco avrebbe appoggiato con entusiasmo la guerra in Iraq. Nella stessa pagina del Corriere, il miglior vaticanista in circolazione, Luigi Accattoli, sulla base di una corretta esegesi dei testi, precisa che le cose non stanno proprio così. E il giorno dopo, su Repubblica, la maggiore storica di Francesco, Chiara Frugoni, ha demolito una per una le argomentazioni di Fini. Ma il misfatto è compiuto. Con la complicità dei moderati di sinistra i quali, ne siamo certi, punteranno sulla componente pacifista del francescanesimo mantenendosi però nell’alveo di uno schema di interpretazione che ne riduce l’originaria carica eversiva e la depotenzia .
La durezza di Francesco, la sua spigolosità, il suo rifiuto di accettare compromessi o mediazioni con i valori incarnati dal potere del suo tempo e di ogni tempo , la violenza, la sopraffazione, la rapina dei ricchi a danno dei poveri; la compassione (non l’ipocrita pietà) per la sofferenza di tutte le creature, il suo appello alla coscienza come fonte del dovere, da anteporre ad ogni principio di autorità: questo spirito indomito, libero e anticonformista che esce dai testi autografi e dalle testimonianze dei suoi compagni, che l’istituzione clericale ha cercato per secoli di censurare , non piace ai moderati. E si capisce. Essendo loro, a prescindere dagli orientamenti politici del centro a cui appartengono, gli eredi di una classe dirigente che, anche quando si nasconde dietro la maschera dei partiti d’opposizione, ha sempre perseguitato la cultura d’opposizione.

Largo Sogno
Quando, il 27 agosto del 1974, il giudice istruttore di Torino Luciano Violante chiese l’incriminazione del conte Edgardo Sogno Rata del Vallino per cospirazione politica e tentato colpo di Stato volto ad instaurare in Italia un regime presidenziale, l’attività dell’inquisito era nota da anni. Monarchico, ex partigiano bianco nei giorni successivi all’8 settembre dopo aver partecipato alla guerra civile spagnola tra le file dei falangisti, fondatore dei Comitati di resistenza democratica (Crd) per la cui organizzazione si avvalse di Luigi Cavallo, figura tra le più oscure ed inquietanti fra quelle legate all’intreccio terrorismo-depistaggi-infiltrazioni, fiduciario della Cia, diplomatico di carriera, Edgardo Sogno “fa pervenire ai giornali “un messaggio dalla clandestinità nel quale si dichiara vittima di una persecuzione politico-giudiziaria e annuncia:”Questo regime corrotto e mafioso di democrazia popolare si può ancora contestare e sfidare prima che sia troppo tardi”, cioè prima che l’onda lunga che sembra in marcia porti i comunisti al governo. La citazione è tratta da La sfinge delle Brigate rosse. Delitti, segreti e bugie del capo terrorista Mario Moretti (Edizioni Kaos), l’ultima fatica dell’ex senatore del PCI Sergio Flamigni, membro in diverse legislature di varie commissioni d’inchiesta, fra cui quelle che si occuparono dell’omicidio Moro, della P2 e della stagione delle stragi e autore di libri fortunatissimi sugli stessi argomenti. La tesi di Flamigni, che sostiene l’esistenza di convergenze parallele fra servizi segreti e terrorismi rossi e neri, è ampiamente discutibile ma sempre molto ben documentata. Resta comunque il fatto che Sogno, in un libro intervista ad Aldo Cazzullo scritto poco prima della morte, nel 2000, finirà per ammettere la fondatezza dell’accusa di Violante, rivendicandola anzi come fulgido esempio di patriottismo e di lodevole servizio alla nazione e alle sue libertà democratiche (Testamento di un anticomunista, Mondatori). Fin qui la storia. La cronaca ci dice che proprio in questi giorni il consiglio di circoscrizione del centro storico di Varese ha deciso di votare all’unanimità la proposta di intitolare a Sogno una piazza con il consenso delle opposizioni.. “Ho preferito dare il mio ok sperando di portare a casa anche una via intitolata a Caponnetto. Un errore: loro hanno incassato il sì a “Largo Sogno”e non hanno neppure messo ai voti la proposta mia», dichiara la diessina che ha votato a favore. (Corriere della sera del 1 ottobre). Un Sogno in cambio di un Caponnetto: tu mi dai una via, io ti offro una piazza. E siamo pari. E riconciliati.


Trieste
Il 26 ottobre del 1954 l’esercito italiano rientrava a Trieste. Era l’epilogo di una vicenda iniziata alla conclusione della guerra con l’occupazione della città e delle zone limitrofe da parte dei partigiani di Tito. Il capoluogo friulano si appresta a festeggiare il cinquantesimo anniversario con una maxi-celebrazione dedicata a tutte le vittime del conflitto, ancora una volta all’insegna apparente del dialogo. Trattandosi però della solita messinscena del moderatismo bipartisan prevarranno i richiami nazionalistici. Gli stessi che hanno indotto tempo fa il Parlamento italiano a votare in modo quasi unanime l’istituzione per il 10 febbraio dell’ennesima giornata, dedicata questa volta alle foibe. A risarcimento della memoria delle tante vittime dei titoisti. Crimini efferati e orrendi. Che non furono però il prodotto di un vuoto storico ma il frutto di una lunga scia di sangue e violenze di cui il fascismo si era reso colpevole. Un lungo capitolo di persecuzioni che la storiografia italiana ha a lungo ignorato. Si legga, a tale proposito, che cosa scrive Carlo Spartaco Capogreco, docente presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università della Calabria nel volume dedicato a I campi del duce L’internamento civile nell’Italia fascista(Einaudi). Un saggio di frontiera e di argomento scottante e niente affatto scontato, visto che sulla presunta assenza di una politica concentrazionaria organizzata e pianificata da parte del regime, si gioca di solito la differenza tra fascismo e nazismo e la dichiarata non appartenenza del primo alla categoria del totalitarismo.
Il regio esercito praticò l’internamento dei civili su larga scala soprattutto nelle aree della Jugoslavia occupate o annesse nel ’41, dove mise in atto una strategia che spesso mirava a fare “piazza pulita” delle popolazioni locali di intere zone abitate…In Iugoslavia l’esercito italiano ricorse all’internamento dei civili nel quadro di un’occupazione violenta ed esplicitamente razzista che non escluse l’incendio dei villaggi e la fucilazione di ostaggi civili”.

Il Corriere della sera del 3 ottobre ha dedicato ai festeggiamenti del cinquantenario un lungo intervento del più grande triestino vivente. Claudio Magris. Il quale è tutto fuorché un estremista. Ma ecco cosa egli scrive, fra l’altro:
Quel 26 ottobre era pure, in qualche modo, la conclusione di una lunga passione risorgimentale della città, cui le odierne celebrazioni organizzate dal Comitato Tricolore insediato dal Comune non rendono giustizia, perché tendono a mettere in ombra la fondamentale componente mazziniana, democratica e ispirata a ideali di fraternità con tutte le altre nazioni, sottolineando invece la componente nazionalista……il novembre 1918, con l' arrivo dell' Italia a Trieste, è stato una festa per la grande maggioranza italiana, ma non per quei triestini che, legittimamente, si erano sentiti appartenenti al plurinazionale impero absburgico e avevano combattuto per esso e tantomeno per gli sloveni e i croati della Venezia Giulia e dell' Istria divenuti cittadini italiani, per i quali purtroppo l' Italia - anche quella prefascista, per non parlare di quella mussoliniana - è stata non madre bensì matrigna, con una politica di snazionalizzazione, di negazione dei loro diritti, di inconsapevole disprezzo e infine esplicita violenza…..Queste lacerazioni non si possono ignorare, come fa la «Nota storica» contenuta nel kit distribuito dal Comitato Tricolore, che ad esempio non menziona le leggi razziali del ' 38, particolarmente rilevanti a Trieste dato il grande ruolo italiano della sua comunità ebraica, né la Risiera né l' oppressione snazionalizzatrice antislava”.

Ecco come il moderatismo bipartisan, compreso quello di centro-sinistra che guida il Comune di Trieste, riscrive la storia. Ecco in nome di quali valori esso compie questo misfatto. L’opportunismo politico lo guida. Ogni passione di verità è assente. E il resto è silenzio, come disse qualcuno.



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