Due articoli del 21 settembre 2004.
Il primo pubblicato su
l'Unità, il secondo sul Corsera che - stranamente - non sono riuscita a trovare in versione web. Si tratta di un articolo firmato da
Lorenzo Cremonesi intitolato:
La Croce rossa italiana: "Rischi alti ma restiamo a Baghdad".
La nota del Corsera si compone di un'intervista al nuovo capomissione della Cri in Iraq (
Ferruccio Modena) dopo il "siluramento" di De Santis
operato da Scelli nella quale il nuovo responsabile dell'Organizzazione umanitaria ribadisce quanto è gia noto da tempo.
Ovvero che i componenti della delegazione italiana,
[1] dopo le minacce relative al tentativo di sequestrare un medico (o un infermiere) lanciate dai servizi segreti nei giorni scorsi, non solo conducono una (...)"vita da reclusi" (...) ma sarebbero anche, soggetti, a scorta armata che è stata predisposta (...)"a ogni piano frequentato dagli italiani" (..).
Una ventina di uomini armati (per piano) che procedono, all'ingresso, a
perquisizioni personali effettuate su tutti i visitatori. Compresi i pazienti più gravi.
Di più. Secondo quanto riportato dalla nota in oggetto agli operatori sanitari italiani sarebbe, addirittura, riservato un ...
ascensore esclusivo.
La qual cosa - se fosse confermata - costituirebbe una vera e propria deroga (in pejus) delle condizioni ottimali nelle quali una Organizzazione super partes com'è (o dovrebbe essere) la Croce rossa internazionale dovrebbe operare in territorio "ostile".
Condizioni ottimali che potrei sintetizzare nel rispetto del principio (etico) della
coerenza mezzi/fini.
Ovvero (e banalizzando molto): se il mio fine dichiarato è quello di prestare soccorso e solidarietà alle vittime della guerra e della
violenza degli Stati non utilizzerò
mai mezzi coercitivi che contraddicono il fine che dichiaro di perseguire né mi servirò - per proteggere me stessa - di "
pretoriani" in armi.
Pretoriani - sia detto per inciso - di ciascuna fazione in lotta. Nessuna esclusa.
Diventerò, dunque, a tutti gli effetti
inerme tra gli inermi.
Agnello in mezzo ai lupi.
E' o, meglio, era lo stesso principio al quale si sono attenute le nostre due, giovani, connazionali prima del rapimento ad opera di
miliziani ignoti.
Ebbene, in questa nota pubblicata dal Corsera che sto cercando di anlizzare criticamente c'è un passaggio che mi sembra particolarmente inquietante e che riporto per intero: (...)
"Il rapimento e l'uccisione di Enzo Baldoni e poi il caso delle due Simone ha fatto precipitare le cose.
Nessuno è più immune. E' ovvio che per i terroristi gli operatori umanitari vanno considerati alla stregua di soldati nemici. Da colpire alla prima occasione. Questo a dire il vero, anche a causa della grave sovrapposizione (evidenziatura mia) tra missione umanitaria e missione di guerra che ha caratterizzato le varie fasi della guerra irakena e tutto il dopoguerra.
La
confusione tra soldato e operatore umanitario è davvero grande. E oggi gli italiani della Croce rossa guardano con preoccupazione anche alle sentinelle inviate d'ufficio dal governo Allawi. "
Chi dice che non siano terroristi? " sussurravano all'ospedale (ovvero al Medical City di Baghdad - ndr) pochi giorni fa (...)".
Ebbene è questo il clima che si respira, oggi, in Iraq.
Ed è in questo clima che si staglia, sempre più ambigua ed inquietante, la figura del Commissario Straordinario: Maurizio Scelli.
Onnipresente sui media.
Chi c'è dietro di lui? si chiede, un po' retoricamente,
Giovanni Pecora,
E' quello che vorremmo sapere in tanti.
[1] La delegazione italiana della Croce rossa in Iraq (24 soggetti) è composta da 2 medici, 7 infermiere e 15 assistenti (autisti, barellieri, ausiliari/e) che - di fatto - dal 20 agosto 2004 vivono
da reclusi all'interno della struttura ospedaliera denominata
Medical City di Baghdad. L'attuale contingente (che ha "avvicendato" quello che ha partecipato alla, sfortunata, missione a Najaf e Kufa costata la vita a Enzo Baldoni e Gahreeb) sarà sostituito, da altro personale, il 30 settembre p.v.