breve di cronaca
Infanzia e adolescenza: indagine sulla Campania
Il Mattino - 27-02-2002
Qual è la condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Campania? Saranno presentati oggi nella Casina del Boschetto in Villa Comunale, dalla 9,30 in poi, i dati della ricerca svolta dalla facoltà di Sociologia dell’Ateneo federiciano e dalla facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Salerno. L’indagine ha coinvolto tutti i 551 Comuni della regione e si è focalizzata soprattutto sul lavoro minorile e sui ragazzi immigrati. I minori seguiti dai servizi sociali sono oltre 30mila, di cui 4883 in condizioni di disagio familiare; 3331 quelli che hanno abbandonato la scuola; 2797 i disabili. Quello di oggi è il primo appuntamento di un ciclo di tre seminari e un convegno conclusivo del progetto «La pianificazione delle politiche per i minori: dai territori alla regione», promosso dalla Regione e gestito da Formez e Fondazione italiana per il volontariato (F.I.Vol). Alla giornata di studio, moderata dal giornalista Antonio Troise, partecipano Adriana Buffardi assessore alle politiche sociali, Maria Grazia Falciatore, dirigente settore politiche sociali, Maria Vittoria Magli del Formez, Enrica Amaturo della Federico II, e Pina Boggi Cavallo dell’Università di Salerno.

Dal Redattore Sociale

Da area di transito a residenza stabile: così cambia l'immigrazione in Campania. Lo dimostrano gli oltre 7mila bambini stranieri

La presenza di minori in Campania, se non sembra molto significativa dal punto di vista numerico, rappresenta però, secondo gli osservatori, uno degli aspetti di maggiore novità. In una fase iniziale dell'immigrazione la Campania si caratterizzava come "area di transito" e accoglieva soprattutto immigrati giunti per lavorare. La presenza di minori oggi è, invece, secondo i ricercatori un indice di stabilità e segnala come l’immigrazione nella regione vada sempre più consolidandosi.

La ricerca svolta dalla Facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II" e dalla Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Salerno su "La condizione dell'infanzia e dell'adolescenza in Campania” indica la presenza di circa 7300 minori stranieri residenti nella regione. La provincia in cui viene registrata la maggiore presenza di bambini immigrati è quella di Napoli con più di 4mila iscritti all’anagrafe, pari al 57% del totale regionale. Napoli risulta anche il comune maggiormente interessato, con 2.110 residenti. Seguono poi le province di Caserta con 1.473 minori residenti, dove tra l’altro l’incidenza dei minori stranieri sul totale della popolazione residente è la più elevata, Salerno con 942 e Avellino con 526. Benevento con 205 minori è la meno interessata.

Si stima tuttavia che il loro numero sia superiore a quello ufficiale, in quanto vi sono diverse circostanze in cui il minore non viene registrato all’anagrafe: bambini nati in Italia da genitori stranieri privi di permesso di soggiorno minori non accompagnati o “in transito”, per i quali i genitori o i tutori di fatto non prevedono una permanenza nella regione se non temporanea. Inoltre vi sono anche casi di minori iscritti all’anagrafe che in realtà sono rimpatriati e per i quali il permesso di soggiorno e l’iscrizione all’anagrafe viene mantenuta per “acquisire il diritto” ad una futura cittadinanza italiana. Le nazionalità di provenienza dei minori variano a seconda delle province.

Integrazione scolastica: le scuole etniche “autogestite”

L’inserimento scolastico dei figli di lavoratori immigrati può essere considerato secondo i ricercatori uno dei principali indicatori della stabilità della presenza straniera sul territorio e del livello di integrazione delle comunità. Nell’anno scolastico 1998-1999, risultavano inseriti 1.457 alunni stranieri. La provincia che presenta il maggior numero di iscritti è quella di Napoli con 824 alunni stranieri, pari al 56% del totale dei minori stranieri iscritti nelle scuole della regione. Accanto agli alunni italiani significativa la presenza di bambini cinesi e una elevata percentuale di alunni rom. Il 62% di minori stranieri secondo la ricerca è iscritto nelle scuole elementari, il 25% in quelle medie e il 12% nelle scuole materne; quest’ultimo dato è il più basso rispetto alla media regionale che risulta essere pari al 14%.

Per gli osservatori le cause del mancato inserimento di bambini stranieri nelle scuole, dipendono spesso dal fatto che i bambini rimangono con i genitori soltanto nei primi anni di vita, ma anche per un atteggiamento di diffidenza di molti stranieri nei confronti delle istituzioni e servizi pubblici italiani. Ciò vale soprattutto per i genitori irregolari che, nonostante esista una normativa italiana che tutela il diritto del minore di andare a scuola indipendentemente dalla condizione di regolarità o meno dei familiari, preferiscono non inserire i propri figli nel normale ciclo scolastico.

Questo atteggiamento trova un riscontro nella nascita di alcune “scuole etniche”, non sempre ufficiali, che vanno dagli asili nido alle scuole superiori e sono gestite da membri appartenenti alla comunità di origine e con insegnanti qualificati madrelingua.

Minori immigrati a Napoli

Alla fine del 2000, i minori stranieri residenti nella città partenopea erano 2110 nella sola città e 2087 nel resto della provincia; complessivamente secondo i dati registrati dall’Istat rappresentano il 13,1% dell’insieme di stranieri regolarmente soggiornanti. Vi era inoltre una presenza, non sempre regolare, dovuta in parte ai minori in transito, in parte ai minori arrivati clandestinamente, non contemplata nelle statistiche ufficiali.

Dal punto di vista quantitativo i minori immigrati a Napoli rappresentano una realtà modesta, se paragonata alle altre città italiane. La scarsa consistenza numerica della presenza di minori immigrati a Napoli si spiega secondo gli esperti con la caratteristica di "area di transito" che assume per gli stranieri l''area napoletana, e più in generale, la regione Campania. Le comunità straniere tendono dunque a subordinare l''arrivo dei figli o la loro eventuale nascita ad una maggiore stabilità abitativa e lavorativa che possono ottenere con un loro trasferimento al Nord.

Una delle aree a più forte insediamento della popolazione immigrata in presenza di minori, nella città di Napoli, è rappresentata dal centro storico e per la precisione la zona compresa tra il “Rione Sanità” ed i “Quartieri spagnoli”. In questi quartieri sono concentrate le famiglie srilankesi ma anche della Somalia, della repubblica Dominicana, di Capo Verde e di altre comunità. Molte famiglie sono andate a vivere in queste zone negli anni ’90, soprattutto nei cosiddetti “bassi” (monolocali umidi e bui a livello di strada), lasciati liberi dalle famiglie locali a cui sono state assegnate abitazioni di edilizia popolare o che per motivi di ascesa sociale hanno cambiato abitazioni. Nella zona circostante la stazione centrale di Napoli si concentrano invece prevalentemente famiglie di cinesi, senegalesi, di nordafricani e di immigrati dell’est Europa (ucraini, polacchi, rumeni, ecc). Per quel che riguarda la componente di minori è proprio nella comunità di più recente insediamento, cioè quella cinese, che in questa zona ne troviamo il numero più elevato sia in valori assoluti che in valori percentuali. Durante la ricerca è stata infatti stimata una presenza di bambini e ragazzi cinesi di oltre centinaio di unità. Un''altra area di concentrazione è rappresentata dal quartiere di Ponticelli dove vivono la maggior parte di famiglie albanesi, di ivoriani e dove vi è tra l’altro anche una significativa presenza di famiglie rom che risultano molto numerose anche nei quartieri di Secondigliano e Scampia, dove esistono due campi del Comune di Napoli in cui vivono 50 famiglie (circa 600 rom) ed alcuni insediamenti abusivi nei pressi dei cavalcavia dell’Asse Meridiano e di altre strade nel quartiere di Scampia dove vivono altre 400-500 persone. Nel complesso la presenza di minori nei campi è stata stimata da operatori che lavorano nei campi intorno alle 400 unità.
Fonte: "La condizione dell''infanzia e dell''adolescenza in Campania"

Come vivono gli immigrati in Campania? ''Le differenze dipendono dalla comunità di appartenenza''

Etnie e culture diverse da cui nascono differenti stili di vita. La ricerca delle Università di Salerno e Napoli dedica ampio spazio all'analisi delle caratteristiche specifiche che le distinguono.

Albania
Risultano residenti nel comune di Napoli 101 minori albanesi e altri 109 nei comuni della provincia. I primi sono arrivati a Napoli clandestinamente con la famiglia in due ondate successive, con la nave del 7 marzo ‘91 e nel ’93, ed hanno poi ottenuto il permesso di soggiorno per asilo politico. Negli ultimi anni la presenza di bambini e ragazzi albanesi è in aumento, sia per la possibilità del ricongiungimento familiare sia attraverso l’acquisto di documenti falsi (circa 2000 $ secondo alcuni testimoni). Ad essi si aggiungono i bambini nati in Italia soprattutto nei nuclei familiari che vivono a Ponticelli (Napoli), circa 50 famiglie in condizioni abitative disagiate.
I bambini albanesi vivono tutti nelle famiglie di origine e frequentano regolarmente la scuola dell'obbligo. Non hanno problemi linguistici poiché in Albania ascoltavano i programmi televisivi italiani o studiavano la lingua a scuola. Il lavoro minorile è praticamente assente tra gli albanesi che si limitano ad aiutare i genitori nelle faccende domestiche. Una fascia giovanile è invece coinvolta in furti, soprattutto d'auto, e rapine che sembra in aumento come risulta dal numero di minori fermati e condotti al Cpa del Centro di Giustizia minorile.

Capo Verde

La comunità capoverdiana, oltre ad essere numerosa, ha la particolarità di essere costituita almeno per il 90% da donne (la stessa percentuale speculare si riscontra nella comunità marocchina), arrivate in Italia prevalentemente con contratti di lavoro da domestiche. Sono 177 i bambini che attualmente risultano residenti, nati prevalentemente in Italia o, in misura minore, arrivati per ricongiungimento familiare. Essendo una comunità di antico insediamento, molti di essi sono ormai adolescenti. I bambini capoverdiani frequentano regolarmente la scuola e in alcuni casi riescono ad alternare la frequenza scolastica con lavori stagionali nel periodo estivo. Quasi mai invece frequentano associazioni o parrocchie nel tempo libero. Poiché la comunità è prevalentemente femminile, nella maggior parte dei casi si è in presenza di famiglie composte da madri con figli. Molte per la difficoltà di conciliare il lavoro con la cura dei figli, fanno ricorso ad istituti religiosi o a famiglie italiane, che svolgono di fatto un’attività di affido informale a pagamento o anche gratuitamente.

Cina

Gli ingressi non sono tutti legali ma avvengono con l’intero nucleo familiare. Secondo i ricercatori i canali di ingresso sono complessi e costosi e sono nelle mani di “agenzie” che ne assicurano per alcuni milioni l’arrivo in Italia, dopo aver fatto scalo in diversi paesi. I bambini cinesi sono presenti nell’area vesuviana, sin dalla seconda metà degli ani Novanta, e nel comune di Napoli, dove sono arrivati negli ultimi tre o quattro anni. Si tratta di una presenza di recentissimo insediamento e difficile da quantificare sia per i continui arrivi, sia perché si tratta di una comunità che è poco a contatto sia con le istituzioni che con le organizzazioni di volontariato. La presenza complessiva in provincia di Napoli è stimabile intorno alle 7mila presenze, e nel 40% circa dei casi si tratta di presenze irregolari o in attesa di regolarizzazione. Le famiglie sono in totale circa 800. I bambini cinesi frequentano regolarmente la scuola e svolgono un’attività lavorativa soltanto al di fuori dell'orario scolastico o durante le vacanze estive: aiutano ad attaccare i bottoni, o stanno nel negozio dei genitori dove talvolta fungono anche da interpreti tra i genitori che non parlano per niente l’italiano e i clienti. I minori residenti risultano essere 82 nel comune di Napoli e 240 in provincia, tuttavia la loro presenza, secondo le testimonianze sentite durante la ricerca, supera in totale le mille unità.

Filippine

La comunità filippina di Napoli vanta un antico insediamento ed è ancora oggi tra le comunità più numerose in città, conta infatti poco più di 1500 presenze nella sola città di Napoli e 2000-2500 nella intera regione. La componente femminile continua ad esser la più numerosa (70% del totale); impiegate come domestiche, le filippine generalmente vivono nell’abitazione del datore di lavoro nei quartieri residenziali di Napoli. I bambini sono tra le 100 e le 200 unità, nati prevalentemente in Italia, di questi una decina sono figli di coppie miste. Il gruppo di età più numeroso è quello della fascia di età da o a 5 anni. I bambini vivono nella stragrande maggioranza con la madre o con i genitori, nella propria abitazione o in quella del datore di lavoro. Tutti i bambini filippini vanno a scuola e sono stati segnalati quattro casi di ragazzi che frequentano l'università.

Nord Africa

In base ai dati ufficiali le comunità del Marocco, della Tunisia e dell’Algeria sono in valori assoluti le più numerose nella regione Campania con una netta maggioranza dei marocchini. Nell’insieme risultano residenti in provincia di Napoli 6.200 nord africani (poco più di 2.500 Marocchini, 2.300 Algerini, 1.300 Tunisini), e di questi la stragrande maggioranza nei comuni della provincia (soprattutto quelli vesuviani) e solo il 12% nel capoluogo (769). La componente irregolare è difficilmente quantificabile sia perché è molto dispersa sul territorio della regione, sia perché è molto mobile e quindi c'è il rischio contare più volte lo stesso lavoratore che si sposta da un comune all’altro. Le comunità, di cui il più antico insediamento è quella dei Marocchini, sono composte in prevalenza da uomini, ma negli ultimi anni la presenza delle donne è cresciuta insieme a quella dei bambini. Negli ultimi anni sono anche aumentate le nascite da matrimoni misti con donne italiane o dell’Est europeo. Complessivamente i minori nordafricani residenti risultano essere 618 e di questi solo 102 nella città di Napoli. In città la componente relativamente più numerosa è quella dei tunisini. Vi sono poi circa 200 minori, per lo più marocchini, non accompagnati distribuiti in tutta la provincia di Napoli. Alcuni entrati con documenti regolari appartenenti ad un familiare già residente in Italia, accompagnati dal padre o da un altro parente, spesso lo zio paterno, ma spesso i documenti vengono forniti in cambio di denaro (in media cinque milioni di dirhami, pari a circa dieci milioni di lire) da un conoscente che fa passare il minore per un figlio. Alcuni attraversano la frontiera clandestinamente a bordo di una nave mercantile o nascosto in un tir di trasporto internazionale. Secondo diverse testimonianze, in quest'ultimo caso l’ingresso in Italia ha un costo elevato che viene pagato dalla famiglia, ad esempio vendendo un terreno o chiedendo un prestito alla banca. Con il pagamento del passage il rapporto tra il minore e chi lo ha favorito nell'espatrio si estingue. La restituzione del debito avviene nei confronti della famiglia del minore verso la quale egli avverte un obbligo morale. Tutti i minori marocchini lavorano per strada, dedicandosi alla vendita di fazzoletti di carta e alla pulizia dei vetri delle automobili nei pressi dei semafori e dei passaggi a livello, attività per la quale incassano giornalmente circa 80\100mila lire, con un orario di lavoro di 14-15 ore.

Sri Lanka

E’ la più numerosa con le sue 4000-5000 presenze nella sola città di Napoli e un altro migliaio nel resto della provincia e della regione. Gli srilankesi sono arrivati e continuano ad arrivare attraverso molti canali, sia ufficiali che irregolari. La comunità srilankese a Napoli è composta prevalentemente da cingalesi, ma non mancano i tamil. Gli srilankesi lavorano soprattutto nei servizi domestici sia giorno e notte che a ore ma è possibile trovare uomini che son o impiegati nei servizi di ristorazione, come garzoni o commessi alle dipendenze nel commercio (negozi di abbigliamento o di generi alimentari). Il numero degli uomini è sensibilmente cresciuto in questi anni così come i ricongiungimenti di fatto e in costante aumento è il numero dei bambini. Nella maggior parte dei casi i bambini nascono in Italia e poi o subito o dopo i primissimi anni di vita, sono riaccompagnati nel paese di origine. Secondo una stima basata su interviste a testimoni privilegiati in Campania sono effettivamente presenti 300-400 bambini srilankesi prevalentemente nella città di Napoli. Tuttavia il numero di bambini residenti risulta essere di poco superiore a tale cifra (464 a Napoli, e 24 in provincia), in quanto alcuni genitori tengono a far rimanere residenti bambini nati a Napoli ma già rimpatriati, per dare loro la possibilità di ritornare eventualmente dopo il diciottesimo anno di età. Di solito i bambini frequentano regolarmente le scuole pubbliche, ma recentemente sta emergendo un nuovo fenomeno e cioè la creazione di asili nido "autogestiti" in maniera informale dalla stessa comunità. Nei soli quartieri Stella e Quartieri Spagnoli se ne contano 4 0 5, appartamenti ben attrezzati e adattati per esigenze di attività di intrattenimento dei bambini nelle ore di lavoro dei genitori. I bambini srilankesi frequentano la scuola fino al compimento del ciclo dell'obbligo per poi lavorare anch'essi come domestici. Si registrano pochi casi di ragazzi che hanno conseguito la licenza di scuola media superiore o iscritti all'Università.

Rom

La presenza dell’attuale comunità rom nella provincia di Napoli risale a circa trenta anni fa, periodo in cui gruppi di serbi scelsero come loro nuova sede le zone limitrofe del comune di Giugliano. La comunità è arrivata a Giugliano quasi esclusivamente attraverso canali non regolari, tuttavia nel corso degli ultimi decenni gran parte di questo gruppo rom originario si è trasferito in Germania. Attualmente le comunità più numerose sono due: una insediata nel quartiere di Secondigliano, l’altra in quello di Ponticelli, entrambe giunte circa 20 anni fa. Si tratta di rom di diverse etnie che convivono alternando momenti di tranquillità ad esplosioni di conflittualità più o meno visibili all’esterno. Nel complesso la loro presenza si conta tra le 1200 e le 1500 unità ed i minori contano 400-500 presenze. Pochi sono in possesso di documenti di soggiorno e ancor meno, date le condizioni abitative, della residenza. Per quanto riguarda i minori, è necessario distinguere fasce d’età a cui si riconnettono situazioni diverse per modalità di arrivo, clandestinità e diverso grado di integrazione nella comunità ospite. I ragazzi più grandi sono giunti in Italia dal paese di origine, sempre accompagnati da adulti, non necessariamente identificabili nei propri genitori, servendosi di canali non ufficiali, mentre quelli appartenenti a classi d’età comprese tra 0-3 e 5-10 anni rientrano nel numero di bambini rom nati in territorio italiano. Tutti vivono in famiglie allargate composte dai genitori, dai fratelli, cui si aggiungono zii, nonni, e cugini fino a formare gruppi di circa 50 persone. Le condizioni di vita sono molto precarie e la mortalità infantile è molto elevata. Da circa 4 anni vi è una maggiore attenzione da parte delle istituzioni locali al processo di inserimento scolastico dei minori rom.

I musulmani, la scuola pubblica, quella islamica

La presenza degli immigrati nel nostro paese cresce. Aumentano i ricongiungimenti familiari e, anche per questo, il numero dei bambini di altre religioni – soprattutto musulmani – che si iscrivono alle scuole dello stato italiano. Che cambiamenti questo comporta per l’istituzione scolastica? L’opinione di un membro della Lega musulmana mondiale-sezione Italia.
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Rom: la realtà napoletana

I rom napoletani si dividono prevalentemente in Napulengre e rom della ex Jugoslavia. I Napulengre sono arrivati nel capoluogo campano nel ‘400, vivono nella città e in alcuni comuni della provincia (Marano, Afragola) e si può facilmente incontrarli nel centro storico di Napoli a chiedere l’elemosina suonando l’armonica. Mimetizzati tra la popolazione, fino a trenta anni fa erano inseriti nel tessuto economico della città, fabbricavano arnesi per la pesca, facevano spettacolini ambulanti con pony e pianole nelle ville e nelle piazze, addestravano pappagallini per la chiromanzia. Oggi vivono soprattutto di piccolo commercio ambulante.
I rom della ex Jugoslavia sono giunti a Napoli in più tornate, i primi tra gli ’60 e ’70, altri dopo la caduta del muro di Berlino, fino all’esodo massiccio nel ’92, dopo lo scoppio della guerra in Bosnia, e agli afflussi successivi, che hanno portato al ricongiungimento di numerose famiglie. Sono per lo più serbi cristiano-ortossi (rom dasikhané), bosniaci, macedoni, e piccoli gruppi di kossovari musulmani. Parlano la lingua romanì, hanno il sistema sociale della famiglia allargata e vivono di lavoretti, fanno i muratori, gli ambulanti, o chiedono l’elemosina. Non possono propriamente definirsi “nomadi” perché nella ex Jugoslavia, a partire dal governo di Tito, hanno goduto di pari diritti e sono stati integrati nel tessuto sociale

Le fasi della ricerca sull'infanzia e adolescenza in Campania. Intervistati comuni, Asl e Terzo Settore

La ricerca svolta dalla Facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II" e dalla Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Salerno su "La condizione dell'infanzia e dell'adolescenza in Campania, presentata oggi a Napoli ha coinvolto tutti i 551Comuni della Regione e ha rivolto particolare attenzione a due aspetti specifici: il lavoro minorile e i minori immigrati presenti nella Regione.
Si tratta del primo appuntamento di un ciclo che prevede tre seminari e un convegno conclusivo del progetto "La pianificazione delle politiche per i minori: dai territori alla Regione. La sperimentazione in Campania nel passaggio dalla L.285/97 alla L.328/00", promosso dalla Regione Campania e gestito dal Formez e dalla F.I.Vol., per lo studio, il confronto dei dati e delle esperienze dell'Osservatorio Regionale sulla realtà dei bambini e degli adolescenti in Campania.
Lo studio contiene i risultati di un ampio lavoro di raccolta ed elaborazione dati sulla condizione dei minori in Campania, svolto in più fasi, con l’obiettivo di realizzare una mappatura completa degli interventi attuati a livello regionale e dei relativi finanziamenti per offrire elementi utili di analisi alle istituzioni, agli enti pubblici e ai soggetti del terzo settore con l’idea di gettare le basi per un monitoraggio continuo nello spirito della legge 451/97.
Nelle due fasi iniziali sono stati raccolti e analizzati sia il materiale bibliografico sul tema dei minori, con particolare riferimento al territorio locale, presso biblioteche e librerie del territorio e l’Istituto Innocenti, sia le fonti statistiche ed amministrative disponibili in base ad aree tematiche (demografica, sanitaria, scolastica, relativa alla giustizia, al lavoro, agli stranieri, agli abusi e violenza). Ne è risultato che “la produzione di studi e ricerche sul tema dell’infanzia e dell’adolescenza in Campania è alquanto esigua”. In totale sono stati schedati con abstract oltre 200 testi, ma di questi, poco più della metà inerenti al territorio regionale.

Si è poi passati alla fase di ricerca sul campo per verificare le risorse attivate sul territorio a favore dell’infanzia e dell’adolescenza, sia da parte degli enti locali destinate ai minori, sia da parte delle organizzazioni del Terzo Settore, di cui è stato selezionato un campione rappresentativo. I questionari sono stati inviati a tutti i 551 comuni della Campania. Complessivamente, sono state raccolte 534 schede dai Comuni, di cui 101 hanno dichiarato di non svolgere alcuna attività a favore dei minori.

I minori seguiti dai servizi sociali dei comuni sono risultati nel 1999 oltre 42mila. Circa le loro condizioni di disagio, emerge che quasi la metà si trova in condizione di povertà economica, che 4.883 minori seguiti dai servizi sociali vivono condizioni diverse di disagio familiare, 3.910 sono minori che hanno abbandonato la scuola e sono seguiti dai servizi sociali e che 2.797 sono quelli disabili. I minori seguiti dai servizi sociali che non hanno alcun tipo di disagio sono 6.972 e si tratta, in questo caso, soprattutto di minori inseriti in attività di socializzazione, ad esempio in progetti ex legge 285/97.

Le attività realizzate dai comuni a favore dell’infanzia e dell’adolescenza sono 1.912 tra progetti annuali o servizi stabili, realizzati dagli enti locali spesso con la partecipazione di enti del terzo settore. Un impulso importante, sottolineano gli osservatori sembra essere arrivato con i finanziamenti di cui hanno potuto beneficiare i comuni con la legge 285/97. Contemporaneamente alla rilevazione presso i comuni, è stata effettuata anche una rilevazione dei dati presso tutte le Asl della regione, finalizzata a rilevare le iniziative promosse e realizzate dai servizi sanitari della Campania e dai servizi presenti nei distretti sanitari.

Nel rione Sanità le giovani immigrate dall'ex Unione Sovietica ''rimpiazzano'' i ragazzini

Giovanissime donne immigrate, prevalentemente provenienti dai paesi dell’ex Unione Sovietica, che lavorano come commesse nei bar o nei negozi svolgendo mansioni che un tempo erano affidate ai minori. E’ questa uno delle novità emerse dalla ricerca sul lavoro minorile realizzata dalle Università di Napoli e Salerno che ha riguardato un quartiere del centro storico di Napoli, il rione Sanità, “per anni lasciato a se stesso, quasi un’isola autogestita, o meglio non controllata, con una propria economia e delle proprie regole sociali nelle quali la scuola ha rappresentato per i giovani l’unico, e troppo debole, cordone di collegamento con il resto della società”.

Il fenomeno del lavoro minorile in questo rione secondo gli osservatori coinvolge attualmente soltanto poche decine di minori, anche a causa di un maggior rigore nei controlli da parte dell’Ispettorato del Lavoro che ha reso i titolari delle aziende che fanno ricorso al lavoro "nero" più prudenti riguardo all'utilizzo di lavoro minorile. Le immigrate dunque finiscono per risultare più "competitive" rispetto ai ragazzini, sia perché si accontentano del salario concesso sia perché sembrano più affidabili nello svolgimento dei compiti richiesti, grazie anche alla maggiore età. Le attività che i minori svolgono sono a volte a carattere continuativo, e riguardano quei “ragazzi che la scuola ha già selezionato ed escluso”, ma anche attività stagionali o saltuarie svolte dai ragazzi che continuano a frequentare la scuola. Queste ultime risultano dall’indagine le più frequenti.

“Quello che sembra opportuno mettere in evidenza con questa piccola indagine – si legge nella ricerca - è che, a prescindere dalla scarsa consistenza numerica del fenomeno, nel rione Sanità, ma anche in altri quartieri napoletani in cui si concentrano le famiglie povere, permane una forte condizione di marginalità sociale. Se le istituzioni pubbliche - e in primo luogo la scuola - sia il settore del volontariato e dell'associazionismo rappresentano attori importanti nell'opera di prevenzione del lavoro minorile. Sarebbe opportuno ad esempio un costante monitoraggio dei ragazzi in condizioni di particolare rischio – nelle scuole e nel territorio - e l'attivazione di specifici progetti di protezione individualizzata”.

Nel rione Sanità, così come in altri quartieri di Napoli o di altre città del sud, il lavoro minorile ha origine soprattutto dalle precarie condizioni economiche delle famiglie. Ma il bisogno di reddito, sottolineano gli osservatori, non è la sola motivazione che spinge le famiglie a procurare una attività lavorativa ai figli; è forte anche il bisogno di tenere i figli al riparo dai fenomeni di criminalità e devianza, di fare acquisire loro capacità professionali sia generiche, attraverso l’abitudine al lavoro, che specifiche, con l’avvio ad un mestiere

Lavoro minorile: contraddizioni in cifre

Secondo una ricerca della Cgil durata due anni, sono 350mila i minori che lavorano in Italia, avviati dalle stesse famiglie al lavoro illegale spesso non per una vera esigenza economica, ma seguendo un modello “privo d’alternative dove l’essere bambino che lavora si traduce nella prassi nel piccolo adulto che consuma”. L’indagine multiscopo sulle famiglia dell’Istat segnala, invece, 500mila minori coinvolti in attività lavorative in Italia, mentre nel 1996 l’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro) stimava che il numero di ragazzi tra 10 e 14 anni impiegati in Italia in attività lavorativa rappresentavano lo 0,4% del totale della popolazione minorile, che in valore assoluto corrisponde a 12mila unità. Secondo il Censis, agli inizi degli anni ’90, 120mila unità hanno abbandonato la scuola per andare a lavorare e altrettanti conciliato lavoro e scuola. Infine l’Unicef nel 1993 stimava che il numero dei minori che lavoravano illegalmente in Italia era compreso tra le 200 e le 300mila unità.

Le cifre sul lavoro minorile sono spesso contraddittorie. Non è facile stimare un fenomeno legato spesso al sommerso e alla clandestinità dello sfruttamento minorile. Questa diversità di cifre dipende essenzialmente dai differenti criteri seguiti nella rilevazione. La categoria d’analisi in alcuni casi comprende tutti i minori in senso anagrafico e quindi anche i ragazzi compresi tra i 15 ed i 18 anni, ma già in età di lavoro, in altri casi invece si utilizza una definizione più restrittiva che fa riferimento soltanto ai minori non in età di lavoro ai sensi della L. 977/67 e cioè con età inferiore a 15 anni.

Inoltre la categoria dei lavori è molto elastica e può comprendere il lavoro manifatturiero industriale, il lavoro di raccolta in agricoltura, il lavoro edile, il lavoro nell''azienda familiare fino a attività che non sono solo irregolari ma anche illecite come la prostituzione infantile e lo spaccio. Ad esempio un’attività svolta in maniera saltuaria, durante le festività natalizie, rischia a volta di essere equiparata ad un vero e proprio lavoro.




Lavoro minorile a Napoli

Il lavoro minorile ha rappresentato sempre un aspetto importante del funzionamento del mercato del lavoro a Napoli, almeno nel centro storico, dove esso cominciava già alle scuole elementari e conservava una rilevanza notevole alla scuola media inferiore (Capecchi e Pugliese 1978).

In passato esso è stato legato soprattutto ad attività tradizionali, riconducibili a due tipi principali: l’attività commerciale al minuto o l’attività nei servizi (il bar ad esempio) e la bottega artigiana. Nel primo caso il lavoro non conduceva ad alcuna forma di specializzazione professionale. Si trattava di “un mestiere da guaglione” senza alcuna prospettiva di miglioramento. Era un mestiere temporaneo che veniva poi sostituito da qualche altra attività, dallo studio a tempo pieno o dalla disoccupazione. Nel secondo caso si verificava spesso un livello maggiore di aspettative in quanto il ragazzo andava alla bottega per “imparare il mestiere”. Ma il mestiere appreso, se appreso, spesso serviva a poco. Certo il giovane poteva continuare a lucidare mobili o a saldare ferro, o la ragazza poteva continuare a fare orli e attaccare bottoni per pochi soldi alla settimana ma raramente finivano per considerare definitivo questo lavoro.

Nel corso degli anni settanta sono andati progressivamente scomparendo i mestieri più professionalizzanti a favore di attività legate soprattutto al decentramento produttivo - in particolare nel settore della lavorazione delle pelli e del cuoio - che si configuravano maggiormente come una forma di “lavoro nero”. Proprio per queste sue caratteristiche il lavoro minorile è andato progressivamente scomparendo dal centro storico di Napoli e si è andato progressivamente concentrando nei comuni dell’hinterland napoletano dove si sono maggiormente sviluppate queste attività.
Fonte: "La condizione dell''infanzia e dell''adolescenza in Campania"

Buffardi (Regione): ''Non c'è programmazione di politiche sociali valida se non si parte dai bisogni''

Una ricerca che dà ragione alla scelta degli interventi integrati nelle Politiche Sociali e indica la 285 come punto di svolta per l'assistenza ai minori: è quanto è emerso oggi nel corso del 1° dei tre seminari di presentazione e approfondimento su "La condizione dell'infanzia e dell'adolescenza in Campania". La ricerca, condotta dalla Facoltà di Sociologia dell'Università “Federico II” di Napoli e da quella di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Salerno in tutti i Comuni della Campania, è stata presentata questa mattina a Napoli, alla Casina nel Boschetto, con l'intervento, tra gli altri, dell'Assessore alle Politiche Sociali e Formative della Regione Campania Adriana Buffardi.
L'Assessore ha sottolineato come la ricerca sia la conferma che la strada intrapresa con la 285 e proseguita e integrata dalla 328 sia quella vincente.

"Non c'è programmazione di Politiche Sociali che possa considerarsi valida - ha affermato l'Assessore - se studiata soltanto a tavolino, senza partire dagli effettivi bisogni dei soggetti interessati. La ricerca ci dà spunti interessanti sia per considerare i bambini e gli adolescenti soggetti attivi di interventi di promozione dei diritti di cittadinanza, sia per puntare ad una riqualificazione degli operatori affinché si occupino con serietà e professionalità di questo difficile campo di intervento".

Un altro dato evidenziato nel corso del Seminario è la necessità di intervenire anche con la famiglia, giacché emerge come spesso l'assenza di interventi specifici da parte delle istituzioni deleghi alla famiglia la responsabilità totale delle situazioni di disagio di giovani e adolescenti.
"Un altro elemento di criticità - conclude l'Assessore - è l'assenza di progetti per i bambini piccolissimi e che tengano in conto la condizione delle donne e la necessità di promuovere condizioni di pari opportunità e forme di assistenza diverse". (Ida Palisi)



Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza. Istituzione del Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza.

La legge n.285 istituisce il fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza presso la Presidenza del Consiglio.

Il Fondo è finalizzato alla realizzazione di interventi per la promozione dei diritti dell’infanzia. Il 70% del Fondo è ripartito tra le Regioni, mentre il 30% delle risorse è da destinare a 15 Comuni 'riservatari', individuati come luoghi dove necessitano particolari interventi sul campo.
Sono ammessi al finanziamento progetti che perseguono la realizzazione di servizi di preparazione e di sostegno alla relazione genitore-figli, di contrasto della povertà e della violenza, innovazione e sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia, nonché la realizzazione di servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero, la realizzazione di azioni positive per la promozione di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e, infine, azioni per il sostegno economico ovvero di servizi alle famiglie naturali o affidatarie che abbiano al loro interno uno o più minori con handicap.
Oltre al finanziamento di progetti la legge 285 ha istituito presso l'Istituto degli Innocenti di Firenze, il Centro nazionale di documentazione e di analisi per l’infanzia, che si occupa di informare, promuovere e fare consulenza sui temi riguardanti i minori. Oltre a ciò ha il compito di monitorare i progetti in via di realizzazione e di tenere una banca dati di quelli attuati.
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FIVOL - Fondazione italiana per il volontariato

Indirizzo:Via Nazionale 39 - 00184 - Roma (RM)
Tel: 06/474811, Fax: 06/4814617
E-mail:direzione.gen@fivol.it

responsabile:Carlo Santini
addetto alla comunicazione:Maria Teresa Rosito (relazioni esterne) - Laura Mariotti (stampa) - ufficio.stampa@fivol.it
sito/i internet: http://www.fivol.it

La Fivol è stata promossa nel 1991 dalla Cassa di Risparmio di Roma, attuale Fondazione Cassa di risparmio di Roma, con la finalità di rispondere alle esigenze manifestate dal volontariato, che da anni auspicava la nascita di un organismo indipendente e autonomo di promozione, consulenza, supporto, servizio al suo impegno socio-educativo.
I servizi della Fivol consistono in attività di formazione, di studi e ricerche (numerosi i volumi pubblicati sui vari aspetti dell'impegno volontario), di comunicazione, di rapporti con l'Ue e i volontariati esteri, di impegno sulla pace e la solidarietà internazionale, di emeroteca, consulenza e editoria-pubblicistica.
Il nome della Fondazione è legato alla figura di Luciano Tavazza, che ne fu fondatore e guida fino alla sua scomparsa avvenuta il 30 aprile del 2000. La Fivol fa anche parte della Conferenza nazionale volontariato giustizia

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