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Il paradosso di Saramago
La Repubblica - 17-09-2004

La democrazia è a rischio? Esce il "Saggio sulla lucidità" del Nobel portoghese.
In una capitale innominata il settanta per cento degli elettori vota scheda bianca: l´elezione si ripete, ma il risultato peggiora?
L´uscita dello scrittore ha già fatto discutere: votare è un atto puramente formale?
Un ministro saprà aver ragione di tutti gli ostacoli per ritornare alla normalità


Di LUCIANA STEGAGNO PICCHIO

«Ululiamo, disse il cane». In tutti i libri di Saramago, i cani, accanto alle donne, sono fra i personaggi più chiaroveggenti, più intuitivi e responsabili. Protagonisti privilegiati, motori del racconto: le donne, dalla Blimunda del Memoriale del convento alla moglie del medico di Cecità, i cani, dal cane Costante di Rialzato dal suolo, al «cane delle lacrime» ancora di Cecità, al cane Trovato della Caverna.
Ed è dall´epigrafe del nuovo romanzo del portoghese (José Saramago, Saggio sulla lucidità, traduzione di Rita Desti, Einaudi, pagg. 300, euro 17,50) che questa volta parte l´invito all´azione. «I cani siamo noi. Ed è ora che cominciamo ad ululare»: chiarimento comparso in un´intervista dello scrittore alla Folha de Sao Paulo, subito dopo l´uscita dell´originale (Ensaio sobre a lucidez, marzo 2004).

Cominciamo ad ululare nel senso di opporci a ogni tentativo di strumentalizzarci, solo perché facciamo parte di un certo insieme, di una certa comunità: «Nasciamo ed è come se in quel momento avessimo firmato un patto per tutta la vita. Ma può arrivare un giorno in cui ci chiediamo: chi ha firmato per me?». O ancora, se vogliamo proseguire nel florilegio di affermazioni che insaporiscono di particolare sentenziosità la storia di questo undicesimo romanzo: «Il Saggio sulla Lucidità è il mio testamento. Adesso posso morire». Proposizione imprudente questa, di chi sapeva di essere finalmente riuscito a dire tutto ciò che voleva, anche se poi sarebbe stato il primo a ridimensionarsi: «Come si vede, non sono morto. Non ancora».

Subito dopo il Nobel, Saramago, che già a Stoccolma, nel centenario della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, aveva denunciato l´impotenza dei governi di fronte a un potere economico, «assolutamente non democratico, che ha ridotto a involucro senza contenuto quanto ancora restava dell´idea di democrazia», ha cominciato a battersi su questo fronte con l´azione quotidiana, con i suoi viaggi e le sue prese di posizione internazionale, ma anche e soprattutto con la sua opera di scrittore.

Il successo letterario riservato al Saggio in Portogallo, in Brasile e in Spagna, dove il libro è uscito contemporaneamente, ne ha ormai reso nota la storia. Che, come sempre, è una di quelle trovate per cui Saramago continua, ben oltre il Nobel, ad onorare la motivazione che gli attribuiva il merito di rendere ogni volta comprensibile, con parabole portatrici di fantasia, compassione ed ironia, una realtà sempre sfuggente. E questo a partire dal Memoriale del convento, che nel 1982 gli aveva dato la prima fama, fino a quel Saggio sulla cecità del 1995 di cui questo Saggio sulla lucidità, finalmente tradotto col suo titolo completo, senza adattamenti e semplificazioni editoriali, si pone non dico come logica continuazione, ma quale tessera antagonistica e speculare.

Nella capitale di un paese senza nome (sempre più frequentemente, nei romanzi di Saramago, ad indicarne l´universalità, ciò che distingue personaggi e luoghi non è più il nome individuale, ma solo la loro funzione perché «l´impressione scomparirebbe se personaggi e strade avessero un nome, se tutto potesse esser visto in categorie. Il lettore capirà che ciò che vede lo riguarda direttamente, proprio perché non si riferisce a niente di niente»), in questa capitale è in corso un normalissimo processo elettorale. Elezioni amministrative. Ed ecco che, al conteggio dei voti, risulterà inopinatamente come, nella capitale appunto, il 70 per cento degli elettori abbia votato scheda bianca. Ripetuta la votazione, la domenica seguente, secondo legge, ma con un numero impressionante di spie infiltrate nella folla dei votanti, munite di registratori e pronte a documentare ogni parola sospetta, il numero delle schede bianche sale all´83 per cento. Ed è subito scandalo. Nessuno nega che il voto bianco sia un sacrosanto diritto di ogni elettore. Ma, per un regime che si dice democratico, questo rifiuto totale di qualsiasi proposta elettorale appare come una delle peggiori risposte che possano venire da un elettorato. E questo, tanto da parte degli elettori del partito di destra (pdd), che peraltro qui raggiunge l´otto per cento dei votanti, del partito di centro (pdc), anch´esso con l´otto per cento, quanto del partito della sinistra (pds), con uno scarso uno per cento, denunciatore, forse, delle tendenze bianche dei suoi militanti. Bisogna correre ai ripari. Ed è così che, dopo il primo stupore, il governo al completo si fa protagonista di un articolato e spesso contraddittorio piano poliziesco inteso a scoprire come e da chi sia venuto il suggerimento del voto in bianco. Che sarebbe molto più pericoloso dell´astensione, dell´andare al mare, come si dice fra noi, in quanto la scelta banca implicherebbe comunque la volontarietà di una partecipazione significativa. Ma di quale significato? Come ravvisarlo e interpretarlo?

Chi conosce i libri di Saramago, sa che non ci sarà, nel libro almeno, anche solo ad illustrazione della parabola illuminante, nessuna risposta esplicita. Basterà per l´autore aver posto il problema. Un problema che implica a sua volta la domanda se le cosiddette democrazie di questo nostro mondo siano realmente democratiche. E, in fin dei conti, che cosa sia e che cosa ancora valga la democrazia nei nostri sistemi politici quando tutte le società sono rette unicamente dal potere economico. Il ritrovato del voto in bianco starebbe forse a indicare la coscienza da parte dei cittadini dell´inutilità di un rito ormai puramente formale che dovrebbe forse venir sostituito da ben altre operazioni di intervento. Ma intervento da parte di chi?
La mai smentita appartenenza dell´autore a una sinistra ortodossamente comunista è all´origine, forse, di una certa violenta reazione da parte di critici di diversa collocazione.

«Se il Saggio sulla Lucidità non causerà polemiche», aveva già preannunciato lo stesso Saramago, «è perché la società dorme». Dorme perché non sa vedere le cose come esse sono. La diagnosi è ricorrente nei suoi ultimi libri. Se, in Cecità, un´intera comunità si era ritrovata improv- visamente preda di una cecità che le inondava gli occhi di un chiarore bianco lattiginoso, se, nella Caverna, gli uomini, le spalle alla luce, guardavano la realtà solo riflessa su una sorta di schermo platonico, ora il voto bianco può assumersi come presa di coscienza da parte di quella stessa società che ha imparato finalmente a vedere. E colore bianco, subito dichiarato sospetto e sovversivo da parte dell´autorità inquirente, quanto sospetti e sovversivi sembreranno tutti coloro che hanno votato in bianco e che saranno collettivamente bollati come «biancosi», ora questo bianco apparirà come il candido lenzuolo del Gandhi della resistenza pacifica, come il bianco luttuoso di certe società orientali e i crisantemi bianchi che i biancosi porteranno ai funerali delle vittime di un attentato sospetto in una stazione, che lo stesso potere organizza per poterne forse attribuire la responsabilità ai rei dell´assurda votazione.

Tranne che per i pochi eccessi di cui si è detto, in Portogallo, Brasile e Spagna, il libro ha causato finora soprattutto reazioni letterarie. Un libro di Saramago è pur sempre un libro di Saramago. Un oggetto d´invenzione poetica. E, anche qui, fin dalla prima pagina, ci si scontra e ci si incanta con quella sua capacità di osservare, ascoltare, rigirare ogni parola, ogni frase, ogni situazione da ogni punto di vista. Di creare personaggi che da quel momento entrano a far parte del nostro immaginario, della vita di tutti o che forse già c´erano e non lo sapevamo. Con divertimento, senza dubbio. «Alle dieci di sera, finalmente, comparve in televisione il primo ministro. Aveva il viso alterato, le occhiaie accentuate, effetto di una settimana intera di notti mal dormite, pallido nonostante il trucco tipo buona salute». E sarà questo primo ministro che, d´ora in poi, con ineccepibile dialettica politica, con patriottismo e bonomia (il sarcasmo di Saramago tocca qui il suo vertice), saprà aver ragione di tutti gli ostacoli per tornare alla «normalità». Saprà gestire la dichiarazione dello stato di eccezione, la ritirata del governo fuori della capitale colpevole, le schermaglie verbali con i membri del governo, a cominciare dal ministro della difesa, «un civile che non aveva fatto il militare», fino al ministro dell´interno e al ministro della giustizia il quale non esclude che «quanto successo abbia le sue radici all´estero, che quanto stiamo vedendo sia solo la punta dell´iceberg di una gigantesca congiuntura internazionale di destabilizzazione, probabilmente di ispirazione anarchica». Ci sarà poi il tentativo frustrato degli elettori di destra di fuggire anch´essi fuori della capitale, fino all´individuazione dei colpevoli, del frutto bacato da eliminare: in primo luogo del commissario, l´unico vero personaggio positivo della storia, che a poco a poco prende coscienza della realtà e rinuncia a collaborare col potere. E poi, senza dubbio, della moglie del medico la quale in Cecità aveva avuto la colpa, unica in tutta la città, di non divenire cieca e che, infine, viene uccisa insieme al suo cane delle lacrime, lui sì ricco di un nome, Costante, come sempre. Ma la normalità di ritorno ha, come era ovvio, tutti i caratteri di una pericolosa dittatura.

Ha detto ancora Saramago: «Quando misi fine al Saggio sulla Cecità non vedevo alcuna possibilità di dargli una continuazione. E, del resto, questo nuovo saggio non è, a rigori, una continuazione di Cecità. Ma quando la scrittura di Lucidità era già molto avanzata, ecco che, all´improvviso, io capisco che la città è la stessa e che i personaggi della prima storia, anche se non tutti, devono passare alla seconda». Dovevano passare, naturalmente, per non lasciare che la conturbante allegoria della cecità collettiva restasse senza risposta da parte di una società che prima o poi sarebbe stata chiamata a vedere e cioè a guardare più attentamente intorno a sé e dentro se stessa.

Le discussioni «di altra natura» che non si sono fatte dopo Cecità, un libro «terribile» che ha avuto ormai tanta risonanza letteraria, tante riduzioni teatrali, dovranno farsi ora, a proposito di questo nuovo Saggio che è insieme, come ce lo presenta il suo autore, «una storia, una satira e una tragedia». Un libro con cui, si voglia o non si voglia, si concordi o no, siamo un po´ tutti chiamati a discutere.


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