Vincere il terrorismo
Gianni Mereghetti - 06-09-2004
Guardando le immagini della distesa di sacchi neri che avvolgono i corpi dei bambini di Beslan è naturale domandarsi come sia possibile che siano stati degli esseri umani a compiere tanta atrocità.

Se quegli uomini incappucciati avessero guardato negli occhi uno ad uno i bambini che stavano uccidendo com’è avrebbero potuto spegnere la loro vita?

Eppure lo hanno fatto, e quei corpi richiamano quelli che i soldati americani e sovietici hanno trovato nei campi di sterminio che incontravano nella loro avanzata verso Berlino.

Come gli aguzzini nazisti hanno potuto uccidere senza pietà, così oggi se ne rendono responsabili i terroristi. E possono continuare a farlo, perchè non hanno di fronte il volto di colui che uccidono, ma il loro progetto di potere. E’ per questo che il terrorismo è aberrante, perchè rapisce, violenta e uccide in nome di un’idea, e per farlo non considera le sue vittime persone. Non le può considerare, altrimenti butterebbe a terra le sue armi e scapperebbe via.

Il terrorista non sa più riconoscere la realtà, fa il male, ma non lo riconosce come tale.

Il dramma è che questa incapacità a condannare il male ha preso anche il mondo occidentale e rischia di albergare anche nel cuore di tutti noi, che condanniamo il terribile rituale di un terrorismo aberrante e spregiudicato.

Oggi non riconosce la presenza del male chi ritiene che con il terrorismo si debba scendere a patti allo scopo di garantirsi una vita tranquilla. Come non la riconosce chi sostiene che il terrorismo è l’effetto dello sfruttamento che l’Occidente ha messo in atto nei confronti dei paesi arabi. Ma non lo riconosce nemmeno chi afferma che l’unico modo per combattere il terrorismo è la forza, perchè si è assoggettato all’idea che solo le armi possono riportare l’ordine nel mondo.

E’ ideologia il terrorismo, questa pretesa di ridurre la realtà al proprio progetto di potere, è ugualmente ideologia l’incapacità a riconoscere il male e a combatterlo di cui è vittima l’Occidente, tanto che oggi piange, ma senza cambiare nulla del proprio rapporto con la realtà, gli uomini, i loro limiti e il loro grido di speranza.

Dentro tanta disumanità e tanta mediocrità un bambino di undici anni, David, racconta che un’insegnante gli ha salvato la vita, perchè è riuscita a fargli da scudo con il suo corpo.

Quel gesto - un gesto in forza del quale una vita viene salvata - è la speranza da cui ricominciare.

Niente patti con il terrorismo, niente giustificazioni, nessuna vendetta, ma nemmeno il puro sgomento e qualche preghiera ad un Dio di cui non si sa nulla, ciò che libera l’uomo dal male, quello compiuto, quello che tutti potremmo compiere è un gesto di amore, uno sguardo di simpatia totale, quello che trae dalla voragine del nulla in cui l’uomo si sta precipitando, da quando ha preteso di essere “la misura di tutte le cose”.

Può da oggi iniziare una storia nuova, è già iniziata da quell’insegnante che ha salvato dalla morte un bambino di Beslan, perchè nella storia dell’uomo c’è uno sguardo di amore totale a lui, è quello del Dio che si è fatto carne.

Il terrorismo è così sconfitto, come la colpevole fragilità dell’Occidente, non da un progetto politico più intelligente nè da una strategia militare più acuta, ma dall’amore di Dio, un amore presente, capace di farsi oggi scudo della vita degli uomini. Vivere in questo amore, dilatarlo con le proprie povere braccia, è questo il compito cui è chiamato l’uomo d’oggi, così che la spirale di violenza si spezzi. E a spezzare un meccanismo così ben programmato, da diventare quasi perfetto nella sua perversione, è solo la profondità di uno sguardo umano, quello che riconosce il mistero di cui ognuno è fatto e di fronte al quale si fa un passo indietro, per la commozione che il cuore prova di fronte alla vita.


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