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Una categoria a rischio
Fondazione IARD - 02-09-2004
Comunicato stampa 1 Settembre 2004

La Medicina del Lavoro: insegnanti i più a rischio di patologia psichiatrica

Per la prima volta al mondo una rivista medico-scientifica pubblica uno studio comparato che attribuisce agli insegnanti il maggior rischio di sviluppare una psicopatologia professionale. Lo studio, pubblicato oltralpe anche da Le Monde, prospetta un’emergenza - “preannunciata” già nel 1979 - che vede tuttora latitanti e impreparati istituzioni, governo e sindacati.

Tra i dipendenti pubblici – come annunciato in esclusiva a pagina 15 del Corriere della Sera del 1° settembre – la categoria professionale più esposta a sviluppare patologie psichiatriche risulta essere quella degli insegnanti. A sostenerlo è uno studio pubblicato dall’autorevole rivista bimestrale La Medicina del Lavoro e ripreso oltralpe dalla redazione della testata Le Monde. Neanche a farlo apposta, la notizia giunge - al milione di docenti e agli otto milioni di studenti con relative famiglie - proprio alla ripresa del nuovo anno scolastico. E’ la prima volta in assoluto che una rivista medico-scientifica prospetta un simile rischio professionale per la categoria che, secondo l’opinione corrente, è sempre stata ritenuta la più “riposata”. Stando a 3.447 accertamenti d’inabilità al lavoro per motivi di salute - sostiene il dr Lodolo D’Oria, responsabile dell’Area Scuola e Sanità della Fondazione IARD – il disagio mentale colpisce i docenti con una frequenza pari a due volte quella degli impiegati, due volte e mezzo quella del personale sanitario e tre volte quella degli operai. A differenza delle altre categorie – prosegue il primo firmatario della ricerca, che sarà reperibile da metà settembre all’indirizzo www.fondazioneiard.org, - la prevalenza di tali affezioni tra i docenti è altresì in costante aumento (dal 44.5% del triennio 92-94 al 56.9% del 2001-03) da quando furono abolite le baby-pensioni con la riforma Amato del 1992. La severità della prognosi ha indotto i Collegi medici – aggiunge l’autore della ricerca - a sancire l’inabilità all’insegnamento nel 90% dei casi (27% temporanea e 63% definitiva), a riprova della gravità delle condizioni psicofisiche dei docenti esaminati. A differenza dei dati riferiti alla popolazione normale dove, secondo il recente studio dell’OMS, le donne fanno registrare un’incidenza doppia di patologie ansioso-depressive rispetto agli uomini, – riprende Lodolo D’Oria - docenti maschi e femmine si ammalano nella stessa misura, a significare che la professione arriva addirittura ad annullare la cospicua differenza tra i sessi. Mentre non si evidenziano differenze significative di disagio mentale tra docenti di scuola materna, elementare, media e superiore – continua Lodolo D’Oria – a discapito dei docenti c’è anche il rischio di sviluppare tumori, superiore di 1.5-2 volte rispetto ad operai e impiegati, e non è da escludere che ciò sia, almeno in parte, dovuto all’esaurimento psicofisico. Un quadro a tinte fosche – aggiunge l’autore dello studio – imputabile, almeno in parte, all’inerzia che accompagnò i risultati della ricerca - per alcuni versi profetica - svolta nel lontano 1979 dalla CISL assieme all’Università di Pavia. Già allora emerse che il 30% di 2.000 insegnanti del milanese faceva ricorso agli psicofarmaci al fine di far fronte all’usura psicofisica della professione. Per queste ragioni la Fondazione IARD ha attivato l’Area Scuola e Sanità col proposito – conclude Lodolo D’Oria – di offrire servizi di supporto ad istituti scolastici, singoli insegnanti e dirigenti che volessero prevenire e gestire il disagio approfondendo cause, dinamiche, sintomi e soluzioni. Tutto ciò – chiosa il medico – nella speranza che le evidenze emerse in questo studio non siano, ancora una volta, sottovalutate da governo, istituzioni e sindacati soprattutto nell’attuale fase di riforma scolastica e previdenziale, in quanto il disagio mentale appare direttamente correlato all’anzianità di servizi.

Quando la patologia psichiatrica minaccia la scuola

Per la prima volta al mondo la Medicina del Lavoro riconosce ufficialmente agli insegnanti il rischio di sviluppare una psicopatologia professionale. Una piaga affrontata con strumenti impropri dai dirigenti scolastici mediante sanzioni e trasferimenti. Il clima educativo avvelenato da conflitti tra colleghi e denunce legali di studenti e genitori. L’utenza penalizzata da assenze e disservizi. Istituzioni e sindacati che discutono riforma scolastica e previdenziale ignorando sorprendentemente la questione. Di fronte a tutto ciò la Fondazione Iard propone interventi ad hoc per correre ai ripari.


Ora che l’autorevole rivista La Medicina del Lavoro ha scoperchiato il vaso di Pandora sulle reali condizioni di usura psicofisica degli insegnanti, oltre ad affrontare il disagio dei giovani, si dovrà finalmente pensare a quello dei docenti. Trattando l’argomento correttamente come fanno i sociologi inglesi che, da almeno dieci anni, pubblicano interi libri sul fenomeno del drop-out da burnout (cioè l’abbandono scolastico degli studenti causato da insegnanti esauriti). Va piuttosto di moda parlare di mobbing, in quanto la colpa è sempre addossata al datore di lavoro – afferma l’autore dello studio pubblicato dalla Medicina del Lavoro - rifuggendo dal pensare che 9 volte su 10 si tratta di manie di persecuzione, un tipico segno di esaurimento psicofisico dell’individuo. Non esiste altresì – prosegue il medico - alcun tipo di supporto o assistenza psichiatrica (da intendersi come prevenzione, diagnosi, orientamento alla cura e reinserimento al lavoro) per i docenti vittima dell’usura mentale. Attualmente i dirigenti scolastici non sanno a che santo votarsi – sostiene Lodolo D’Oria - perciò esercitano la loro creatività, talvolta improvvisandosi psichiatri e formulando azzardate ipotesi diagnostiche, talaltra “invitando” il malcapitato a trasferirsi per incompatibilità ambientale. Altri manager della scuola preferiscono confinare il “diverso” in una biblioteca o comminargli sanzioni disciplinari. Più raramente lo affidano al giudizio del Collegio Medico della ASL competente, sperando in un improbabile pre-pensionamento. Nel frattempo la patologia del soggetto si aggrava – continua il ricercatore – fino a rendere invivibile il clima di lavoro, deteriorato da inevitabili conflitti, minacce e denunce nei confronti di tutto e tutti. Senza un supporto medico diviene inoltre impossibile “agganciare” i casi più delicati che, bisognosi di cure, si trincerano dietro un’ostinata quanto scontata negazione della patologia. Il disagio mentale, in costante aumento dalla riforma previdenziale del 1992, è direttamente proporzionale all’anzianità di servizio. Non si capisce pertanto – secondo lo studioso - perché istituzioni e sindacati, non inseriscano l’argomento all’O.d.G. in fase di riforma. Le parti sociali – conclude Lodolo D’Oria - avrebbero altresì l’obbligo statutario di approfondire il tema, considerando l’ipotesi della causa di servizio almeno per alcune delle affezioni psichiatriche riportate dagli iscritti.

Anche il settore medico-scientifico dovrebbe dare il suo contributo – riprende l’autore - indagando sulla reale entità del problema, allo scopo di allertare medici del lavoro (ai sensi della 626/96) e/o di famiglia, in merito al rischio professionale dei docenti. Non è certo un caso – afferma preoccupato Lodolo D’Oria - se abbiamo dovuto attendere il 2004 per vedere ipotizzata la correlazione tra psicopatie e professione docente, ma in fondo fu proprio grazie ad un’osservazione occasionale che la silicosi venne riconosciuta quale patologia professionale dei minatori.

Naturalmente a nulla servirebbe intervenire su chi soffre se non si pensasse anche a fare prevenzione su chi abbraccia la professione ex-novo e su coloro che si trovano in una fase di stress relativo - noto ai più con il nome di burnout. Pertanto, in attesa che le istituzioni si adoperino – solo Lombardia e Veneto, al momento, sembrano porre una timida attenzione all’argomento - la Fondazione IARD ha attivato appositamente l’Area Scuola e Sanità che propone un intervento a tre livelli: prevenzione, supporto e orientamento alla cura. A tal fine sono stati allestiti servizi di prevenzione, counselling, formazione, orientamento alla cura per medici e insegnanti nonché corsi per dirigenti scolastici che prevedono la gestione medico-legale ed il reinserimento lavorativo.


Per Informazioni:
Dr.
Paolo Frigoli

Fondazione IARD
Area Scuola e Sanità


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 Maria Teresa De Nardis    - 03-09-2004
A proposito della osservazione "Non si capisce pertanto perché istituzioni e sindacati non inseriscano l'argomento all'O.d.G. in fase di riforma", vorrei far notare, come abbiamo già avuto modo di scrivere in altra comunicazione, che Ministero e Governo non solo non hanno a cuore la salute dei docenti italiani (e di riflesso degli studenti), ma addirittura emarginano fino alla cacciata dalla struttura quei docenti che per motivi diversi mostrano disagio a continuare il lavoro in classe e chiedono l'inidoneità.
Infatti è facilmente intuibile che molte patologie -alcune chiaramente professionali, come quelle che interessano le corde vocali, altre, se non proprio psichiatriche, di natura psicosomatica - sono originate dal difficile mestiere di insegnare, ma Governo e Ministero ritengono di dover risolvere il problema riducendo a soli 5 anni l'istituto dell'inidoneità - che, seppure in maniera scarsamente efficace, tutelava il diritto al lavoro degli operatori della Scuola - e successivamente disfacendosi di queste "mele marce", mandandole a lavorare in altri comparti.
Se da una parte non si capisce come possano persone malate, emarginate, perseguitate dall'Istituzione, abbandonate a se stesse, diventare improvvisamente produttive in altre amministrazioni, bisogna osservare che al contrario, molti docenti hanno trovato una propria dimensione umana e professionale nelle biblioteche, negli uffici di segreteria, nei laboratori e collaborando a vario titolo nella programmazione della scuola.
Al contrario il Ministero ritiene queste persone dei parassiti, le sottopone periodicamente a stressanti e umilianti visite di controllo, anche a fronte di "inidoneita permanenti", fino a "disfarsene" definitivamente. Il fatto è che le altre amministrazioni "non le vogliono" e di fatto a oggi la prospettiva è il licenziamento allo scadere dei 5 anni o, per i più "fortunati" (!), un prepensionamento per malattia con retribuzioni irrisorie.
Purtroppo questa situazione non ha grandi speranze di trovare soluzioni, probabilmente per la marginalità del problema rispetto ad altre, più urgenti, questioni che investono la Scuola in questo periodo. Ma, se il fenomeno tende ad aumentare (sono già 7500 i docenti inidonei tra permanenti e temporanei) bisogna che lo Stato se ne faccia carico con la prevenzione. la cura ma anche con la sistemazione dignitosa di quei casi che non trovano soluzione ai problemi relazionali.

Coordinamento Nazionale Bibliotecari Scolastici




 Maria Teresa De Nardis    - 04-09-2004
E' di ieri la notizia che nella Finanziaria 2005 il personale inidoneo sarà considerato "in esubero" per poter scavalcare il veto del Ministero della Funzione pubblica.
Si compie così la sorte dei docenti fuori ruolo per motivi di salute, spesso imputabili alla Scuola stessa (tra loro ci sono anche i malati per cause di servizio): il personale che la Scuola ha fatto ammalare "è di troppo" e deve andarsene!!!
Tutto ciò è semplicemente scandaloso!!!

 Anna Di Gennaro Melchiori    - 08-09-2004
Nell'augurare buon anno scolastico a insegnanti e studenti, sento il dovere di proporre l'interessante articolo del medico INPDAP Città di Milano che da più di un decennio si occupa della probematica del disagio mentale dei docenti di cui ho fatta amara esperienza. Interrogarsi, guardarsi allo specchio e ascoltare il proprio disagio interiore, senza vergogna nè paura di essere giudicati "matti" è ciò che ho consigliato ai neo-docenti incontrati al corso di formazione presso l'università Bicocca. Ma è senz'altro utile a tutti coloro che da anni affrontano con passione quest'amata professione...
adige@fastwebnet.it
Anna Di Gennaro

Burnout, psicopatie e antidoti - di Vittorio Lodolo D`Oria Autodiagnosi del 27/02/2004

Abbiamo finora parlato in modo generico dello stress psicofisico che colpisce gli insegnanti nell’esercizio della loro professione. Appare quindi opportuno approfondire le manifestazioni, che dapprima in modo silente o subdolo, e via via sempre più conclamato, esprimono il disagio dell’individuo. Riconoscere segni e sintomi del malessere rappresenta infatti il primo passo per affrontare il percorso alla ricerca di un rimedio o di una soluzione.
Ciascuno di noi possiede una capacità reattiva individuale di fronte agli stimoli esterni ed è dunque normale che a cospetto di una medesima sollecitazione due persone reagiscano in modo differente proprio grazie alla specifica soglia di tolleranza.
Tuttavia la letteratura internazionale ha permesso di ricostruire l’identikit delle personalità più esposte - e quindi predisposte - all’esaurimento nervoso. Queste possiedono una bassa autostima, sono costantemente preoccupate o si sentono incomprese; tendono a isolarsi, posseggono una vita privata povera di stimoli, tendono a manifestare comportamenti ossessivo-compulsivi a loro volta dettati da un perfezionismo esasperato. E ancora, sono tipicamente ansiose, nevrotiche, impulsive, litigiose, ambiziose, incapaci a mediare, aggressive, ostili, idealiste e con una forte componente onirica che le “sgancia” dalla realtà.
Verosimilmente la lista è incompleta e a scanso d’equivoci è bene premettere che per diagnosticare una situazione di disagio non è necessario che tutte le suelencate condizioni siano contestualmente e contemporaneamente presenti: una sola potrebbe essere sufficiente. In altre parole, dei segnali che il nostro corpo trasmette, nulla è trascurabile.
Mentre siamo degli ineguagliabili “diagnosti” e “terapeuti” per quanto riguarda i nostri colleghi, e il nostro prossimo più in generale, diviene assai difficile esercitare un’obiettiva capacità di giudizio su noi stessi. Come è dunque possibile capire se apparteniamo ad una categoria a rischio? Ma soprattutto, come possiamo accorgerci per tempo se stiamo lentamente precipitando verso una situazione di non ritorno? Un buon sistema di difesa è rappresentato dalla conoscenza di noi stessi e dalle nostre reazioni. In altre parole, se mi irrito di fronte a una situazione che solitamente mi lascia indifferente significa che qualcosa in me sta cambiando. Se la mia reazione è smisurata rispetto allo stimolo che l’ha indotta, allora è possibile che qualcosa mi stia realmente sfuggendo di mano. In soccorso a questa sorta di autoanalisi possono venire in aiuto le nostre amicizie (persone nelle quali riponiamo la nostra fiducia) che servono a confortare la nostra capacità di giudizio che, talvolta - soprattutto se ci troviamo in forte difficoltà - può venire meno.
Infatti la condivisione dei problemi appare come un ottimo sistema per:
· verificare l’integrità della nostra capacità di giudizio
· razionalizzare le difficoltà incontrate anziché “assolutizzarle” ponendole al centro dell’esistenza
· scongiurare il rischio/tentazione d’isolarsi in una propria realtà virtuale.
Veniamo infine a elencare i segni e sintomi che tipicamente accompagnano il disagio psico-fisico di un soggetto.
La composizione della seguente lista è stata possibile a seguito dell’osservazione di circa quattromila casi (un migliaio di questi insegnanti) che si sono sottoposti a visita medico-collegiale per l’accertamento d’inabilità al lavoro per causa di salute. Degno di nota il fatto che non sono state rilevate differenze tra segni e sintomi nelle diverse categorie professionali: come a dire che il disagio mentale si esprime in modo identico e prescinde dalla tipologia della professione esercitata.
Tra le somatizzazioni più frequenti si riconoscono:
· stanchezza cronica, insonnia, cefalea, gastrite, colite e talvolta la percezione di dolore a base psicogena.
Più complesso il corredo di percezioni e atteggiamenti mostrati dai pazienti di volta in volta:
· senso di rabbia, fallimento, colpa o vergogna; incapacità a gestire il quotidiano (tenuta dei registri, scrutini, interrogazioni etc.); trasandatezza nella cura personale e trascuratezza nell’esercizio della professione; crisi di panico e d’ansia; disforia (repentini cambi d’umore); diffidenza; fobie; sentirsi spiato/osservato; cinismo; apatia; assenteismo; evitamento d’impegni; ossessioni e compulsioni; pessimismo cronico; facilità al pianto; dereismo spazio-temporale; scoppi e accessi d’ira; frequenti stravaganze; rivendicazioni e lamentele nei confronti dell’autorità diretta (dirigente scolastico); frequente ricorso all’autorità istituzionale (denunce ed esposti immotivati a Polizia, Procura, Presidenza della Repubblica etc.); manie di persecuzione; ricorso al dileggio o al sarcasmo; perdita dell’autocritica e dell’autocontrollo; diminuzione o perdita della libido.
Un cenno a parte merita la percezione - avvertita da numerosi pazienti - in base alla quale un soggetto si sente “mobbizzato”. Nei casi più importanti - e oramai avanzati per manifesto disagio psichico - l’individuo osservato si ritiene infatti, e non del tutto a torto, oggetto di un’azione di mobbing.
Il confine tra la psicopatia e il mobbing è difficile da tracciare da parte dell’interessato in quanto le due realtà, dal suo punto d’osservazione, coincidono: infatti la persona che è a tutti gli effetti “attaccata” e messa all’indice dalla comunità circostante, ritiene tali atteggiamenti causa del proprio malessere anziché effetto.
Esaurito anche questo secondo elenco è bene ricordare che, per parlare di disagio mentale, non è ovviamente necessario che coesistano contemporaneamente tutte le condizioni sopra riportate.
Può sembrare poco confortante il quadro sin qui dipinto, ma apportare conoscenza e consapevolezza sulle nostre fragilità urge per potervi far fronte, senza scordare che un grande aiuto ci potrà essere dato dall’autoironia con la quale sapremo condire il nostro vivere quotidiano.
vittorio.lodolodoria@fastwebnet.it

 Anna Di Gennaro Melchiori    - 10-09-2004
DA: http://www.dica33.it
(http://www.dica33.it/argomenti/salute_lavoro/depressi.asp) Salute e lavoro
Ultimo aggiornamento: 10/09/04
Indisposto è l'insegnante

Gli alunni non sono i soli a poter risentire psicologicamente delle negatività del sistema scolastico. Infatti, gli insegnanti, lungi dall’essere una categoria privilegiata, soffrono in misura rilevante di disturbi psichiatrici indotti dalla professione, molto più di altre categorie (impiegati, operai) e della popolazione generale. Lo rivela un interessantissimo studio italiano, primo firmatario Vittorio Lodolo D’Oria, in pubblicazione sul numero di settembre-ottobre della rivista la Medicina del Lavoro.
Lo studio, chiamato Golgota, fa seguito a un’altra indagine, Getsemani, che aveva dimostrato nella categoria l’elevatissima percentuale, sempre tra gli insegnanti, di casi di burn-out, cioè quel disagio psicologico e sociale che induce a disaffezione e apatia il lavoratore. “Soltanto che il burn-out non è un disturbo psichiatrico riconosciuto nel DSM IV (il manuale che è alla base della diagnosi psichiatrica moderna) e quindi non viene tenuto in considerazione dagli psichiatri” spiega il ricercatore. Lo studio Golgota fa un passo avanti, e va a esaminare le patologie psichiatriche riconosciute, come i disturbi dell’umore (depressione, ansia) e gli altri. L’indagine è stata condotta tra i lavoratori iscritti all’INPDAP che hanno presentato alla commissione di Milano domanda di inabilità al lavoro: un totale di 3447 pratiche relative a 774 insegnanti, 651 impiegati, 1556 operatori manuali e 466 operatori sanitari.

Un dato che non dipende da sesso ed età
Ed è qui che c’è stata la conferma: tra gli insegnati la prevalenza di patologie psichiatriche è il 49.8% mentre tra gli altri iscritti all’INPDAP si “fermava” al 23.9%: in altre parole, se si è insegnanti il rischio di ammalarsi di patologie psichiatriche è più di 2 volte superiore a quello degli altri lavoratori. Il dato non cambia se si tengono presenti altri fattori che di solito modificano il rischio. Per esempio, il sesso, visto che già di norma nella popolazione femminile i disturbi depressivi sono molto più diffusi: nel campione di insegnanti gli uomini e le donne presentavano la stessa incidenza di disturbi psichiatrici. Analoghi risultati per l'età. Non c’erano nemmeno differenze significative tra insegnanti dei diversi ordini di scuole: materna, elementare, media e superiore. Insomma, la differenza la fa l’essere insegnante. Peraltro queste non sono le sole malattie che colpiscono più frequentemente i docenti: anche i tumori hanno un’incidenza maggiore, pari al 14, 2 contro l’8.4% nelle altre categorie professionali, con un rischio relativo pari a 1.69.
Insomma il dato è piuttosto evidente, e non si tratta di una questione territoriale: “L’indagine è stata condotta a Milano, ma un’analoga ricerca condotta a Torino, oggetto di una tesi di laurea in via di pubblicazione ha dato risultati assolutamente sovrapponibili” aggiunge il dottor Lodolo.

Una tendenza che dura e continuerà
Questa è la conferma di una tendenza in atto da lungo tempo. “Ancora nel 1979, quando gli unici antidepressivi disponibili erano quelli, come i triciclici, poco maneggevoli e quindi prescritti soltanto dal neuropsichiatra, un’indagine commissionata dalla CISL all’Università di Pavia aveva sottolineato come al 30% degli insegnanti fossero prescritti psicofarmaci”. E’ lecito supporre che nel frattempo la tendenza sia andata aumentando. Del resto, una delle risposte, sbagliate, che vengono attuate quando si presenta il burn-out è proprio il ricorso al farmaco come tampone.
Al crearsi di questa situazione hanno contribuito diversi fattori: c’è una generale sottovalutazione del ruolo dell’insegnante da parte della società: basti pensare al luogo comune dei “tre mesi di ferie” e dell’orario di lavoro ridotto quando invece gli insegnanti sono stati tra i primi a sperimentare l’invasione del tempo privato da parte delle incombenze professionali (correggere i compiti a casa, per esempio). Poi valgono anche ragioni legate all’organizzazione del lavoro stesso: il peso che ha il precariato, che ormai si prolunga per anni, il succedersi di riforme spesso contrastanti per metodi e obiettivi, il divario tra programmi e risorse e altro ancora. Secondo gli autori della ricerca il fenomeno sembra destinato a espandersi ed è urgente che si provveda ad agire di conseguenza, per esempio cominciando a conoscere più approfonditamente la situazione e divulgando il fatto, misconosciuto anche dai medici, che gli insegnati hanno malattie professionali specifiche e che le più diffuse sono quelle psichiatriche. Si parla, si ricordi, di un milione di lavoratori che hanno a che fare con sette milioni di scolari: non sono numeri da prendere alla leggera.

Maurizio Imperiali

Fonte
Lodolo D’Oria V et al. Quale rischio di patologia psichiatrica per la categoria professionale degli insegnanti? La medicina del lavoro, 2004 in press