Citano Morin ma ci rifilano l'azienda
Emanuela Cerutti - 23-02-2002
In un’Autointervista per ripercorrere equivoci e rispondere a domande sulle ipotesi di riforma scolastica del Grl, regalata la scorsa settimana alle scuole bergamasche, come precedentemente promesso, Giuseppe Bertagna, ragionando di collegialità, afferma che già da tempo non si parla più di consiglio di classe o di interclasse e si lascia all’autonomia il compito di determinare quegli elementi organizzativi che permettono di fronteggiare al meglio le esigenze educative dell’insegnamento e dell’apprendimento. E’ ora, auspica, che smettiamo di pensare alla classe come all’unico elemento di riferimento per le attività didattiche: ci sono anche i gruppi, le reti, i tutor: come credere che un organo collegiale astratto e ormai lontano dalle esperienze quotidiane degli studenti italiani quale un consiglio di classe (o di interclasse) possa gestire tale complessità e sostenere i processi di apprendimento così diversificati?

L’insistenza sulla complessità appare già nella prima delle tredici fitte pagine del documento in questione, laddove Bertagna, citando Morin, ricorda che non possiamo impantanarci negli schematismi tipici di una logica lineare, saremmo dei “malati cognitivi”: dobbiamo tener presente la circolarità dei processi e la loro naturale intersezione, al di fuori delle troppo facili semplificazioni.

Appellandosi a tali principi, e senza troppo curarsi di quella che appare una contraddizione, Bertagna rifiuta di paragonare “baconianamente” il passato ed il presente, la legge 30 e la sua revisione, nella fattispecie, perché non vuol cadere nelle trappole dei “giocattoli sinottici”, degli “alambiccamenti maniacali”, o delle “inaccettabili semplificazioni” degne dei “malpancisti”, come se confronti ed analisi comparative non costituissero da sempre il terreno privilegiato delle costruzioni complesse.
Un meccanismo simile si ritrova qualche cartella più in là, laddove si legge che la cura della complessità viene affidata al “coordinatore di classe”, ripetutamente unico“lui” che si occupa del portfolio individuale, delle relazioni con tutti i docenti che insistono sui singoli allievi, delle ipotesi di lavoro, delle famiglie, dei passaggi nodali…Un lui riconosciuto al di fuori del contesto in cui lavora, perché la sua formazione universitaria con iscrizione all’albo da cui sarà estratto non si gioca all’interno dell’Istituto, come accade per le funzioni obiettivo, sottoposte, bene o male, al vaglio collegiale e al travaglio delle specifiche commissioni. Un lui che si rapporta ad altri lui, in questo mondo di eroi al maschile, quali il direttore della progettazione didattica e il dirigente scolastico.

Il dubbio è legittimo: non è che di questo passo la complessità viene soffocata dalla più rassicurante certezza dell’uno?
UN punto di vista e nuovo di pacca, altro che nani sulle spalle dei giganti.
UN piccolo imperatore, altro che lavoro di équipe e teams e cooperative learning.
Molteplicità come somme individuali, non più comunanze di sforzi e differenti compiti specifici. Linee verticali, con evidente tendenza al piramidale.

Con simili premesse, disseminate ad arte nei terreni fertili del malcontento e dell’insoddisfazione nei quali spesso si impantana la scuola italiana, non stupisce più di tanto la recente revisione degli Organi Collegiali.
Il cambio del nome all’ultimo minuto non modifica i fatti: il CdS è ancora un CdA, solo più semplice da catalogare, un nuovo cassetto nell’impresa nazionale.
Accostando le due proposte del novembre 86 (sono organi delle istituzioni scolastiche: il consiglio di autonomia e la giunta di consiglio; il collegio dei docenti e la giunta di collegio; il comitato dei genitori e il comitato degli studenti; il consiglio di classe; l'assemblea di classe dei genitori e l'assemblea di classe degli studenti; il dirigente preposto) e del novembre 2001, reperibile in Speciale Organi Collegiali ( sono organi delle istituzioni scolastiche: il consiglio di amministrazione; il collegio dei docenti; gli organi collegiali di valutazione degli alunni;il nucleo di valutazione ) appare già chiaro il “riduzionismo aziendale” al quale viene sottoposta la partecipazione democratica, che dagli anni 70, pur con contraddizioni e limiti, ha comunque connotato il panorama scolastico.
Se poi si dà in’occhiata al disegno di legge che porta la firma di Grignaffini e Gambale e lo si confronta con gli ultimissimi emendamenti operati dall’attuale Commissione Cultura della Camera, non si può evitare di chiedersi quale sia l’oggetto del contendere, dal momento che i formali cambiamenti introdotti non modificano la generale sensazione di un’autonomia fittizia, in cui docenti e studenti, soggetti primi della scuola, restano in balia degli altrui desideri e delle altrui facoltà decisionali. Dei lavoratori Ata nemmeno l’ombra. La valutazione istituzionale è affidata a terzi (ma come? non era che "interno" è bello?), con grosso peso della componente genitori; il Dirigente assomma in sé sia funzioni di indirizzo che di gestione: coordina di meno e conduce di più; la valutazione alunni perde le caratteristiche della sistematicità e dell’integrazione di interventi e risorse.
E’ questa la gestione della complessità o, per usare un altro termine un po’ in disuso, della diversità?
Ce l’avevano raccontata in un altro modo: non più tardi di due anni fa, la Commissione Nazionale per l’Educazione Interculturale si chiedeva e chiedeva agli insegnanti che cosa significasse “educare nel tempo delle globalizzazione e nelle società plurali”.
Si soffermava sui cambiamenti dei “modi di vita” solo apparentemente esterni alle nostre esperienze identitarie, ci tuffava dentro i processi di internazionalizzazione e mondializzazione per darci la misura di quanto determinante fosse diventata la “relazione” nell’avventura della nostra personale crescita e maturazione.
Affermava la necessità di costruire mentalità aperte, dialoganti e collaboranti, all’interno di progetti in continuo dinamismo, utilizzava il termine “paideia” per comprendere in un unico abbraccio “continuità e cambiamento, tradizione e novità”.
Riproponeva il crocevia della collegialità, con tutti i rischi e pericoli che ben conosciamo, ragionando in termini di corresponsabilità.
Si tratta proprio di un’altra storia?

Dubbi ed incertezze, in questo mare di contraddizioni: ma se, riprendendo Morin, “ l’incertezza, che uccide la conoscenza semplicistica, è il disintossicante della conoscenza complessa”, forse va tutto bene: dobbiamo solo districare un nodo più complicato del previsto.

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