breve di cronaca
Stop the wall
Liberazione - 10-07-2004

La storia della famiglia Hani, chiusa tra i fili metallici e i blocchi di cemento
Amer, l'uomo in mezzo al muro
Quando la casa diventa prigione



Hani Amer, 46 anni, del villaggio di Mas'ha, nel nord-ovest del distretto di Salfit, vive con la sua famiglia di otto membri in una casa di 165 metri quadrati. Dalla parte occidentale della casa si espande l'insediamento ebraico di Elkana; il muro dell'apartheid in costruzione passa dalla casa e dalla terra di Amer, con il pretesto che è una delle molte cose che minacciano la "sicurezza israeliana".
La casa di Amer sarà isolata dal resto del villaggio a est e dall'insediamento a ovest, poiché l'esercito di occupazione ha deciso che ci saranno muri e barriere attorno alla casa da tutti i lati. A venti metri a est della casa è stato costruito un muro di cemento alto otto metri, che si estende per quaranta metri. Un secondo muro di filo metallico altro tre metri con quattro metri di filo spinato in cima è stato costruito dal lato occidentale. Un terzo circonda la casa da sud con un cancello che porta alla strada del muro, e un quarto da nord con un cancello proprio vicino al muro di cemento. La famiglia di Amer ha il permesso di passare solo attraverso questo piccolo cancello, aperto solo per loro e non per altre persone che vengano in visita. Lo scopo degli altri due cancelli non si conosce.

In una discussione con alcuni coordinatori della Campagna contro il Muro dell'apartheid, Amer ha descritto la realtà che sta vivendo: «certo che c'è un problema, non possiamo spostarci quando vogliamo, limitano i nostri movimenti a certe ore ma poi non le rispettano, dicono che i cancelli apriranno alle otto o alle nove del mattino ma può darsi che loro non arrivino fino alle undici. Comunque alla fine, dopo tutte le difficoltà, riusciamo ad arrivare in qualcuno dei posti importanti, specialmente i nostri figli che vanno a scuola. Ma se mettono il muro a ovest non potremo spostarci e io non potrò andare al lavoro a Kufur Qasem. Mi aspetto che chiudano tutto attorno alla casa, so che questa casa sarà circondata da muri, vivo questa realtà. Non vivo in America, questa è la mia realtà, per quindici anni ho avuto bisogno di un permesso per raggiungere la mia terra dove è stato costruito l'insediamento di Elkana, pochi metri separano la mia casa dall'insediamento».

«Ho lavorato per anni a pompare acqua per gli israeliani, li conosco molto bene, il muro può venire adesso, ma c'è stato un muro qui per quindici anni, noi capiamo molto bene la nostra realtà. Ci aspettiamo che si prendano la terra e rinchiudano ermeticamente le persone facendole morire di fame, non ci aspettiamo di più da loro. Oslo è stata una grande bugia, lo hanno usato per illudere le persone, quello che ci viene chiesto è di mantenere le nostre case e le terre, la vita è qualcos'altro. So che tenere una casa o una terra è difficile, ma la nostra vita è continuamente a rischio e noi non abbiamo niente con cui proteggerla. Farò quello che devo fare, il mio dovere è stare nella mia casa qualunque cosa accada, e so che sarà dura, ma mi sono preparato per riuscire a farcela. La mia casa non vale niente in denaro in confronto a quello che mi hanno offerto per lasciarla, ma questa è la mia casa e ne sono soddisfatto. Così la mia coscienza è tranquilla, non mi importa di quello che offrono, mi importa solo di quello che ho.

Dal libro "Stop the Wall, il muro dell'apartheid in Palestina". Pengon, edizioni Alegre. In vendita nelle edicole con Liberazione


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