breve di cronaca
Hashish a scuola
L'Unità - 30-06-2004
Preside condannato a un anno e otto mesi

Trovarono 20 grammi addosso ad un ragazzo e un po’ di mozziconi sparsi. L’imputato: «Sentenza allucinante»


MILANO. Nell'istituto che dirigeva, il liceo Majorana di Rho, comune alle porte di Milano, fu trovato uno studente con indosso 20 grammi di hashish, altrettanto quantitativo venne rinvenuto in un vano anticendio dove furono trovati anche alcuni mozziconi di «spinelli». Per questo il giudice di Milano Beatrice Secchi, ha condannato ieri ad un anno e 8 mesi di reclusione, Bruno Dagnini, il preside riconosciuto colpevole di favoreggiamento personale, agevolazione dolosa dell'uso di sostanze stupefacenti e di omessa denuncia. Per lui il pm Gianluca Bragho aveva chiesto 2 anni e 2 mesi di reclusione dell'ambito del procedimento celebrato con rito abbreviato.
«Sono esterrefatto da questa sentenza allucinante», ha detto subito dopo la lettura del dispositivo della sentenza il preside condannato. Quanto deciso, ha aggiunto l'imputato, «pone un precedente gravissimo. Si cerca un capro espiatorio. Ma il punto che è nelle scuole noi non coltiviamo certo l'hashish, ma semmai affrontiamo il problema delle droghe».
Se il preside si dichiara anche indignato, il suo difensore Giuliano Pisapia dice di restare convinto «che il comportamento tenuto da Dagnini sia stato ineccepibile. Decine di professori hanno escluso che il preside fosse a conoscenza di quanto accaduto tra le mura del suo istituto, faremo appello e alla fine otterremo giustizia».
La vicenda era venuta a galla nell’inverno di due anni fa - precisamente nel 2002 - in seguito alla continua attività di vigilanza nelle scuole del Comune del milanese da parte dei carabinieri della compagnia di Rho. Agli stessi carabinieri erano inoltre giunte segnalazioni da parte dei genitori di alcuni studenti, che preoccupati per la diffusione dello spinello a scuola avevano lanciato un «sos» alle forze dell'ordine, chiedendo di intervenire per mettere fine al «fumo» nell'istituto.
Così prima della chiusura dello scorso anno scolastico, tra la fine maggio e i primi di giugno dell’anno scorso, ci fu un blitz dei carabinieri al liceo scientifico Majorana: entrarono una ventina di carabinieri, più altri in abiti civili che si erano o mescolati tra i ragazzi, e anche unità cinofile. L'operazione si concluse con l'arresto di uno studente che aveva in tasca 20 grammi di hashish. Un'altra ventina di grammi di sostanze stupefacenti vennero trovati nascosta in un vano antincendio della scuola, e si scoprirono anche tracce di cocaina su un davanzale. All’esterno di un altro istituto superiore di Rho, il tecnico per geometri «Mattei», già nell'ottobre 2002 erano stati arrestati due ragazzi di un altro istituto che spacciavano droga leggera passandola attraverso le cancellate della scuola.
Il preside del Majorana dichiarò già allora di avere «la coscienza a posto» e di non aver mai tollerato il consumo e la vendita di droga all'interno dell'edificio scolastico, anzi di avere modificato il regolamento interno adottando molte il regolamento interno adottando molte restrizioni. Il dirigente non escluse però che vi potessero essere stati episodi fuori controllo, ma non certo per la connivenza del corpo insegnante.
Alla vicenda giudiziaria si ribellarono studenti e insegnanti. Significativo fu allora un documento inviato al preside e sottoscritto dalla stragrande maggioranza degli insegnanti: «Caro preside, apprendiamo dai giornali che nei prossimi giorni sarai davanti a un giudice per rispondere di omessa denuncia e favoreggiamento allo spaccio di droga. Desideriamo esprimerti la nostra solidarietà per quanto sta accadendo e sta accadendo alla scuola. Consideriamo sbalorditive le accuse che ti vengono rivolte e preoccupante un certo modo di affrontare il problema della diffusione della droga nella scuola, e non solo nella nostra, che tali accuse sembrano sottendere. Questo liceo e la tua direzione si sono distinti in questi anni per una scelta, che è prima di tutto educativa, fatta di faticoso ascolto e di grande disponibilità nei confronti degli adolescenti e delle loro problematiche. È inquietante, a dir poco, che tale scelta rischi di essere confusa con un comportamento di colpevole indifferenza o peggio di complicità».

Gregorio Pane
29 giugno 2004



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 Da Marina Boscaino    - 30-06-2004
Mozziconi di spinelli in un vano dove normalmente ci si ritrova a fumare. Uno studente della scuola con addosso 20 grammi di hashish: la condanna del dirigente scolastico pone una serie di problemi che sarebbe ingiusto ignorare, facendo finta che non esistano.
Chiunque abbia insegnato in una scuola superiore e sia entrato in contatto con la realtà giovanile non può ignorare il fatto che le droghe leggere siano sostanze di cui gli studenti fanno uso. Non tutti, non sempre abitualmente. Ma la droga leggera c'è, esiste, «si sente». E non tanto per il suo inconfondibile odore; quanto per l'allusione, più o meno velata, che emerge dai discorsi, dalle parole dei giovani. Quando si ha voglia di ascoltarle. Quando si ha voglia di non far finta di niente.

Di fronte ad una simile realtà possiamo, noi insegnanti, noi educatori, assumere due atteggiamenti: stimolare la riflessione, coinvolgere gli esperti, spiegare, cercare di capire. Oppure sanzionare. Non mi è mai capitato di cogliere uno dei miei alunni in "flagranza di reato"; ma mi è capitato di essere convinta che alcuni facessero uso di droghe leggere. E di avere ragione. Perché, davanti a domande dirette, la risposta è stata affermativa. Mi è sembrato utile, in quelle circostanze, discutere in consiglio di classe, cercare un contatto - dove era possibile - con le famiglie, organizzare discussioni guidate, dibattiti, far elaborare testi sull'argomento e sulle proprie esperienze personali. E soprattutto parlare con i ragazzi.

Rimasi scoraggiata quando un dirigente scolastico - coinvolto nella problematica - mi rispose che l'unica cosa da fare era "chiamare i carabinieri, sguinzagliare i cani". Perché, mai e poi mai, sarebbe dovuta entrare la droga nella scuola. Con quali effetti? Che le canne, poi, gli studenti avrebbero continuato a farsele, altrove, avendo peraltro perso anche la fiducia nei riferimenti adulti che si erano scelti. Quella reazione scomposta e, dal mio punto di vista, non condivisibile trova una spiegazione anche nel caso di Rho.

Alla scuola si chiede di educare, di formare coscienze e cittadini, di tutelare lo sviluppo armonioso delle persone. Ma si chiede - a quanto pare - anche una inflessibile funzione di controllo. Come può un dirigente scolastico, o un insegnante, evitare che uno studente abbia con sé delle sostanze stupefacenti? Perquisendolo? Imponendogli di svuotare tasche e zaino all'entrata? Seguendolo ogni volta che va in bagno o per tutta la ricreazione? Una funzione di controllo, di polizia, nei fatti impraticabile e ideologicamente lontana anni luce dal ruolo che molti insegnanti si propongono di assumere per i loro studenti.

È certo che la sentenza di Milano crea un precedente pericoloso, inasprendo automaticamente la tendenza di chi (anche a buon diritto) non desidera avere problemi; ma che dimentica che la scuola è un luogo di crescita delle coscienze che la tendenza alla repressione non promuove; che viene incentivata dalla conquista del rispetto attraverso l'autorevolezza, dalla riflessione, dalla discussione democratica, dalla empatia con chi abbiamo di fronte.

Ad una scuola cui vengono tagliati fondi, da insegnanti che si arrabattano su spezzoni di cattedre per comporre il mosaico delle 18 ore, da classi il cui numero di alunni aumenta proporzionalmente alla necessità del ministro di tagliare le spese, da dirigenti scolastici oberati da incombenze di carattere burocratico-amministrativo si chiede (e si ottiene) un'opera di sensibilizzazione, di ascolto, di prevenzione sui problemi della nostra società. È il frutto, quest'opera, dell'impegno che molti di noi si sono assunti: interpretare in maniera corretta la propria funzione, a tutto campo, senza tirarsi indietro.

Ma non è giusto chiederci di fare i gendarmi, i censori, gli inquisitori. Il lavoro che molte scuole italiane portano avanti sulla prevenzione delle tossicodipendenze è notevole. Riconoscerlo, dotandole di personale specializzato, rappresenta una richiesta quasi grottesca oggi come oggi, considerando la condizione in cui la scuola italiana si trova e i destini sciagurati che le si prefigurano grazie al Ministro. Ma è l'unica direzione per poter portare avanti il solo obiettivo perseguibile e che valga realmente la pena di perseguire: la creazione di uno sbarramento invalicabile e definitivo nei confronti delle droghe pesanti e di tutti i processi di degenerazione dei disagi giovanili.

L'Unità
29 giugno 2004