Carissimo,
da domani ti troverai a dover rendere ragione di quanto hai imparato in questi anni. Questo è l’esame! Non una ruolette russa, né una prova al buio, ma un’occasione per comunicare ai tuoi stessi insegnanti come giorni e giorni di lezioni e di studio hanno aperto la tua ragione alla realtà, ma nello stesso tempo per far vedere come tu stesso hai sviluppato una forma di conoscenza, tale da introdurti adeguatamente e criticamente nel reale.
Io starò dall’altra parte, seduto ad aspettare che tu consegni un elaborato scritto o ad ascoltare il lavoro che hai preparato, ma solo fisicamente starò dall’altra parte, perché di fatto sono con te. Sono con te, perché l’avventura della conoscenza l’abbiamo vissuta insieme: la tua libertà l’ho desiderata passo dopo passo e che tu potessi affrontare la realtà in modo personale è il filo rosso di quanto indegnamente ho cercato di comunicarti in questi anni.
L’educazione è che tu diventi te stesso, questo è stato il mio tentativo! Per questo se tu affronterai l’esame ripetendo me, io avrò fallito, se invece dirai te stesso, vorrà dire che qualcosa di nuovo è accaduto e di questo ne sarò grato.
Il mio augurio allora è che tu possa vivere questi giorni d’esame come un’esperienza positiva, in cui la tua umanità venga valorizzata.
Spero che io e i miei colleghi abbiamo a metterti nelle condizioni migliori per farlo. Del resto questo è l’unico compito serio che dobbiamo assumerci durante l’esame, favorire che ogni studente comunichi se stesso. In questo modo l’esame di stato sarà per noi insegnanti un’occasione per imparare.
Grazie.
15 giugno 2004