breve di cronaca
La scoperta della rotatoria
il Manifesto - 08-06-2004


Una nuova tendenza per «autoregolare» il traffico. Nella quale si ritrovano innovazioni urbanistiche, spunti di psicologia comportamentale, giochi di specchi con il nostro cervello. E le (poche) regole fondamentali della Rete

FRANCO CARLINI

Ormai le rotatorie del traffico sono una moda dilagante e Parma, la città che più convintamente le ha realizzate, ha per questo ricevuto anche una targa d'oro. Il bello delle rotatorie, in Italia importate da esperienze straniere, sta nel fatto che permettono di fluidificare i flussi di traffico automobilistico che si incrociano. Perché ciò avvenga in maniera ottimale occorre peraltro che il raggio di curvatura del cerchio sia superiore a un certo valore, perché solo così le auto che si inseriscono possono farlo in maniera tangenziale, anziché intersecare le traiettorie altrui. Al di là della geometria, peraltro, c'è un'idea più profonda nelle rotatorie ed essa si collega ai nuovi modelli teorici per la gestione dei sistemi complessi e delle tecnologie decentrate come la rete Internet e i suoi router, computer instradatori. Le rotatorie «rinunciano» a regolare il traffico in maniera prescrittiva e affidano invece ai singoli soggetti (i singoli automobilisti) la responsabilità sia della loro azione, sia dell'effetto collettivo che essa produce. Questa rinuncia intanto prende atto che i sistemi meccanizzati come i semafori, anche quando pilotati dai computer, non riescono a far fronte alla continua e talora misteriosa variabilità dei flussi.

Piazza Venezia

E' anche per questo che allo sbocco di via del Corso a Roma, verso piazza Venezia, da sempre c'è un vigile che si presume possa meglio percepire, minuto per minuto, l'andamento delle cose. E tuttavia, malgrado tale flessibilità umana, le code si formano lo stesso, ma cessano quasi del tutto alle 20 di sera quando il vigile smonta e l'incrocio viene abbandonato a se stesso. A quell'ora, in assenza di autorità, autobus, taxi e macchine cominciano ad autoregolarsi: passi tu, passo io. Così facendo e probabilmente senza saperlo il comune di Roma sta applicando una teoria che gli studiosi chiamano «Second Generation traffic calming»: mitigazione del traffico di seconda generazione, la quale rappresenta un vero e proprio ribaltamento rispetto all'approccio tradizionale al traffico, fino a ieri era basato su tre elementi: una ingegnerizzazione spinta delle strade e degli incroci (con una molteplicità di tecnologie), l'applicazione del codice stradale attraverso multe e punizioni, e vari programmi educativi verso gli automobilisti. Ma i risultati sono in media deludenti, come ognuno può verificare mettendosi per strada perché ogni intervento rigidamente regolatorio crea nuovi problemi e intasamenti, oltre che rischi per le persone.

Mucchio non selvaggio

Le teorie e gli esperimenti di seconda generazione, variamente utilizzate specialmente nei paesi dell'Europa del nord, si appoggiano sia su nuovi disegni urbani che sugli studi più recenti di psicologia del comportamento e persino di biologia evolutiva. Prima si pensava che la migliore ottimizzazione fosse ottenibile separando i diversi soggetti: qui solo le auto, lì solo bus e taxi, piste riservate ai ciclisti, affiancate da percorsi esclusivamente pedonali. Oggi al contrario gli studiosi rinunciano all'idea di separare i flussi e privilegiano la molteplicità rispetto alla omogeneità, smantellando le barriere di separazione. Le strade vengono concepite come uno spazio comune condiviso e flessibile, dove i diversi veicoli (e i pedoni) convivono. L'obiezione è immediata: come assicurare sicurezza ed evitare gli ingorghi? Lo si fa affidando ai singoli soggetti l'autogestione delle relazioni con gli altri: se una corsia è solo per le auto e là in fondo c'è un semaforo, ogni automobilista si sentirà in diritto di correre assai veloce, fidando nel fatto che quel segmento di strada è solo per lui e protetto, ma in una situazione del genere ogni imprevisto (un bambino che attraversa all'improvviso, per esempio) lo troverà impreparato a reagire. Se invece le auto condividono lo stesso spazio di un fiume di biciclette come avviene nella gran parte delle città dell'Asia, sia i ciclisti che gli automobilisti, consapevoli della presenza degli altri, si muoveranno con vigilanza e con capacità di risolvere le situazioni di incrocio: le biciclette si aprono come uno stormo di uccelli, l'auto rallenta e le fende dolcemente, e subito dopo lo stormo si ricompone.

Anche in questo caso come in altre situazioni, si conferma la forza di un paradigma decentrato, lo stesso che regola le relazioni tra i neuroni del cervello, le comunità di formiche o i rapporti tra i nodi della rete Internet. I neuroni interagiscono con segnali elettrici solo con i loro «vicini», seguendo regole in fondo molto semplici: se un neurone riceve in ingresso un certo numero di segnali che superano una certa soglia, va in stato «eccitato» e a sua volta emette in uscita un segnale che va a eccitare i neuroni a lui prossimi; in questo modo dei fenomeni biochimici locali, a livello della singola cellula e dei suoi punti di contatto con il vicinato, genera un fenomeno collettivo che coinvolge milioni di cellule e che si traduce in una percezione, un'emozione, un'idea. Non c'è un homunculus annidato chissà dove e depositario del pensiero, ma una continua interazione a corto raggio che fa emergere pensiero. Allo stesso modo le formiche raccolgono pochi segnali elementari dalle tracce chimiche che le consorelle hanno lasciato: si muovono come singoli automi, ma nell'insieme producono un comportamento collettivo il cui risultato è l'alimentazione e la sopravvivenza delle loro colonie. Sull'Internet migliaia di nodi della rete si scambiano dati utilizzando un numero limitato di regole (protocolli) che governano la messaggistica e l'effetto finale è un network più flessibile ed efficiente delle reti rigidamente strutturate e gerarchiche della telefonia classica.

Meno corse, più velocità

Nel caso dei comportamenti umani tuttavia occorre qualcosa di più, dato che noi siamo più che automi, ma individui complicati e sovente litigiosi. Dunque perché nelle rotatorie e nelle strade condivise non si generino intasamenti e disastri, occorre che la maggioranza dei singoli soggetti si comporti in maniera collaborativa; se invece i trasgressori diventano la maggioranza, allora anche quelli animati da spirito cooperante saranno spinti a lasciar perdere, a lasciare anch'essi l'auto in seconda fila con le frecce lampeggianti e a inserirsi con aggressività nelle traiettorie dei vicini, sgommando e suonando il clacson. E' un fatto di cultura diffusa, ma può essere favorito dalle infrastrutture (o dalla loro assenza) e da poche regole: una rotatoria elimina i semafori e impone un'unica regola: chi entra è bene che ceda il passo a chi la sta già percorrendo. L'assenza di precedenze governate dal semaforo fa percepire a ognuno il rischio e perciò il bisogno (per la propria incolumità) di essere vigilanti e di evitare comportamenti troppo egoistici. In un sistema stradale classico si corre nel tratto libero, si frena di colpo e si riparte sgommando. In un sistema di seconda generazione la velocità di punta è inevitabilmente più ridotta (occorre stare attenti), ma come dimostrato dalle esperienze sul campo la velocità media di tutti è più elevata. Proprio come nelle reti di computer distribuiti, dove i pacchetti di bit possono anche seguire percorsi tortuosi, ma «incredibilmente» la posta elettronica arriva all'altro capo del mondo in pochi secondi.
  discussione chiusa  condividi pdf