Un esercito di popolo
Rolando A. Borzetti - 05-06-2004
Dopo più di trent’anni, le profezie di Aldo Capitini, Alberto Trevisan e don Milani si sono in parte avverate. La stragrande maggioranza degli Europei sono stati contrari alla guerra angloamericana in Iraq e le bandiere arcobaleno fanno ancora parte degli arredi urbani italiani. Le prossime elezioni ratificheranno sicuramente il vasto sentimento popolare “pacifista”. Nonostante continui a definire “missione di pace” la presenza dei nostri soldati in Iraq sotto il comando degli occupanti, il centrodestra sarà punito per le sue attitudini belliciste. Se l’Europa ha un destino, questo sembra essere fondato sulla Pace e sul Dialogo. Tuttavia, il grande popolo del pacifismo sente che ciò non basta più, che non ci si può accontentare, che bisogna incidere più efficacemente poiché il futuro disegnato dalle teorie neocons USA sulla guerra preventiva è gravido di pericoli mortali che riguardano tutto il pianeta. Militarismo, nazionalismo, autoritarismo, erano quasi scomparsi dal panorama continentale, e l’abbattimento delle frontiere tra i paesi dell’Unione europea aveva aperto inedite speranze. Perfino la terribile ferita della decennale guerra nei Balcani, terminata nella guerra della Nato contro la Jugoslavia, è stata in qualche modo digerita ed elaborata dal comune sentire delle popolazioni europee. Ma l’11 settembre 2001 ha rovesciato con incredibile violenza ogni verosimile scenario geopolitico e culturale. L’enorme carico di ansia e timore per la propria sicurezza spinge i popoli del cosiddetto Occidente a cercare risposte rassicuranti nella logica delle armi, delle forze militari, di una politica della difesa che diventa sempre più “offesa preventiva”. Complementare a ciò si allarga a dismisura il fenomeno dell'esercito professionale. Il popolo della Pace - e la Sinistra che ne fa parte - devono proporre al più presto una grande riforma, che in qualche modo diventerà una sfida politica e culturale da rimbalzare nel resto d’Europa. Invertiamo la tendenza! Torniamo alla leva obbligatoria, ad un esercito di Popolo come garanzia della Costituzione repubblicana. In alternativa alla naia, si dovrà incentivare un periodo obbligatorio di servizio civile in cui ogni giovane che rifiuti il servizio militare possa dedicare alla collettività un periodo limitato della propria vita.

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 Grazia Perrone    - 06-06-2004
Non condivido l'ultima parte di questa nota perché - istituendo l'obbligatorietà del servizio civile - costituisce una regressione spaventosa (perlomeno da un punto di vista culturale ... per non parlare di quello politico) delle conquiste sociali (pagate con anni e anni di carcere militare) degli anni '70.

Non mi soffermerò (per non far torto ad alcuno) ad elencare i nomi di quei giovani che - a partire dal 1945 - si rifiutarono di indossare la divisa e (successivamente) rifiutarono anche il servizio ... "alternativo".

E furono - per questo - definiti obiettori totali.

Mi limiterò a rilevare che già l'Assemblea Costituente si era posta il problema dell'obbligatorietà del servizio miltare (e di lavoro ... "coatto") con il dibattito sull'art. 52.

A porre il problema fu l'On. Lelio Basso che propose un emendamento (respinto) in base al quale (...)tutti i cittadini sono tenuti alle prestazioni personali allo Stato per servizio militare e di lavoro".

In contrapposizione l'On. De Vita propose - al posto della coscrizione obbligatoria - il sistema del volontariato (adottato, poi, dal governo di centro-sinistra cinquant'anni dopo!) al quale si oppose Togliatti con la motivazione che - con questo sistema - (...) "non si avrebbe più il popolo intero che si arma ed è pronto a difendere il suolo della patria, ma una categoria di professionisti (...)".

Un timore tutt'altro che infondato e che sarebbe affiorato spesso nel corso del dibattito assembleare. Tant'è che - nel dibattito sull'art. 52 che si svolse in aula il 22 maggio 1947 - furono inesorabilmente respinti (con spirito "bypartisan" - diremmo oggi) tutti quegli emendamenti che tendevano ad introdurre dei correttivi al principio di obbligatorietà del servizio militare.

In modo particolare fu respinto l'emendamento presentato dai socialisti (e altri) Cairo, Chiaramelli e Colosso che recitava: "Il servizio miltare non è obbligatorio. La Repubblica, nell'ambito delle convenzioni internazionali, attuerà la neutralità perpetua".

Così come fu respinto l'emendamento dell'On. Caporali tendente a riconoscere l'obiezione di coscienza così formulato: "Sono esenti dal portare le armi coloro i quali obiettano per ragioni filosofiche e religiose di coscienza".

La Costituzione - nella sua formulazione finale - sancì l'obbligatorietà del servizio miltare pur specificando che esso sarebbe stato prestato "(...) nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge (..)" non escludendo, dunque, a priori la possibilità di apportare in seguito al principio generale quelle eccezioni che si fossero dimostrate opportune "devolvendole" alla legislazione ordinaria.

Cosa che avverrà - sull'onda della contestazione giovanile del '68 e oltre - solo nella seconda metà degli anni '70.


Nota a margine: per scrivere questa nota ho attinto dai libri di:

Alessandro Coletti: L'obiezione di coscienza, Feltrinelli Editore, Milano, 1973;

AAVV - Difesa popolare nonviolenta - Ed. Lanterna, Genova, 1980

 Umberto Guerra    - 06-06-2004
Condivido molto le considerazioni di Rolando A. Bozzetti sulla necessità di mantenere nel nostro Paese l'esercito di leva anziché di soldati a lunga ferma, è la garanzia democratica alla quale chiunque veda oltre il proprio naso non può rinunciare!
Cordialmente

 Paolo Forin, Verona    - 07-06-2004
Non sono d'accordo con la premesse, ma sulla necessità di tornare all'esercito di leva concordo pienamente, perchè solo questo mi da garanzie di democrazia e di professionalità.
Abitando accanto ad una caserma di 'cosiddetti' professionisti posso toccare con mano quanto sono buttati i soldi per mantenere una tale struttura.