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La malaricetta
Frilli editori - 31-05-2004







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 Pierangelo Indolfi    - 31-05-2004
Riporto un bell'articolo sul tema, pubblicato su "Liberazione" del 30.5.2004

Scandalo dei farmaci e civiltà dei consumi

Prima che lo scandalo dei medici esca dalle cronache, ragioniamo sulle rivelazioni che contiene. Il sistema di mettere i malati al servizio delle ditte farmaceutiche, e non viceversa, è il capolavoro della civiltà dei consumi.

Dunque: prima si fabbricano le medicine, poi si cercano i consumatori; se le medicine vengono prodotte in quantità sempre maggiore, i consumatori devono crescere di pari proporzione, e pertanto se i consumatori non sono disponibili, o non a sufficienza, si creano. E così, i consumatori di un dato farmaco a quanto pare crescevano non in conseguenza di un aumento della malattia, ma dei premi che la prescrizione del farmaco prometteva.

Qui si profila un pericolo del sistema, forse non ancora realizzato, ma ormai lì, a portata di mano. Poniamo che un medico si sia assunto il compito di smaltire tot confezioni di un farmaco contro uno speciale tipo di cancro, e che non abbia i pazienti sufficienti ad acquistarle; allora quel medico sposterà su quel medicinale anche pazienti per i quali sarebbero più adatti, o più convenienti, medicinali contigui, o di altra ditta. Pare che il sistema abbia prodotto la riduzione (quasi la scomparsa) di farmaci buoni ed efficaci ma a basso costo, quindi poco promossi. Ed è noto che anche il costo della terapia influisce sulla guarigione del paziente. Quindi la guarigione cessa di essere l'obiettivo primario dei curanti.

L'obiettivo diventa l'interesse della produzione. Sto ipotizzando. La civiltà dei consumi veniva da Moravia spiegata così: riduce l'uomo a tubo digerente, inserito nella catena che ha da una parte la produzione e dall'altra il consumo. Si consuma per produrre, si produce per consumare. Questo, delle prescrizioni concordate fra ditta produttrice e medici che firmano le ricette, è la perfetta riduzione del malato a tubo digerente di medicine, a prescindere dal fatto che quelle medicine siano per lui le più necessarie o convenienti. L'importante è che il malato le acquisti. Il sistema, come viene presentato finora, se non capiamo male, ha perfino studiato quali sono i medici più adatti alla prescrizione e quali i malati più adatti ad essere trasformati in consumatori. I medici più adatti sarebbero quelli che firmano le uscite dei malati dai ricoveri, e facendoli uscire li accompagnano di ricette, ripetibili per lungo periodo, dei medicinali di mantenimento. In questo modo l'uscita dai reparti e la riconsegna alle case diventa l'inseminazione di clienti per il Paese, fino ad occupare il Paese: che è il traguardo finale a cui il sistema punta.

L'uomo come merce, l'uomo come cosa trova qui la più perfetta incarnazione. Non solo però per quanto riguarda i malati, ma anche per quanto riguarda certi medici e promotori, se si comportano come le notizie ora dicono. Perché il medico diventa un dipendente non più dell'azienda sanitaria ma dell'industria farmaceutica. Non ha il compito di legare il paziente alla salute, ma alla spesa. Più spende, e migliore è come paziente. Così per il promotore: non deve promuovere il prodotto migliore, sentendosi contento quando vince il migliore anche se non è il suo.

Informatore scientifico vuol dire questo. Deve invece imporre il prodotto facendo leva non sui meriti scientifici, ma sui premi a cui è collegato. Ma è chiaro: medici e promotori non sono gli inventori del sistema. Son le prime vittime, che poi creano altre vittime. Ci sono stati vari scandali simili a questo. La memoria ci richiama lo scandalo dei libri di testo adottati dai professori in cambio di televisori ed enciclopedie. Fu lo scandalo dell'istruzione: far studiare gli studenti su testi peggiori, meno chiari o meno completi, purché gli insegnanti potessero guardare la televisione senza pagarla. Allora la civiltà dei consumi faceva il suo collaudo. Adesso, con la salute, tocca il vertice. Non c'è paragone.

FERDINANDO CAMON
(dall'"Avvenire" del 29.5.2004)