Quella lunga ora di religione
Dedalus - 31-05-2004
E’ scoppiata nei giorni scorsi un’accesa polemica fra l’Unità e il Ministro Letizia Moratti. Quale la ragione? Il 27 maggio l’Unità ha pubblicato in prima pagina un articolo dal titolo “Una lunga ora di religione”, dedicato alla firma di un’Intesa stipulata nell’Aula Magna della Conferenza Episcopale Italiana tra il ministro Moratti e il Card. Ruini dal titolo “Obiettivi specifici di apprendimento per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola secondaria di primo grado”.
Il documento per essere operativo dovrà essere oggetto di un apposito decreto del Presidente della Repubblica pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, quindi sarà inserito nelle “Indicazioni nazionali per i piani personalizzati nella scuola secondaria di primo grado”.
L’evento è avvenuto in un sorprendente vuoto di notizie. Solo una nota dell’agenzia di stampa Agi, ripresa dal direttore dell’Unità, Furio Colombo.

Perché?

Oltre ad annunciare l’assunzione in ruolo di oltre quindicimila docenti di religione, un vero esercito, una vastità di nuovi contratti in ruolo mai prima accaduta in tempi così brevi nella scuola italiana, l’agenzia riporta dichiarazioni della Moratti. Il ministro dopo aver ringraziato la CEI per il “rilevante contributo”, dice: “la CEI e il ministero stanno elaborando insieme una risposta pedagogica alle diverse problematiche emergenti, ispirata alla “antropologia cristiana”.

Se l’espressione “antropologia cristiana” vuol significare, etimologicamente, “guardare ad ogni evento della cronaca o della storia dal punto di vista della religione”, F. Colombo si chiede allora qual è il contesto culturale nel quale la firma del documento Moratti-Ruini colloca adesso l’insegnamento della religione nella scuola italiana. Un concetto e un criterio educativo forte come “antropologia cristiana”, utilizzato parlando della scuola pubblica italiana, sembra infatti delineare un netto spostamento di tutto l’impianto pedagogico e didattico della scuola italiana dall’ambito laico prescritto dalla Costituzione ad un terreno confessionale. Il direttore dell’Unità cita a questo proposito un testo della CEI che precede di pochi giorni (21 maggio) la firma della carta Moratti-Ruini e la illumina di significato. Infatti si intitola “Orientamenti connessi con la riforma della scuola pubblica e implicitamente derivanti dalla approvazione degli obiettivi specifici di apprendimento per l’insegnamento della religione cattolica”.
Ne è autore S.E. Mons. Nosiglia, Vescovo di Vicenza, presidente della Commissione Episcopale per la educazione cattolica, la scuola e l’Università, fonte dunque sicura e autorevole.

Nell’articolo di commento Furio Colombo avanza l’ipotesi, tutt’altro che azzardata, che nel testo della CEI non si stia solo parlando di collocazione dell’insegnamento religioso nei nuovi programmi della riforma Moratti. Al contrario. Si sta piuttosto progettando di adattare l’intero sistema scolastico italiano alla visione della “antropologia cristiana”. E cita alcuni passaggi del testo di Mons. Nosiglia che vanno inequivocabilmente in questa direzione. L’Insegnamento della Religione Cattolica dunque non più come materia ma come “punto generatore di tutte le altre materie”. Ne trae pertanto la conclusione, preoccupata, che “d’ora in poi dopo una firma che è legge, perché si richiama esplicitamente ai protocolli dei Patti Lateranensi, la scuola di Stato italiana è rigorosamente confessionale. E’ una scuola fondata - non durante l’ora di religione ma nell’insieme del suo insegnamento - sulla specifica ed esclusiva visione teologica della Chiesa cattolica. L’evento cambia drammaticamente il senso del rapporto tra Stato e Chiesa in Italia. Ci si domanda come tutto ciò possa essere avvenuto al di fuori di ogni pubblicità (salvo questa comunicazione finale, a cose avvenute) e fuori dal Parlamento.”

Il Min. Moratti, in una nota di risposta inviata all’Unità, definisce tutto questo “un incredibile episodio di falsificazione della realtà”, giustificabile solo se derivante da una “non conoscenza di specifici accordi internazionali”. Precisa quindi che l’accordo sottoscritto con il cardinale Camillo Ruini è in attuazione di quanto stabilito dalla revisione del Concordato lateranense tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana il 18 febbraio 1984 e dalla successiva intesa tra la Conferenza Episcopale e il Ministero del 14 dicembre 1985; in coerenza inoltre con il Programma di insegnamento della religione cattolica sottoscritto dalla Cei e dal Ministero il 21 luglio 1987.
L’accordo che ho firmato nei giorni scorsi – scrive il Ministro - semplicemente adegua il Programma del 1987 alle Indicazioni contenute nella legge 53/2003 sulla riforma della scuola, individuando gli obiettivi specifici di apprendimento propri dell’insegnamento (facoltativo) della religione cattolica. Tutto qui. Nessuna “consegna” al cardinale Ruini della scuola italiana, ma un aggiornamento, dovuto, di accordi sottoscritti da due Stati.
Un semplice e normale adeguamento dunque, nulla di più. In pratica non smentisce assolutamente nulla, a proposito di visioni antropologiche e culturali-religiose d’insieme.

Ma torniamo al cuore del problema. Come abbiamo scritto qualche tempo fa su ScuolaOggi, noi continuiamo a ritenere che il nodo che deve essere sciolto riguarda proprio la “facoltatività” dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica di Stato. Se si vogliono veramente fugare tutti i dubbi a proposito, la soluzione è molto semplice e a portata di mano.
La nuova Riforma della scuola primaria distingue tra insegnamenti “obbligatori” (il nocciolo duro delle 27 ore) e insegnamenti “facoltativi” e “opzionali” per le famiglie (le tre ore aggiuntive). Al tempo stesso include fra gli insegnamenti obbligatori l’Insegnamento (facoltativo..!) della Religione Cattolica. Questa è la contraddizione che deve essere risolta. Non altro. Basta collocare l’IRC fra le attività opzionali e facoltative per ridare ai nomi e alle cose la giusta corrispondenza. Il resto è fumo e odore d’incenso.


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 L. Nanetti    - 06-06-2004
Ci sono ben pochi commenti da fare!
Sono un'insegnante di religione da diciassete anni (di precariato ovviamente, ma suppongo che questo non interessi a nessuno perchè nessuno ci considera persone che lavorano!) e credo che qualcuno invece di strumentalizzare le notizie e i fatti come succede sempre in questo paese, potrebbe andare a leggersi qualche testo di legge, qualche programma e perchè no anche qualche revisione di Concordato e nuova Intesa.
Sono stanca di sentir parlare persone che non sanno minimamente cosa significa insegnare religione e vuola fare piazza pulita di un patrimonio storico - culturale che non gli piace. Sì perchè quando si tratta invece di ricordare e salvaguardare altre radici storiche queste stesse persone sono pronte a stracciarsi le vesti!
Un ultima cosa: chi parla tanto di rispetto per questo e per quello perchè non comincia a rispettare anche i docenti di religione e la materia che insegnano e, ci tengo a dirlo, con serietà.
Sarebbe meglio andare a vedere cosa succede nelle scuole e come vengono insegnate tutte le materie. Questo senza voler fare troppa polemica!

 fabio milito pagliara    - 06-06-2004
Carissima collega,
il problema non è neél'insegnamento di religione, né l'immissione in ruolo dei docenti di religione, il problema è che NON DOVREBBE essere necessario il nulla osta delle diocesi e il programma dovrebbe stabilirlo il ministero

La cosa brutta, secondo me, è che l'immissione in ruolo dei docenti di religione poteva essere l'occasione per liberarsi di queste due problemi

 erbor    - 08-06-2004
Non voglio fare l'uccello del malaugurio, ma il sentore che, volenti o nolenti, sulle opzionali ci bruceremo gli organici. Se insisteremo con il confinarvi attività pseudo creative o che consideriamo significative solo per alcuni (corso di campana tibetana, arpa celtica e decorazione birmana delle unghie delle capre autoctone afgane) ci ritroveremo con una maggioranza di genitori iscritti al tempo scuola inferiore, con conseguente crollo delle ore cattedra, alias dei posti di lavoro. Per non contare poi il fatto che una scuola che si è battuta per anni per rivendicare come essenziali le attività laboratoriali non può mangiarsi la coerenza assegnando loro la sottomarca di opzionalità. Considerando che i genitori hanno bisogno di "scuola" nel senso pesante del termine, quello sapientemente sottolineato da certe private, forse è il caso che si corra ai ripari, infilando fra le opzionali dei bei laboratori di matematica, italiano e lingua straniera. Pensate di avere problemi ad inventarvi esercitazioni pratiche di misura, educazione alla lettura, conversazione e visione di film in lingua originale? Io ho l'impressione che sia esattamente ciò che facciamo da anni.