Nello studiare i casi di disagio mentale più significativi negli insegnanti, mi sono accorto che alcuni termini ricorrono più insistentemente di altri forse perché rappresentativi di quel mondo di esperienze, sensazioni e timori che accompagnano il vissuto dei docenti stremati. Ben lungi dal ritenere l’elenco esaustivo – la lista sicuramente è da allungare, magari col contributo dei lettori – condividerlo con gli interessati può aiutare la comprensione e il dibattito sull’argomento.
“A” come: allarme causato dal rilevante e sempre crescente numero di richieste d’inabilità al lavoro effettuate da insegnanti per questioni psichiatriche; assenze dal posto di lavoro per malattia; alleanza, quella rotta con i genitori e stabilita senza ritegno con i propri figli, ansia vissuta sulla propria pelle; aggressività manifestata nei confronti degli interlocutori; aiuto da richiedere per venirne fuori; amore che rappresenta il vero e unico antidoto al disagio psichico; antidepressivi: vedi alla voce “farmaci”.
“B” come: burnout che solitamente precede la malattia psichica ma già ne contiene il germe; biblioteca, dove vengono confinati coloro che avrebbero invece bisogno di supporto e cure; bizzarrìe come manifestazioni iniziali di un male che “monta”.
“C” come: crollo psico-fisico; cura nella quale poter sperare se intrapresa per tempo; colleghi che ti emarginano anziché aiutarti a condividere il problema; comunità scientifica, assolutamente latitante sulla questione, al punto da non riconoscere nella classificazione delle patologie psichiatriche (DSM IV) il burnout, rendendo impossibile un intervento di prevenzione; censura come provvedimento sanzionatorio che spesso colpisce chi avrebbe invece bisogno di una terapia specifica; Collegio Medico, quello che deve decidere se collocarti a riposo a fronte del tuo stato di salute; crocifisso che talvolta è sinonimo di insegnante ma nessuno sembra accorgersene; considerazione sociale, oramai così bassa da doverla reinventare; conflitti - con colleghi, amministrazione scolastica, studenti e loro genitori - che spesso sottendono una situazione di disagio mentale avanzato; counselling che rappresenta il primo livello d’intervento da parte di un operatore sanitario; capacità critica, quella che si perde col progredire della malattia; colpa, ovviamente della scuola se il figlio mangia male a tavola e dice le parolacce.
“D” come: diagnosi medica, spesso imprecisa, incomprensibile e - talune volte - di comodo; dirigente scolastico: colui che talvolta si improvvisa psichiatra (al lettore immaginare le conseguenze); depressione, che insieme all’ansia rappresenta il 70% delle patologie psichiatriche degli insegnanti; denuncia, quella che spesso viene sporta da studenti e genitori a carico d’insegnanti oramai sprovvisti di ogni forma di autocontrollo; dispensa dal servizio: è mèta agognata dei docenti spossati e ultima risorsa per quelle amministrazioni scolastiche alle prese con veri e propri casi psichiatrici.
“E” come: educazione, abbandonata dalle famiglie, delegata alla scuola, in pratica inesistente; emarginazione, come atteggiamento più comodo e immediato nei confronti di chi è in grave difficoltà; evitamento, la più classica delle sindromi per sfuggire a una situazione che procura ansia.
“F” come: famiglia, che accusa scuola e docenti di tutto il male che è nei giovani (il bene promana ovviamente dalla famiglia stessa); follia, il risultato di una situazione di burnout trascurato; fobie immotivate, sono percepite come reali per incombenti minacce; formazione, appare indispensabile soprattutto quella di tipo pedagogico; farmaci: un ottimo ausilio nel contrastare il disagio, ma solo se somministrati con raziocinio e soprattutto se considerati supporto terapeutico e non soluzione a tutti i mali; futuro, una parola difficile da proferire con serenità alla luce della situazione.
“G” come: Getsemani che ha dato il nome -per scontate analogie con la storia del Maestro - al primo studio al mondo che ha provato una relazione diretta tra patologia psichiatrica e professione insegnante; Golgota, come conseguenza diretta al Getsemani in ossequio all’attuale crocifissione del docente; genitori: viene da chiedersi se non siano più in crisi degli stessi insegnanti (non oso pensare poi la condizione poco invidiabile di chi è genitore-insegnante); guarigione: dopo il venerdì di passione, che ha condotto il Maestro attraverso il Getsemani e quindi sul Golgota, non disperiamo ricordando che l’epilogo è comunque rappresentato dalla Pasqua di resurrezione (almeno per coloro che ci credono).
“H” come: hell cioè inferno, esattamente il posto dove ti sembra d’essere quando ansia e depressione s’impadroniscono della tua vita (professionale); help, proprio quello che manca dalle istituzioni.
“I” come: Istituzioni (da compilarsi a cura del lettore); inabilità al lavoro: il risultato di una situazione misconosciuta o peggio negata; insegnante, sinonimo di “poveretto”; ispettore, colui che è mandato dal MIUR - al posto dello psichiatra - a dirimere controversie che scaturiscono da problematiche mediche; isolamento, ciò che si ottiene confinando i docenti “provati” in biblioteca.
“L” come: lavoro che in realtà si è trasformato in lotta contro tutto e tutti; latitanza: quella di Istituzioni e comunità scientifica di fronte al problema.
“M” come: mobbing o mania di persecuzione: spesso – e non per caso – coincidono, cambia solo il punto d’osservazione; manicomio: oggi ne non esistono più, abbiamo le biblioteche che espletano la medesima funzione.
“N” come: negazione del problema da parte di tutti, in fondo sta bene così.
“O” come: l’iniziale del prof. che provava una tale ansia all’inizio di ogni giornata di lezione che si defecava regolarmente addosso. Grazie alla segnalazione degli studenti al dirigente scolastico giunse di fronte al Collegio Medico che lo ritenne “idoneo all’insegnamento”.
“P” come: (sembra il titolo di una delle più belle canzoni di Concato ma non lo è) psicopatie, esattamente quelle di cui si parla nello studio Getsemani e che – guarda caso -sono contemplate dal famigerato DSM: dunque, professori e studiosi mettersi all’opera; prevenzione: quella che non si farà mai se si va avanti di questo passo; pensione: rimane la speranza dei più robusti che sopravviveranno al martirio della docenza; preside e provveditorato: termini desueti.
“Q” come: querulomania, dalla quale è affetto chi ha predisposto la risposta all’interpellanza parlamentare urgente presentata da 34 deputati sensibili al disagio mentale negli insegnanti.
“R” come: rabbia per la riforma che non prevede alcuna iniziativa di ricerca sull’argomento né programmi di reinserimento e riabilitazione al lavoro degli “scoppiati” (sempre e solo biblioteche).
“S” come: stereotipi nutriti dall’opinione pubblica sul mestiere degli insegnanti; studenti come croce e delizia di un milione di italiani (all’85% italiane); sintomi da somatizzazioni fino ad arrivare anche al suicidio nei casi più disperati (ricordate la Prof. dell’Istituto D’Oria di Genova – per ironia della sorte porto lo stesso nome della scuola - che alcuni anni fa si defenestrò a giugno durante l’ultimo scrutinio?); e poi ancora sanzioni e solitudine come unico destino per chi cede con la psiche stremata; e – dulcis in fundo – sindacati, quelli in cui, per statuto, è riposta, fino ad oggi invano, la speranza che qualcuno vorrà proteggere l’incolumità psicofisica dei lavoratori.
“T” come: trasferimento (per incompatibilità ambientale), soluzione cui più spesso ricorrono i dirigenti scolastici passando la “peppa” ad altro istituto ignaro del “pacco” in arrivo: perdono tutti – insegnante disagiato compreso – ma chissenefrega; TSO, che in gergo medico significa trattamento sanitario obbligatorio, cioè ricovero coatto in reparto psichiatrico; terapia, quella che talvolta precede ma spesso segue il TSO; tardi, esattamente ciò che stiamo rischiando di fare.
“U” come: usurante sembra essere la professione nonostante i “3 mesi di vacanza all’anno e la mezza giornata di lavoro”. Figuriamoci se la vacanza fosse ridotta a 25 giorni. Non resta che provare se ciò ci aggrada.
“V” come: verità da ricercare sulla questione restituendo valore e dignità al mestiere.
“Z” come: Zorro, non rimane che sperare nel suo salvataggio visto come stanno le cose.
Articolo segnalato da Anna Di Gennaro Melchiori