Complice lo sciopero di venerdì mi sono preso un paio di giorni di riflessione, fin qui subordinata alle scadenze del movimento di resistenza alla controriforma morattiana; riflessione determinata da alcuni eventi verificatisi negli ultimi giorni : la comparsa sul sito di Retescuole di alcuni messaggi firmati
genitori pro-riforma, rivelatisi poi documenti tratti dal sito di Bertagna (
CISEM), l’ultimo articolo di Cominelli sul Riformista (
chi difende lo status quo), l’
intervista alla Moratti di Repubblica e anche lo stesso sciopero del 21 (uno sciopero piccolo piccolo, così
definito in una lista Didaweb).
Veramente ci sarebbe al fuoco carne più sostanziosa e saporita, cucinata dallo stesso governo con l’approvazione di altri due decreti (sull’obbligo scolastico e sull’alternanza scuola-lavoro), ma ci sarà tempo per approfondire anche questi.
Da un paio d’anni stiamo tutti quanti assistendo alla manifestazione di tre tipi di scuola : quella che traspare dai media (stampa e TV), quella che si esprime nei documenti (del governo, degli esperti, della resistenza), quella che si verifica ogni giorno nelle aule di tutta la nazione e di cui siamo protagonisti noi, assieme agli alunni.
Ebbene, tra queste tre fotografie di scuola non esiste alcuna identità e spesso alcun collegamento : si tratta di rappresentazioni che non trovano riscontro nella realtà.
Quella che fa più rabbia è la rappresentazione che ne producono i media, che forse per loro natura sono costretti a sintesi stucchevoli e ad una superficialità disarmante. Non mi riferisco solo ai resoconti giornalistici delle manifestazioni, costituiti dal solito collage di cronaca di costume, di interviste fatte di slogan, di messa in evidenza di particolarità poco significative; mi riferisco anche ai programmi TV di approfondimento (
Ballarò, Porta a porta, Otto e mezzo) e da ultimo all’intervista (
anzi al forum) di Repubblica col ministro Moratti.
Discussione di due ore, sta scritto e in due ore se ne dicono di cose! A leggerne il resoconto si impiega una decina di minuti, si tratta dunque di una sintesi; ad analizzarne i punti non emerge la benché minima novità rispetto a quanto già saputo e risaputo. Non solo, il calibro dei giornalisti intervistatori dovrebbe far pensare a persone che si siano abilmente preparate per mettere il ministro alle strette, visto poi che le sue risposte ricalcano alla lettera quelle già fornite in analoghe situazioni. E invece ne esce un quadro che, giustamente l’introduzione giudica pacato : tutto ampiamente scontato!
Eppure si dovrebbe immaginare che su ogni singolo aspetto (
tempo pieno, orario diminuito, organici, inglese, Darwin, valutazione) si sia sviluppato un contraddittorio incalzante, di cui non v’è però traccia; desumendone o la totale incapacità dei giornalisti (non solo quelli di Repubblica) a disquisire di scuola, oppure la necessità per qualunque media di raggiungere un target che non è quello specifico del popolo della scuola, ma un mondo più vasto e totalmente disinformato.
Se si comporta così un quotidiano, che pure dispone di parecchie pagine e ne dedica due all’approfondimento, figuratevi la TV! Affrontare in TV ad esempio il tempo pieno (
a Ballarò, a Porta a porta) ha significato porre un paio di domande al ministro (è vero che il tempo pieno viene abolito?), ricevendone la solita, ripetuta (e
FALSA) risposta; quando invece sarebbe stato necessario un serrato batti e ribatti, fino a far capire le ragioni profonde della protesta anche a chi non ne sa nulla e a smascherare così le bugie del ministro. Può la TV fare questo? Evidentemente no, forse per le stesse ragioni dette prima; quelle stesse ragioni che dopo oltre un anno di dibattiti quasi quotidiani sulla guerra non hanno ancora spiegato le motivazioni profonde che l’hanno provocata.
Il risultato di queste operazioni mediatiche è sempre lo stesso : l’estraneo non capisce mai perché alcuni non sono d’accordo con la riforma; sarà dunque per motivi ideologici! E sarà forse perché si ottiene sempre quest’effetto che la Moratti appare sempre più disponibile ad accettare simili confronti!
Anche la scuola che si desume dai documenti cartacei che pullulano sulla rete non fotografa la scuola reale; prendete l’invettiva di Cominelli : esiste un blocco sociale corporativo molto esteso, a base sindacale, ma appoggiato da una potente e trasversale rappresentanza politica, che considera le riforme come una minaccia. Quella della scuola, in particolare, sarebbe osteggiata dai sindacati e dalle forze politiche di riferimento, presenti in ambedue gli schieramenti.
La folle analisi di Cominelli è spiegabile solo con la rabbia che deve obnubilargli il cervello per la scomparsa dall’agone politico della tesi buonsensista, che fino a pochi mesi fa tentava di appropriarsi della riforma per farne un terreno sotto il proprio dominio.
L’evolversi della situazione, la nascita di un movimento con le idee chiare e le gambe buone hanno fatto piazza pulita di questi terzisti, che oramai si affidano solo al lamento dei loro portavoce. Nonostante questo la superficialità dell’analisi cominelliana è anch’essa disarmante : se fosse reale l’esistenza di un tale blocco socio-politico, non solo la riforma Moratti sarebbe ancora al palo, ma nel frattempo si sarebbe raggiunto un bel compromesso sugli aspetti più controversi.
Nulla di tutto ciò sta avvenendo, per il semplice motivo che quelle di Cominelli non sono constatazioni, bensì rabbiose invettive. A confutarle basterebbe un semplice lineare ragionamento logico : la presenza di molti docenti in più nella scuola italiana rispetto a quelle di altri stati, l’affollamento di bidelli e di tessere sindacali, se pure non avessero migliorato la qualità dell’istruzione (come Cominelli sostiene), sicuramente non l’hanno peggiorata; se poi il governo dispone di così tanti soldi da investire nella scuola (oltre 16 mila miliardi di vecchie lire!), questo soprannumero dovrebbe essere considerato bruscolini e non fattore di conservazione. Il fatto è che la riforma mira a fare cassa, altro che insegnanti e bidelli, caro Cominelli!
Se si passa poi alle fonti ufficiali (Decreti, Allegati, Circolari, …) e alle corpose risposte date dal movimento di resistenza (documenti, mozioni, analisi, …), ci si trova di fronte a due scuole contrapposte : quella che emerge dalla riforma scritta è completamente diversa da quella che la resistenza evidenzia nella realtà futura.
Il succitato sito del CISEM è ripieno di elaborazioni di come la riforma morattiana potrà essere attuata e leggendo qua e là si fa man mano conoscenza di una scuola che non ha nulla a che fare con quella reale, avvalorando la tesi che questa riforma stravolge davvero la scuola che fin qui abbiamo conosciuto.
Prendi l’aspetto della CLASSE : secondo la riforma non ha più alcuna ragione d’esistere, sostituita da gruppi di diverso tipo (di livello, di compito, di scelta); attualmente invece la classe rappresenta il perno della scuola e se anche si può prospettare una sua disarticolazione per qualche ora la settimana (come già avviene in molte scuole reali), nessuno può pensare che se ne possa fare ormai a meno, senza gravi conseguenze di ogni genere. Eppure il gruppo che si affanna e mettere sulla carta la riforma prefigurata da Bertagna (università di Brescia) si disimpegna con molta facilità nel dedalo organizzativo di orari, gruppi e docenti, come fosse un puzzle da ricomporre a tavolino e non pezzi di vita vera con cui invece giocano questi ricercatori.
Flessibilità è la parola magica che mette a tacere ogni interlocutore critico : 891 ore annue non sono divisibili per 33 settimane e per 12 discipline? Niente paura, l’orario è flessibile, un periodo è così , un altro cambia; gli stessi docenti devono adattare ed adattarsi ai numeri; non sono le ore al servizio delle discipline, sono le discipline (e le persone – docenti alunni e genitori) che devono adattarsi agli orari. Ragionando per eccesso, ma anche per conseguenza logica, si potrebbe ipotizzare una settimana in cui si fa solo italiano e storia e una settimana successiva in cui si fa matematica e tecnologia. Si apre un campo inesplorato e inimmaginabile per la gretta mente dei docenti : spazi per settimane bianche, per viaggi all’estero, con recuperi intensivi al rientro. Destrutturate la scuola fino a questo punto è degno di Ivan Illich.
E pensare che la legge 30 di Berlinguer non riuscì a superare il piccolo scoglio dell’onda anomala!
Come si fa ad interloquire con simili idee di scuola? Non si tratta di contrapporre un modello ad un altro, un’organizzazione più flessibile a una più rigida; si tratta di tornare alle basi dell’educazione e della scuola pubblica di stato. Come si fa a confutare il ministro o l’ultimo genitore appartenente all’organizzazione che vede nella riforma un servizio alla famiglia, quando afferma che è meglio la possibilità che a scegliere il percorso siano i genitori, piuttosto che lo stato? Si tratta di concezioni del tutto diverse di cosa sia l’educazione e l’istruzione pubblica.
Se trasferissimo il concetto ad un altro servizio dello stato, la sanità ad esempio, crollerebbe tutta l’impalcatura, benché questo governo tenti di sfondare anche lì.
Può oggi una famiglia decidere di curare la malattia di suo figlio contrattando la terapia col medico? Può un ospedale pubblico adottare delle cure che nulla hanno a che fare con lo standard della medicina riconosciuto scientificamente?
Certo, il singolo genitore può rivolgersi alla clinica privata e instaurare col medico il rapporto che vuole, visto che paga!
La stessa cosa che può fare nella scuola privata. Ma l’ospedale pubblico, come la scuola pubblica, è tenuto a garantire un servizio sul cui standard si pronuncia lo stato nei suoi massimi livelli scientifici. E sappiamo la fine fatta dalla strombazzata cura Di Bella! È dunque lo stato che decide gli standard indipendentemente dalle famiglie, proprio perché ne possiede e riassume tutte le potenzialità fin qui create dal progresso scientifico.
Come allora leggere la comica vicenda Darwin, alla luce di tutto questo?
Sì, l’avevamo tolto, perché nessuna delle 65 associazioni professionali ne avevano marcato il vuoto. Che poi si scopre che è pure una bugia (una delle tante, la scuola berlusconiana trova proseliti). Se però ora ci fate notare che non va bene, noi lo rimettiamo subito e tutto si sistema! Potremo provare a fare la stessa cosa col resto : facciamo notare che il tutor non serve, che l’orario va confermato, che bisogna buttare il portfolio e i piani personalizzati e il ministro ci fa tutti contenti!
Diciamoci la verità : non c’è un solo punto, un solo elemento di questa riforma che possa essere sostenuto con qualche logica! Se non la scelta ideologica e politica e la necessità di risparmiare. Basta dirlo allora, che tutto diventa più chiaro!
E invece ci si arrampica sugli specchi delle teorie e delle analisi strampalate per giustificare ciò che origina da ben altre motivazioni!
Il dramma purtroppo è che tutto questo (una riforma fatta per scopi del tutto diversi da quelli dichiarati) non trova canali per essere conosciuto al grande pubblico e resta argomento per addetti ai lavori.
Per cui anche lo sciopero del 21, tra i cui obiettivi c’è l’abrogazione della riforma Moratti, non raggiunge né le prime pagine dei giornali, ne le dichiarazioni dei leader sindacali, subissati da altre emergenze (le pensioni, i contratti, l’inflazione).
Spiegare la scuola è lungo e difficile; far capire agli stessi genitori quel che avviene tra le mura scolastiche è complesso e richiede tempo e attenzione; far prendere coscienza dell’essenzialità della compresenza per i processi di apprendimento e di socializzazione è arduo e spesso vano. Perché parlare di come una persona cresce richiede forse lo stesso tempo necessario a crescere e solo che ne fa direttamente esperienza se ne rende conto.
Anche la scuola che in questi mesi raccontiamo e continuiamo a raccontare alle assemblee dei genitori, alle assemblee pubbliche, alla rete è diversa da quella che viviamo ogni giorno, dove accade sì quello che diciamo, ma accade anche molto d’altro, che sottacciamo per mancanza di tempo, per opportunità, per dimenticanza.
La scuola è vita (nostra, degli alunni) e la vita si può raccontare vivendola, oppure in un libro di memorie…