tam tam |  sociale  |
Videogiochi e bullismo
Redattore Sociale - 20-04-2004
dal Redattore Sociale

Esiste un rapporto tra videogiochi e bullismo? Secondo alcuni ricercatori dell'Università Cattolica c'è la tendenza da parte di giovani con comportamenti aggressivi a scegliere i giochi violenti e ad usarli per ore




Videogiochi e bullismo: nessuna relazione diretta, ma la tendenza da parte di giovani con comportamenti aggressivi a scegliere i giochi violenti e a utilizzarli per molte ore. E' quanto hanno affermato alcuni ricercatori dell'Università Cattolica, autori di un'indagine sul tema, intervenuti al convegno tenutosi oggi a Milano "Mente e media. Bambini e ragazzi alle prese con televisione, computer, videogiochi: rischio e avventura". L'incontro ha affrontato il rapporto tra minori e media, con una serie di workshop tematici, tra cui uno incentrato sul rapporto tra videogiochi e ragazzi. I punti emersi dalle relazioni dei ricercatori sono fondamentalmente due: da un lato, i videogiochi possono essere uno strumento di apprendimento e sviluppo delle capacità cognitive del bambino, dall'altro, la categoria dei giochi violenti, la più diffusa, genera "identificazione, offre conferme a comportamenti violenti, presenta modelli di aggressività a cui conformarsi e premia in qualche modo le condotte aggressive", spiega Simona Carovita, ricercatrice del Servizio di Psicologia dell'apprendimento e dell'educazione in età evolutiva (Spaee) e curatrice del testo "Il bambino e i videogiochi" recentemente pubblicato.

"Quello dei videogiochi è un mondo ampio e sfaccettato: esistono tanti tipi di gioco e sarebbe sbagliato dire che sono tutti negativi", dice Simona Caravita. Punto fermo, però, "la minore capacità di intervento dei genitori rispetto a quanto avviene per esempio con la televisione".

Videogiochi fuoricontrollo?

"Non bisogna colpevolizzare i genitori, ma è certo che il rapporto tra ragazzi e videogames è molto meno filtrato di quanto avvenga rispetto ad altri media", risponde Simona Carovita. La conseguenza è un uso in qualche modo inconsapevole che nel caso dei videogiochi con contenuti violenti può avere effetti sui comportamenti dei ragazzi. "Da una ricerca condotta su 106 bambini di terza quarta e quinta elementare e su altri 154 alunni di quarta e quinta emerge come esista una relazione tra condotte prepotenti messe in atto a scuola e uso di videogiochi violenti", spiega la ricercatrice della Cattolica. Da quanto emerso dal convegno di oggi, quindi, i videogiochi hanno effetti molto più dirompenti della televisione sui comportamenti aggressivi dei ragazzi. "La violenza in tv è osservata, si tratta di una fruizione passiva. Nel caso dei videogames invece il ragazzo partecipa al gioco e si identifica nel personaggio, a volte può addirittura guardare la realtà virtuale 'con gli occhi del protagonista'", spiega Simona Carovita. Fondamentale quindi il ruolo dei genitori. "Devono saper guidare i ragazzi all'acquisto dei videogiochi, far acquisire loro la consapevolezza del mezzo con cui hanno a che fare. Significa, in altre parole, accompagnarli dall'acquisto alla fruizione del videogames, soprattutto se si tratta di giochi violenti".

L'avvertenza è però a non generalizzare: "Il videogioco non è di per sé negativo - precisa Luca Milani, ricercatore dello Spaee della Cattolica -. Anzi, è dimostrato che il videogioco può migliorare le capacità cognitive dei ragazzi, favorire il coordinamento occhio-mano, migliorare le capacità viso-spaziali". Non il mezzo, ma i contenuti, quindi, rappresentano un elemento di rischio. "Esistono giochi complessi e divertenti in grado di avere una funzione educativa. Il problema è che spesso i genitori non li conoscono e le case produttrici preferiscono puntare per il target dei più giovani su giochi semplici da imparare e immediatamente fruibili: condizioni soddisfatte da giochi, ad esempio, in cui l'obiettivo è l'eliminazione del nemico", dice Milani.


Bullismo: definizione del termine

"Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni” (Olweus 1996).

Un comportamento da “bullo” è un tipo di azione che mira deliberatamente a far del male o danneggiare; spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi e persino anni ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime. Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori c’è un abuso di potere e un desiderio di intimidire e dominare” (Sharp e Smith, 1995).

L’azione del bullo nei confronti della vittima è compiuta in modo intenzionale e ripetuto. Per parlare di bullismo non è sufficiente quindi che si verifichi un singolo episodio di angheria tra studenti, ma deve instaurarsi una relazione che, cronicizzandosi, crei dei ruoli definiti: il ruolo di colui che le prepotenze le subisce (la vittima) e di chi invece le perpetua (il bullo). Il bullismo implica sempre uno squilibrio in termini di forza: non si dovrebbe perciò usare questo termine quando due compagni, all’incirca della stessa forza fisica o psicologica, litigano o discutono. Per parlare di bullismo è necessario che ci sia un’asimmetria nella relazione (Olweus, 1996).

Il bullismo




  discussione chiusa  condividi pdf