Comunità locale, etnia e popolo
Stefano Borgarelli - 14-04-2004
Nuove equazioni dell’astronomia popolare.
Conversazione con lo storico Piero Brunello sulle derive della cultura locale *



DOMANDA - Il terreno delle tradizioni popolari è scivoloso. Ha perlomeno due versanti. Messo a coltura in modo tendenzioso - come fanno molto attivamente certe istituzioni, da qualche tempo - riproduce l’ideologia nazionalista in chiave “localistica”. Per il Gramsci delle Osservazioni sul folclore però, il folclore è controparte popolare della cultura intellettuale. Esprime una visione del mondo… Come si muove lo storico su questo terreno, se non vuole scivolare, facendo magari qualche concessione all’ideologia reazionaria?

RIPOSTA - Alla domanda “Come studiare le tradizioni popolari?”, risponderei: “Studiarle seriamente”: ricerca filologica, discussioni sulle fonti e sulla bibliografia. Non aggiungerei altro. Caso mai rifletterei sul ruolo che nella storia è stato spesso richiesto agli studiosi di questo ambito disciplinare (ma non solo): essere consiglieri del principe ed educatori del popolo.

DOMANDA - Nel sito web degli “Orsetti padani”, gli scout della Lega (v./cfr www.orsettipadani.org/educazione/scuola.htm) si può leggere – radicata nelle aperture della riforma Moratti – l’utopia trepidante della presidente dell’associazione: “La riforma all'articolo 2 recita: b) sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale anche ispirata ai princìpi della Costituzione, e lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea […] Si potrà cominciare a parlare in modo serio di etnopedagogia, cioè del metodo educativo che parte dalla cultura locale per insegnare ai bambini la storia, la geografia e anche, come nel caso dell'etnomatematica, le regole scientifiche. L'etnomatematica è l'insieme dei metodi utilizzati per insegnare le regole matematiche utilizzando la cultura locale, partendo ad esempio dalle conte, dalle filastrocche, ma anche metodi utilizzati per i calcoli nella astronomia popolare.
Cosa pensi di queste discipline, del loro eventuale impiego nella scuola?

RISPOSTA - Non si capisce cosa siano “comunità locale”, “comunità nazionale”, “civiltà europea”. Detto così, i termini suonano, per esempio: “Val Brembana”, “Padania”, “Cattolicesimo”. In questo brano si stabilisce una equazione tra “comunità locale”, “etnia” e “popolo” (quando si parla di “astronomia popolare”). Chiederei agli insegnanti se è questo che vogliono.

DOMANDA - Nel Veneto, l’«Assessorato alle Politiche per la Cultura e l'Identità Veneta» destina finanziamenti cospicui a progetti di studio, musei etnografici, corsi di formazione, istituzioni culturali, con l'obiettivo di "riscoprire", "ritrovare" e "valorizzare" radici e identità. Insegnanti per niente reazionari partecipano con le loro classi ai concorsi indetti da questo assessorato (è ormai alla sua terza edizione «Cultura e identità veneta»). Promuoviamo insomma partecipazione in chiave identitaria, cioè “radicamento” ideologico nella scuola - ma anche di quest’ultima nel “territorio”, vecchia parola d’ordine, se non sbaglio, anche di tanta sperimentazione di sinistra… - senza troppi distinguo. Del resto, tu stesso annotavi preoccupato in una lettera al Manifesto di qualche anno fa, mi pare, l’adesione di gruppi di ricerca diciamo “progressisti” a simili iniziative, raccontate non senza qualche entusiasmo da cronisti dello stesso quotidiano… Torniamo al terreno scivoloso di cui abbiamo parlato. Che fare?

RISPOSTA - La lettera al “Manifesto” non fu pubblicata. Ma in generale, su questo tema non c’è mai stata e non c’è discussione pubblica. C’è infatti un assunto largamente condiviso, che si può riassumere così: la globalizzazione comporta sradicamento dalla “comunità locale”, e quindi gli storici devono costruire l’appartenenza alla “comunità locale”. Il convegno di Treviso sulla storia locale del 1995, pur lontano dalle posizioni leghiste, aveva collegato quello che chiamava “il diritto alla conoscenza delle storie locali” alla preoccupazione per il “rischio di minore coesione delle comunità locali” (rinvio alle osservazioni critiche sviluppate allora da Luca Pes in “Protagonisti. Trimestrale di ricerca e informazione”, XVII, n. 65, ottobre - dicembre 1996). Poi ci sono i discorsi etnici, sempre più frequenti. Nell’introduzione al Sussidiario di cultura veneta, uscito l’anno dopo (Neri Pozza, Vicenza 1996) a cura di Manlio Cortelazzo e Tiziana Agostini, Ulderico Bernardi indica per esempio come obiettivo “la salvaguardia della propria identità culturale” sulla base di un legame tra “cultura tradizionale” e “comunità etniche”. Come sempre, i mutamenti culturali sono una questione di tempo e di vocabolario. Ci sono continui slittamenti di significato, grazie anche all’esistenza di un assessorato regionale alle politiche per la cultura e l’identità veneta. Dalla storia del Veneto si passa alla storia dei Veneti. Una mobilitazione dall’alto appare partecipazione dal basso, in nome dei gruppi esclusi dalla storia, oppressi dalla globalizzazione. E tutto questo in una regione in cui gli industriali tengono i loro congressi in Romania. Nessuno, ripeto, ne discute pubblicamente. La globalizzazione che produce sradicamento dell’individuo dalla “comunità locale” è considerato un dato di fatto empirico e non una affermazione ideologica. (Altri potrebbero dire per esempio che la globalizzazione e l’immigrazione producono servizi alle comunità locali, oppure un maggior senso di libertà e così via). Restando alla storiografia, all’epoca del convegno “Insegnare le storie locali nell’età della globalizzazione”, nel 2002, l’associazione storiAmestre, e anch’io, invitava piuttosto a studiare “la storia locale nell’età dei localismi”. Io resto di questa idea. Non ho titoli per dire cosa devono fare altri, nel caso specifico gli insegnanti, ma vedrei anche qui scambi di mutuo aiuto, basati non sulla contrapposizione alle politiche espresse dall’assessorato, bensì sulla costruzione di ricerche e di progetti.


· Piero Brunello (1948) insegna Storia sociale all’Università di Venezia. Fa parte dell’associazione storiAmestre. Tra i suoi scritti: Ribelli, questuanti e banditi. Proteste contadine in Veneto e in Friuli (1814-1866), Marsilio, Venezia, 1981; Emigranti, in Il Veneto, a cura di S. Lanaro, Einaudi, Torino, 1984; Contadini e "repetini". Modelli di stratificazione, ibid.; Pionieri. Gli italiani in Brasile e il mito della frontiera, Donzelli, Roma, 1994; L’urbanistica del disprezzo. Campi rom e società italiana (a cura di), Manifestolibri, Roma, 1996.
Tra i suoi libri più recenti, ha curato A. Cechov, Senza trama e senza finale. 99 consigli di scrittura, minimumfax, Roma 2002 ; con Pietro Di Paola ha curato E. Malatesta, Autobiografia mai scritta. Ricordi autobiografici (1853-1932), Edizioni Spartaco, Santa Maria Capua Vetere (CE) 2003.


*questa conversazione è di prossima uscita, nel n° 27 del bimestrale a stampa "Chichibìo", che mi ha gentilmente concesso di anticiparla su Fuoriregistro

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