Alcuni punti fermi per non sentirsi soli
Mirco Pieralisi - 22-03-2004
Tanta creatività, ma con qualche punto fermo in comune

L’incontro che si è tenuto a Milano il 13 marzo, ha registrato tanti diversi percorsi compiuti da tante realtà.

Ma le diverse scelte che ogni situazione di movimento può ritenere opportune in occasione soprattutto di scadenze esterne (vale per tutti l’esempio delle modalità scelte nei confronti dello sciopero generale sulle pensioni: si va dall’adesione critica con una propria caratterizzazione da parte di Milano, al profilo basso scelto da Bologna, dove il coordinamento, senza entrare in una logica di adesione o contrapposizione, ha scelto semplicemente di fare anche in quella sede un’informazione di massa sulla riforma), non ci devono far dimenticare, come è stato unanimente sottolineato a Milano, che siamo in un momento delicatissimo dove sarebbe devastante agire in ordine sparso su alcuni aspetti decisivi della riforma Moratti e del decreto attuativo che sta investendo la scuola di base. Bisogna avere chiaro un percorso comune, non solo perché è più efficace, ma anche perché è immediatamente verificabile e consente un confronto e una messa a punto costante.
Provo allora a rinominare i punti in cui è vitale la convergenza non solo di intenti ma di azione:

1 )Il movimento delle scuole chiede l’abrogazione della legge 53 e dei relativi decreti attuativi.
E’ una banalità solo fino a un certo punto. Ribadire questo concetto è anche un modo di diffidare qualsiasi sindacato a contrattualizzare alcuni aspetti della riforma. E’ anche un modo, naturalmente se siamo in grado di tenere alta la disobbedienza e la resistenza a lungo, per impegnare l’opposizione a mettere questo punto nel suo programma elettorale e contrastare la disponibilità di una serie di enti locali a collaborare a parti della riforma (anticipi e scuola dell’infanzia). La lotta per l’abrogazione è infine lo sfondo generale (e generalizzante anche rispetto ad ordini di scuola che non si sono ancora mossi sugli altri punti che costituiscono l’impianto ideologico e selettivo della riforma) che dà un senso non solo alle mobilitazioni ma anche al logorante lavoro istituzionale di resistenza che stiamo per affrontare negli organi collegiali e nelle altre scadenze scolastiche.

2) Gli organi collegiali devono confermare che le modalità didattiche, organizzative ed orarie devono essere quelle che le scuole hanno indicato nei loro pof ed erano vigenti al momento dell’iscrizione degli alunni. Questo è possibile perché è consentito da norme vigenti non abrogate che sono in contrasto con il primo decreto attuativo (dobbiamo sforzarci di essere in grado di contrapporre puntualmente norme esistenti e vincolanti a possibili atteggiamenti prevaricatori e intimidatori da parte di dirigenti “estremisti”; si vedano a questo proposito i numerosi esempi di mozioni approvate ed approvabili presenti nei vari siti). E’ necessario che docenti e genitori negli organi collegiali non siano lasciati soli in questa battaglia a livello “istituzionale”, ma affiancati da manifestazioni, happening di scuola, ulteriori raccolte di firme, petizioni e ogni altra forma di pressione creativa possibile ed immaginabile.

3) Il movimento delle scuole deve ottenere che siano concessi gli organici necessari per garantire l’organizzazione didattica e il modello orario scelto. E’un punto fondamentale, perché la conferma dell’organico per il prossimo anno contenuta nel primo decreto attuativo non copre, ad esempio, la crescita della domanda di tempo pieno e prolungato, cioè quel “Chiedete e vi sarà dato” che Berlusconi e la Moratti hanno più volte garantito in tv.

4) Nella maniera più assoluta deve essere respinta la funzione del tutor, impugnando negli organi collegiali le norme legislative e contrattuali che contrastano con la sua istituzione. Bisogna essere molto chiari. Non si tratta, soprattutto in questa fase, di fare obiezione di coscienza o dire “siamo tutti tutor”. Semplicemente bisogna sostenere che questa funzione non esiste perché le attività a cui fa riferimento fanno parte della funzione docente di tutte e tutti e inoltre la definizione di un orario di cattedra per decreto contrasta sia con l’autonomia di organizzazione didattica sia con le norme contrattuali. Quindi è sbagliato partecipare a qualsiasi corso di formazione (che legittimerebbe il riconoscimento del tutor) e a maggior ragione indicare qualsiasi criterio (anche “all’italiana”, tipo metà classe per uno…) per disciplinare questa funzione. Anche qui però è fondamentale che le colleghe e i colleghi che faranno questa battaglia non si sentano soli. Muoversi fuori per fare loro coraggio e anche per mettere un po’ di sale sulla coda ai dirigenti. In ogni modo, in bicicletta, a piedi, in treno o in gondola…

5) Non bisogna riconoscere le indicazioni nazionali come nuovi programmi. Attualmente esse valgono meno dei programmi vigenti, e quanto altre disposizioni in materia di curricoli: possono essere considerate per l’appunto solo “indicazioni” e dunque essere lasciate cadere nel vuoto. Non è una questione secondaria. Il “combinato” tra indicazioni nazionali e libri di testo potrebbe essere, insieme al tutor, il modo per rendere irreversibile la riforma! Anche qui è importante fare riferimento ai pof e alle norme legislative non abrogate. E intanto ci si batte, si rimanda, si toglie avviamento, potenza ed olio ad ingranaggi che solo fino a qualche mese fa parevano poter funzionare…

6) Occorre scatenare un’offensiva sulle adozioni, fortemente legata ai contenuti delle indicazioni nazionali, per altro criticate e spesso ridicolizzate nei loro aspetti “innovativi”. Qui si possono prevedere scenari che vanno dal blocco, alla campagna per le adozioni alternative, alla conferma delle vecchie edizioni ad altre modalità da inventare…

7) Bisogna contrapporre alla richiesta di piani di studio personalizzati e al portfolio la libertà di insegnamento e la libertà didattica. Questo riguarda ad esempio le modalità della documentazione del lavoro degli alunni e la definizione di adeguate strategie per l’apprendimento che la singola scuola e il team docente mette a punto e che non può essere normato per decreto.

Se ci troviamo d’accordo su questi punti dobbiamo cogliere tutte le opportunità per confrontare i risultati della nostra lotta e mettere costantemente a frutto ogni elemento nuovo che ci viene dall’esperienza.

Sarebbe importante che, cogliendo l’occasione del convegno sul tempo pieno che si terrà alla scuola Fortuzzi di Bologna il 27 e 28 marzo, (nel pomeriggio di domenica ci sarà anche l’incontro nazionale del coordinamento per il tempo pieno) ci si riveda per discutere, estendere e rafforzare strategie comuni.

Mirco Pieralisi
Bologna

p.s. Siamo tutti d’accordo che niente come uno sciopero generale unitario della scuola per la scuola, che non c’è mai stato, è giusto e necessario. Se non riusciremo ad ottenerlo pensiamo ad una grande manifestazione nazionale che parta dalle tante e più diverse realtà di scuola, a cui possono aderire sindacati e partiti. Partire dal basso (non per replicare ma per fare anche molto di più del 17 gennaio) non è una questione ideologica. E’ anche l’unico modo trasversale per cui una iniziativa nazionale sulla scuola non possa essere letta o vissuta , da amici ed avversari, esclusivamente all’interno delle scadenze elettorali di giugno.

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Emanuela    - 28-03-2004
"Pensandoci bene mi è venuto in mente che potrebbe risultare un quesito da porre e fin’anche opporre in qualsiasi famiglia, scuola e quindi società", afferma Vincenzo, che più avanti parla di "modelli" e di "quest’epoca frammentata e dilacerata".
Tocca a noi, abbiamo pensato il giorno dopo, ragionando sul difficile problema della laicità.
In qualche modo una riflessione sul significato e sul ruolo della religione, in ogni sua forma, dentro una società laica e multietnica , può aiutarci a capire quali siano i modi migliori per una convivenza equilibrata, in cui ci sia spazio per il singolo ma rispetto per l'insieme democratico che vogliamo costruire.
Personalmente condivido la volontà di "contrapporsi con autorevolezza a ogni ideologia ipocrita, interessata a mascherare colpe, oppure miopie insensibili alle ragioni stesse della vita", ma la costruisco dal basso e mi pare che i passaggi diventino più semplici, più immediatamente riconoscibili da tutti. E me ne assumo le responsabilità.
Non ho bisogno e non credo la società abbia bisogno di filtri che si frappongono tra l'esperienza umana del limite e il desiderio di felicità (che in soldoni è l'orizzonte finale di tutti i nosrti sforzi, comunque la giriamo): e non lo credo soprattutto quando questi filtri diventano poi barriere o nuove bandiere.
Su questo sarebbe bello confrontarsi, come singoli e come educatori, su questa necessità di assoluti che alla fine paradossalmente fagocitano e mettono a rischio lo stesso vivere comune.