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I buoni propositi del Veneto sulla Formazione Professionale
Rolando Borzetti - 10-03-2004
Per migliorare la condizione delle persone disabili, in termini di promozione dei diritti e nella prospettiva dell'integrazione sociale, è necessario partire dalla si­tuazione oggettiva. Migliorare significa potenziare quello che c'è di positivo e ridurre per altro verso i li­miti e gli aspetti negativi.

La mancanza di un censimento

Un aspetto pregiudiziale poco favorevole che col­pisce, d'immediato, chi si accosta al mondo della disa­bilità è che nel nostro paese non esistono né un cen­simento né stime serie sul numero delle persone disa­bili che vivono in Italia. Lo mette in evidenza Cittadini invisibili. Rapporto 2002 su esclusione sociale e diritti di cittadinanza, pubblicato dalla Fondazione Zancan e dalla Caritas Italiana .

Le statistiche dell'lstat si riferiscono alle persone disabili dai 6 anni in su; escludono quindi i bambini di­sabili da O a 5 anni - giacché le rilevazioni partono dall'inserimento nelle scuole - ed escludono le persone che vivono in strutture collettive. Esse parlano di 2.615.000 persone invalide. I tassi percentuali sono quindi di circa 5 persone disabili ogni 100 cittadini. Ogni anno nascono nelle famiglie italiane 2 mila bam­bini disabili. Non sono numeri trascurabili ed è auspi­cabile che nel corso dell'anno si trovino le strade per colmare questa carenza conoscitiva.

Un orientamento legislativo tra i più aperti all’integrazione

Al di là di questo particolare, si deve riconoscere che il nostro paese vanta sul piano legislativo un orientamento che è tra i più aperti.
Esso è frutto di una maturazione culturale svilup­pata negli ultimi trent'anni e orientata a «tutelare le persone disabili nel rispetto del contesto naturale: la fa­miglia, la scuola, il lavoro, l'economia, la città: in gene­re ci si è preoccupati di mantenere le persone nel­l'ambito sociale dove erano nate e cresciute. Si è cerca­to di impedire la segregazione in spazi speciali. E anche quando non era possibile mantenere l'ambiente d'ori­gine, si è scelto sempre di ricreare ambienti vicini al modello familiare, dove ognuno si sentisse protagoni­sta di se stesso e delle proprie idealità».
È questo un patrimonio che ha caratterizzato le politiche sociali fino a questo momento e che dob­biamo gelosamente conservare, contro ogni tentazione di inversione di tendenza, suggerita da motivi econo­mici.
Ma quando dal quadro degli orientamenti ideali e anche da quello legislativo si cala nel vissuto, ci si scontra con una situazione meno rosea.

Insufficientemente occupati

Nell' ambito occupazionale, nonostante l'esistenza di leggi sul collocamento obbligatorio (legge n. 482 del 1968, legge n. 68 del 1999), secondo i dati esposti nel si­to del Ministero Affari sociali i disabili occupati sono il 21 per cento delle persone in età lavorativa, contro il 47 per cento della media dell'Unione Europea. Non si tratta di elargire posti come un'elemosina. Il lavoro oltre ad essere, come per tutti, fonte di sostentamento, valorizzazione della personali­tà, emancipazione dalla dipendenza, costituisce, dopo la scuola, la prevalente opportunità di inserimento so­ciale. A Roma, a Reggio Calabria e in altre città opera­no ristoranti e pizzerie dove lavorano disabili psichici che non hanno nulla da invidiare ad altri locali.

Rischi nel campo dell’istruzione

Analogamente poco incoraggiante risulta essere l'ambito dell'istruzione che, come è noto, costituisce un passaggio strategico per l'integrazione sociale. L'inseri­mento di alcuni disabili nelle scuole «normali» è pie­namente riconosciuto dalla legge. Ciò nonostante si possono registrare alcuni dati preoccupanti. Anzitutto, se si osservano le classi di età più avanzate, la percen­tuale delle persone disabili senza alcun titolo di studio è del 32,6 per cento, contro il 5,2 per cento delle per­sone sane. Inoltre, nonostante la legge 104/1992, che aveva abrogato le cosiddette scuole «speciali» per soli handicappati, esse qua e là continuano ad esistere, e anzi si rileva una certa tendenza a incoraggiarle, evi­dentemente per ragioni di costi. Infine, preoccupa il fatto che la legge finanziaria del 2003 - l'anno del disa­bile! - ha tagliato il numero degli insegnanti di soste­gno, che già erano insufficienti.




I buoni propositi del Veneto sulla Formazione Professionale






La riforma Moratti vieta la Formazione Professionale per i disabili





La circolare della Giunta regionale del Veneto




Con la presente si informa che in data 11.12.2003 è intervenuta la sottoscrizione di un accordo tra la Regione Veneto e la Direzione Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto per la realizzazione dall’anno scolastico 2003/2004 di un’offerta formativa integrata e sperimentale di istruzione e formazione professionale, allo scopo di consentire il conseguimento del diploma di scuola secondaria di primo grado e la prosecuzione degli studi anche in percorsi di istruzione e formazione professionale, nonché il riconoscimento di crediti valido ai fini di ogni successivo percorso.

Pertanto a conferma di quanto anticipato con nota regionale prot. N. 51919/43.01.10 del 31.10.2003 si precisa che i giovani soggetti al diritto dovere all’istruzione formazione e privi della licenza di media, che al 17.4.2003, data di entrata in vigore della L. 53/2003, non avessero già maturato entrambi i requisiti previsti dall’art. 1 D.P.R. 323/99 per il proscioglimento dalla scuola dell’obbligo (dimostrare al compimento del quindicesimo anno di età di avere frequentato e concluso almeno nove anni di scuola dell’obbligo) dovranno essere iscritti ai Centri Territoriali Permanenti per l’Educazione degli adulti per il conseguimento della licenza di scuola secondaria di primo grado.

Per tali allievi gli organismi formativi potranno attivare – sulla base di accordi con i Centri Territoriali Permanenti e senza oneri a carico dell’Amministrazione Regionale – appositi progetti integrati per l’eventuale conseguimento, in concomitanza con la licenza media, di crediti formativi spendibili a partire dall’a.f. 2004/2005 per l’ammissione alle seconde annualità dei percorsi di formazione professionale di durata triennale.

Si precisa infine che il conseguimento della licenza media rimane condizione necessaria e inderogabile per l’accesso al sistema di formazione e che conseguentemente l’eventuale inserimento degli allievi interessati dai suddetti progetti in interventi formativi attivati presso i centri di formazione professionale non rivestirà alcuna rilevanza ai fini del raggiungimento del numero minimo di allievi richiesto per l’avvio e la conclusione dei corsi e/o ai fini rendicontali.

Per garantire chiarezza documentale e omogeneità nella procedura di inserimento si precisa che gli allievi non rendicontabili dovranno: - non essere inclusi né conteggiati nell’elenco allievi definitivo, ma venire elencati esclusivamente in una nota a parte, indirizzata alla scrivente struttura; - essere registrati sull’autonomo registro. A scelta dell’Ente gli utenti in questione potranno essere registrati nel registro di classe, purché elencati in ordine alfabetico di seguito agli allievi (ed uditori per i corsi FSE) effettivi e contrassegnati della nota “allievo non rendicontabile” scritta a fianco al nominativo.

A disposizione per ogni eventuale informazione o chiarimento si porgono distinti saluti.







Servizio Piani Formativi e Formazione integrata Ufficio Attuazione Piani Formativi A.Giovanni Tel. 041 2795032 – 5071 Fax 041/2795085 E mail: teresa.rota@regione.veneto
Ufficio Gestione FSE Tel 041 2795098 – 5066 -5028 -5120 Fax 041/2795028 E mail. Vanda.togni@regione.veneto

Direzione Regionale Formazione Via G.Allegri 29 – Mestre tel 041/2795029-30 Fax 041/2795085



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 Rolando Alberto Borzetti    - 05-04-2004
Dall’ ASSOCIAZIONE LA NOSTRA FAMIGLIA quanto ricevuto dal Sen. GianPiero Favaro della Commissione Istruzione del Senato alla sua interrogazione parlamentare.

La risposta del Ministero Istruzione Università e Ricerca, all’interrogazione del Senatore, farà cambiare indirizzo alle Regioni ?

E' augurabile di sì.


Leggi l’ interrogazione e la risposta