Caro direttore, mi piacerebbe che "Liberazione" pubblicasse questa mia lettera aperta alla ministra dell'Istruzione, Letizia Moratti.
«Signora ministra, ricorda? Un tempo non troppo lontano, un uomo, un certo don Lorenzo Milani, che non dovrebbe esserLe sconosciuto, dato il ministero di cui si occupa, scrisse una lettera ad una professoressa. Quella lettera che parlava dei bambini, degli adolescenti, da non dimenticare, da considerare insieme al profitto scolastico, al rendimento e ad altre questioni che Le sono a cuore, quali il problema degli alunni che la scuola perde, sono una parte integrante e irrinunciabile del nostro capire e agire l'insegnamento. Oggi le voglio raccontare una storia, anche se non sono don Lorenzo Milani.
Sono una maestra e proprio in questi giorni mi hanno telefonato per dirmi che un ragazzino di diciassette anni è morto, dopo aver annunciato alla madre di avere sonno e di voler andare a letto. Io, cara Letizia, avevo letto la notizia sulla cronaca locale, condita con le solite e vaghe supposizioni e avevo pensato, mi dispiace, mamma mia che cosa tremenda morire a diciassette anni, che dolore per quella madre. Ma poi, quando quella telefonata mi ha informata su chi fosse quel ragazzo morto, sono crollata. Quel ragazzo, è stato un mio alunno per cinque anni. Non è vero che gli alunni che si lasciano sono in fondo un nome e cognome. E' vero invece che di quel bambino, ricordo tutto. I suoi occhi chiari, la frangetta bionda, il suo sorriso tenero. Ho cercato di aiutare la madre nella sua difficile situazione familiare. Lui è sempre stato affettuoso, coccolone, e quando sbagliava un compito, mi dava tanti bacetti e mi diceva che ero una maestrina buona e cara. Senza la penna sul cappello, s'intende.
In quella classe, cara Letizia, eravamo in diciassette, in un tempo pieno che ancora permetteva di seguire i bambini da vicino, interessandoci di loro, dei loro problemi e cercando di interpretare le difficoltà. Oggi che quel ragazzo è morto, voglio dire che ho esercitato la disobbedienza amministrativa, evitando di segnare sul registro le numerose assenze che lui faceva, a causa della sua difficile situazione familiare. Il mio dirigente scolastico, mi avvertiva che avrei dovuto fermare quel bambino un anno in più a scuola a causa delle assenze. E io ho deciso di non segnarle più, perché sapevo che volevo portarlo alla fine della quinta con i suoi compagni e con le insegnanti che lo amavano e che volevano stargli vicino. Non lo so perché è morto quel bambino. Quel che so è che nei suoi esili diciassette anni di vita, ne ha vissuti cinque con le insegnanti che gli hanno voluto bene, che hanno cercato di entrare, in punta di piedi, nel suo inquieto mondo..
E' poco Letizia? Se questo ragazzino fosse venuto a scuola qualche anno dopo, avrebbe trovato classi di venticinque, ventotto bambini. E i suoi problemi non avrebbero mai trovato ascolto e respiro, perché una classe numerosa vive nell'emergenza. E se c'è tempo per la didattica, la quotidianità, non c'è tempo per capire, per approfondire i destini di bambini e adolescenti che si aspettano di essere considerarti e pensati dal mondo dei grandi, che si aspettano delle risposte che consolidino la loro fiducia nella vita.
Pensaci Letizia e soffermati sulle difficoltà che i bambini vivono sulla loro pelle, date nuove e diversificate realtà familiari, data la complessità che ci riserva il vivere la vita.
Che cosa te ne farai di questa lettera? Non lo so, ti affido un pensiero lucido, anche se offuscato dalla rabbia. Forse quel ragazzino non sarebbe morto, se ci fosse stato più ascolto, anche dopo la scuola elementare. Forse si è perso nel bosco, come Pollicino. Peccato che non si sia trovato il tempo per indicargli la via del ritorno».
Andreina Corso Venezia
Segnalato da
Pierangelo Indolfi