L’appuntamento è per le 14, 15 in Piazzale Corvetto. Avevamo scelto quel punto, di fronte all’edicola, perché ci sembrava sufficientemente ampio e adatto a raccogliere tutti i partecipanti provenienti dalle varie scuole di zona, le quattro Scuole Elementari e le due Medie. Anche quando si prevede una buona partecipazione, però, c’è sempre un po’ di ansia che gonfia il cuore e ti spinge a domandarti se davvero questa volta ce la faremo a farci sentire. Chissà. Intanto, il giorno prima, l’occupazione ci aveva lasciati increduli: con il solito pessimismo della classe insegnante, ci eravamo posti il problema di riempire almeno uno dei due plessi della nostra scuola elementare, prevedendo scarsa partecipazione di genitori e forse anche di colleghi. Abbiamo deciso di darci fiducia, di fidarci del grande sforzo fatto per stabilire una comunicazione capillare con tutti. E così, alle 16,30 la scuola si era riempita all’improvviso di adulti e bambini che lavoravano alacremente per dipingere striscioni, disegnare splendidi cartelli, costruire maracas e altri improvvisati strumenti musicali. Mangiando insieme ciò che avevamo portato a scuola, alcune mamme si guardavano intorno, non capacitandosi, come noi del resto, di tutta la creatività uscita prepotentemente dalle nostre mani unite, e assaporando con gusto quel momento collettivo di partecipazione fra insegnanti, genitori e bambini.
Ora, affrettandomi verso il punto d’incontro, mi rendo conto che il giorno prima è stato fatto un grandissimo passo avanti, non solo nella forma della rivendicazione, ma nella comunicazione fra tutti i soggetti coinvolti in questa protesta: un passo così grande, come forse neppure noi riusciamo a realizzare pienamente.
Arrivo puntuale, ma naturalmente c’è già moltissima gente, cosicché sembro, come al solito, in ritardo. C’è un gran daffare, fra spillette da appuntare, pettorine colorate da indossare sopra i giacconi, maracas da distribuire ai bambini, già desiderosi di fare chiasso e di scendere in metrò.
Arriva un’adolescente, graziosa e con i capelli verdissimi: è la figlia di una collega, e verrà con noi per portare in giro, insieme a molti bambini, il bellissimo Drago costruito dai maestri di via Polesine. Passano amici e vicini di casa, che salutano, si complimentano, ci fanno gli auguri. Da lontano vediamo giungere le mamme della Scuola Elementare di via Ravenna. A questo punto contarci è ormai impossibile e decidiamo di partire. Avviandoci verso le scale del metrò, lasciamo una “scia” di Valentini, biglietti con frasi anti - riforma, che segneranno tutto il nostro percorso.
Per attaccarne un paio mi attardo, e proprio mentre sto per scendere anch’io, una signora di colore mi ferma e mi chiede in un italiano un po’ difficoltoso: “
Cosa cambierà nella scuola?” Domanda da un milione di dollari! La guardo un po’ attonita, e le rispondo: “
Cambieranno molte cose, gli insegnanti non lavoreranno più nello stesso modo e molti perderanno il posto. E anche per i bambini stranieri diventerà più difficile imparare, probabilmente” La saluto calorosamente, mentre fuggo giù per le scale e raggiungo la splendida gazzarra che, fra acquisti di biglietti e bambini che suonano trombette e maracas, rende per un giorno la nostra Linea Tre un luogo surreale dove sembra si festeggi uno stranissimo Carnevale. La banchina d’attesa è stretta: arriva il treno e cerchiamo di infilarci in alcuni scompartimenti di testa, un po’ più vuoti. I passeggeri seduti sorridono e guardano con benevolenza, soprattutto i bambini. Chiacchierando arriva presto il momento di scendere per cambiare linea. Lì ci rendiamo conto che…abbiamo perso il Drago! Certamente non sono riusciti a prendere il nostro stesso treno, perciò decidiamo di aspettarli lì. Il chiasso è indescrivibile, ma festoso e allegro. Cominciano a risuonare gli slogan ed ecco….ecco crearsi una tensione, impalpabile, prima, ma a poco a poco più forte e contagiante. E’ un’emozione potente, che si fa sentire fortissima ed esplode quando arriva il treno e vediamo il Drago avvicinarsi alle porte: un urlo esce dalle gole di tutti, mentre ci abbracciamo e felici ci avviamo all’altra linea. Qui di nuovo una grande emozione quando, salendo, ci troviamo di fronte a colleghi, bambini e genitori completamente sconosciuti, ma abbigliati in modo inequivocabile: la complicità che si crea in queste particolari situazioni, la comune condivisione di ideali e lotte fa sentire subito ciascuno parte di un tutto, rende facile e immediata la comunicazione e la simpatia. Uscendo dal metrò, la grandissima varietà di cartelloni, slogan, disegni e scritte è incredibile. Uno striscione sovrastato dalle sagome di tre asinelli è buffissimo, e, tenuto ben alto, simboleggia la futura qualità dei risultati della Riforma. Un altro raffigura due maestre, con tanto di nome, e la bimba che le ha disegnate scrive che ha intenzione di tenersele per i futuri anni scolastici a venire. Chiacchiere, discorsi seri e meno seri, sorrisi, si intrecciano in un’atmosfera serena, ma determinata. Bambini e adulti mostrano sorpresa e felicità, e sembrano avvolti in un clima di festosa solidarietà, ben lontano dalla temuta atmosfera di rancoroso scontro, tanto paventato dal nostro attuale governo! Ad un certo punto veniamo fermati: le macchine premono per passare, e con stupore realizziamo che in Corso Venezia non è stata prevista nessuna deviazione del traffico!
Credevano forse che saremmo stati in quattro gatti? pensiamo tutti. La polizia contratta un po’ col nostro inesistente servizio d’ordine, poi ci danno via libera, ma siamo tanti, tantissimi: ormai non vedo più né la testa, né la coda del corteo. Il percorso è lungo, via Manzoni, piazza Scala, e gli striscioni da reggere cominciano a pesare, così ci si dà il turno. C’è un gruppetto di mamme che vorrebbe staccarsi dal corteo per bere un caffè al volo in un bar, ma un’altra le redarguisce severamente, incitandole a tirar dritto … Quando alla fine arriviamo in piazza Duomo, ci rendiamo conto che tante scuole stanno già sgombrando il campo, per fare spazio a noi che arriviamo. Eppure la piazza rimane colma. Nel caos incredibile non sono riuscita a salutare nessun collega di altre scuole che sapevo essere lì, cosa che invece mi è sempre riuscita in altre occasioni. Anche questo mi dà la misura della grande, inattesa partecipazione. Moltissimi, e si vedeva, manifestavano forse per la prima volta nella loro vita. Un papà della mia classe mi ha detto, sorridendo ironicamente: “
Non mi ero mai trovato da ragazzo in situazioni di protesta, e, guarda un po’, mia figlia occupa la scuola e va in corteo a 7 anni…Cosa farà a 14?...”
Qui, in questa situazione così emblematica, ci si rende conto di come sarebbe assurdo pensare di tenere i nostri figli lontani dalle manifestazioni del dissenso, che sono tipiche di chi prende posizione nel mondo. E’ con questi pensieri, e con altri, quindi, che alla fine, quasi a malincuore, ci lasciamo tutti e torniamo a casa. Ci domandiamo quale sarà l’eco di tutto ciò, e soprattutto se abbiamo posto delle vere basi per poter continuare a lottare insieme, uniti ai genitori. Leggendo le scritte di striscioni e pettorine, così variegate e creative, si intuisce che la manifestazione è nata proprio da una puntigliosa documentazione, non certo dalla disinformazione. Al contrario di ciò che pensa la signora Aprea, dall’ignoranza non nasce la mobilitazione, ma solo la più tetra indifferenza, il più bieco immobilismo, la paralisi del giudizio, la fine della libertà come partecipazione.
Roberta Vianello,
insegnante della Scuola Elementare di via Vallarsa, Milano
Emanuela - 19-02-2004
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Fantastica Roby: grazie per questo tuffo nell'entusiasmo che mi hai fatto fare. Un entusiasmo che è tuo, e che sa andare oltre le fatiche e le mille incomprensioni che ogni azione comporta, per mirare dritto allo scopo: una scuola che valga la pena.
Un grazie a Milano. |