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Pantani
Giuseppe Aragno - 16-02-2004

Morto Pantani, hai letto? Il ciclista che sui monti trovava la pedalata lunga e armoniosa e se ne andava in cielo. Il cielo l'ha accolto, per l'ultimo volo? Vorrei che fosse così, io che al cielo non credo, vorrei che qualcuno ora lo tenesse stretto al petto e gli dicesse: vedi? non sei più solo.
Non l'ho amato, per quel filtro che la stampa mette tra me ed i personaggi diventati d'improvviso noti, non l'ho amato. L'ho rispettato con affetto, e gli sono stato grato per i sogni che mi fece sognare in un anno terribile della mia vita, quando ne odiavo il nomignolo, il body troppo giallo, il biondo troppo biondo, ma mi incantava - e mi aiutava a sopravvivere, con quelle sue salite da aviatore, con gli strappi sui monti, la fatica sul volto. E non sapevo, allora, non potevo sapere, che la sorte - o egli stesso, ma a che serve saperlo? - preparava per lui un eguale e terribile sentiero. Si è levato anche davanti ai suoi occhi uno spettro terrificante, è venuta anche per lui la lotta disperata che non consente vittoria. La solitudine lo ha atteso al varco e si è fatta paura, panico, terrore. Io non so volare sui monti e non faccio strappi in salita. Io non potevo aiutarlo. Potevo rammentarnene ogni tanto e auguragli buona fortuna. Giorni fa, parlandone con i miei alunni a proposito di droga e sport, gare e valori - discorsi premonitori - dissi che mi ricordava il mio Diego, amico di Fidel, e lo rispettavo.
La depressione l'ha devastato e le pillole hanno saputo dargli la pace più feroce.
E' questo lo sport del nostro tempo malato.
Un ricordo con l'animo in tumulto. Per lui. Il mio amico ciclista che mi ha regalato un sorriso.
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 Gianni Mereghetti    - 16-02-2004
Carissimo Marco,

hai scritto che “a volte chiudiamo gli occhi perché la realtà non ci piace” e forse non immaginavi che questo potesse diventare così presto il tuo destino. Hai anche affermato di voler continuare a scrivere quel capitolo del tuo libro che avevi lasciato in sospeso, ma ora lo stai scrivendo in una forma che a noi rimarrà per qualche tempo misteriosa. Tu più di tanti hai percepito e vissuto il dramma della vita, la coscienza che nulla di quanto si raggiunge risponde al desiderio che si porta nel cuore. Per questo hai potuto dire, scandalizzando prima il tuo mondo, poi gli uomini d’oggi, che la vittoria del Giro e del Tour, un’impresa che ti ha fatto grande come pochi, si accompagnava ad una solitudine profonda. E di questa solitudine hai sperimentato l’amarezza, quando il tuo mondo, quello dei giornali, quello delle persone perbene ti ha sbrigativamente e ingiustamente condannato.

Carissimo Marco, io oggi ti chiedo perdono, perché se è potuto succedere che tra la vittoria e la vita potesse aprirsi un varco in cui perdersi è perché noi ti abbiamo lasciato solo.

Prego così il Signore misericordioso perché ti abbracci togliendoti dalla solitudine e portandoti sulle salite del Suo Paradiso dove tu possa terminare di scrivere quello che hai lasciato in sospeso.

E mentre sei lassù, dove l’amicizia domina l’istante, mendica il Volto buono del Mistero per ciascuno di noi, così che non accada più che un uomo possa perdersi nel vuoto della solitudine.

Grazie Marco per le tue imprese, segno che la vita è un’avventura più grande di come finisce. Grazie.


 Vincenzo Andraous    - 16-02-2004
Caro Marco,
ti volevo bene ieri arrampicato alle montagne, te ne voglio oggi disteso sulle tue miserie che sono quelle che non si dicono.
Ti voglio bene a dispetto dei soliti processi, delle molteplici accuse mascherate da assoluzioni a buon mercato, delle giustificazioni intriganti tutte spese in fretta per non inciampare in una bicicletta svenduta per una sorta di malcelato disinteresse.
Caro Marco, il popolo è con te, la solita Gggggente sta al tuo fianco, muori tranquillo, perché non sei più solo, come lo sei stato fino a un momento prima dell’ultimo respiro.
Penso a te come al campione che non sono mai stato, penso a te come agli eroi che incontro sulla mia strada, sì, grandi uomini, tutti da scoprire, in cui credere, per non dovere accettare eredità e fardelli insopportabili.
Penso a te senza la televisione a farmi da conduttore, con poche parole giuridiche alle spalle, con il dolore che hai attraversato per intero; nonostante i ruggiti ed i sorrisi regalati a piene mani.
Penso a te e alle tue salite, alla fatica che non ti ha mai fatto indietreggiare, così riesco persino a pensare alla mia storia, preferendo i vicoli ciechi che non hanno portato niente di buono.
Caro amico, penso a te come a un amore che finisce e non c’è giustizia per un’eccellenza andata al macero, perché sei davvero amore che nella sua assenza, ti piega da un lato, lasciando l’altro scoperto al colpo che verrà, e ora non ci saranno inutili commiserazioni a sollevarne il capo chino.
Penso a te, come a un amore che resta in disparte, che va a morire e si confessa da sé, dipanando nebbie e maschere assunte, dove la mente ostinata ritorna ai solchi incontrati e qualche volta malamente aggiunti, eppure valicati con la fronte in alto.
L’amore non finisce qui amico mio, nonostante i pensieri divengano pesanti come fusti di quercia corrosi dai rimpianti per le tante cose dette in fretta e mai del tutto soppesate.
Nonostante i momenti trascorsi diventano pagine di un libro letto dieci, cento, mille volte, ma volgendo l’ultima pagina, poco prima della sua fine, ti accorgi sbigottito delle righe scritte in una lingua incomprensibile.
Tu sei stato amore assalito e amore assalitore, amore che non concede tregua, amore che c’è, anche quando sei inchiodato alla sua assenza, con elmo e lancia piegato dal vento dei ricordi.
Sei un amore a cui le parole restano incapaci di addomesticarne il senso per quell’ala spezzata che non potrà più tracciare alcuna scia luminosa.
Caro Marco sei davvero amore che è sparo di diritto, mai taglio alle spalle, amore che non è una fotografia impolverata dove i deserti scoperti insieme si ripresentano inaspettatamente con la pena bieca dell’ultimo miserabile.
Sei amore forte e profondo perfino quando sfinisci e non ci sono altri tempi, altri momenti, altri spazi da definire meglio, e neppure assonanze da trasformare in vicinanze.
Sei così amore che l’unica prossimità è l’inferno, adesso.
Ma forse ieri con i suoi amori non è migliore di oggi.
Amico mio, la speranza è che era meglio domani.

 grandecuore    - 17-02-2004
Un giovane è morto per colpa di una società che sta diventando maledettamente troppo stretta per tutti, specialmente per i giovani, pieni di speranze, di sogni e poi...., di buchi neri, di vuoto e di solituidine.
La morte di questo ragazzo-ciclista è un po' la morte di noi adulti che non siamo più in grado di proporre loro nulla se non l'arroganza, la malsana competizione, la smisurata voglia di possedere sempre più soldi, il successo e l'apparire "grandi".
Io credente, penso che questi giovani vivano in un altro paradiso, vicini a chi non chiede loro alcuna referenza o curriculum vitae ricco di successi personali.

 Paola Martinelli    - 22-02-2004
Marco Pantani ha raggiunto un altro traguardo, l'ultima vittoria sul mistero della vita, della sua vita. Ci ha salutato in silenzio, ha rinunciato alla nostra indifferenza e ha scelto di scuotere le nostre coscienze. Il suo silenzio ci racconta la sua storia e la storia dei possibili eroi quotidiani che rinunciano o continuano, ognuno a modo proprio.
Abbraccio questo eroe solitario in cerca di amicizia, spero che il nostro affetto e il nostro calore possano avvolgerlo e riscaldarlo e fargli rinascere la voglia di continuare a vivere lassù dove è arrivato, in cima al mondo, in quel cielo che tanto ha rincorso. L'ultima vetta.
Ciao Pantani