La scuola che vogliamo
Fiammetta Colapaoli - 10-02-2004
L’indagine dell’ISTAT, recentemente pubblicata in due volumi, sui percorsi di studio e lavoro dei diplomati di scuola superiore nel 1998, offre non pochi spunti di analisi per una seria discussione su quali sono gli obiettivi che una riforma della scuola deve perseguire.

Il dibattito per una piattaforma comune per la scuola di qualità, dopo l’avvio, nel 2002, al Social Forum di Firenze, è proseguito a Parigi e ulteriori spunti di riflessione arrivano dal documento di Ecole “ Per una scuola europea non eurocentrica”.

Ed è ovvio che coloro che si oppongono, oggi, alle politiche della Moratti guardino con speranza alle proposte dell’Ulivo e di coloro che vogliono creare le premesse per un’alternativa di governo.

Il nuovo patto tra scuola, Regioni ed Enti, pur con qualche spunto positivo, merita degli approfondimenti perché nel delineare “La Scuola che vogliamo” vi è il rischio che in chiave di collaborazione e decentramento, la scuola finisca per delegare ad altri compiti che costituzionalmente le sono attribuiti.

E nello specifico, il tasso di dispersione nella scuola media e nella scuola superiore, va affrontato diminuendo il tempo scuola o rifondando i curricoli sulla base di una didattica non parcellizzata? E ancora, si può affidare il compito di diminuire la mortalità scolastica ad altri, terzo settore, associazionismo, enti locali?

Per aumentare il tasso di scolarizzazione occorre generalizzare e rendere gradualmente obbligatoria la frequenza della scuola dell’infanzia, in chiave di prevenzione, o separare i percorsi liceali da quelli dell’istruzione professionale?
La riforma dei saperi e conseguentemente dei curricoli deve partire dalla scuola di base o deve contemporaneamente riguardare anche l’università?

L’autonomia diventata, non sappiamo se in modo duraturo, costituzionale, è finalizzata al risparmio e all’arte dell’arrangiarsi di ogni singola scuola o va inquadrata in un contesto che implica la messa a disposizione di maggiori risorse?

E ancora, per affermare la cultura della continuità didattica è sufficiente generalizzare gli istituti comprensivi o partire di nuovo dalla riforma dei saperi non più parcellizzati e settoriali?

Gli interrogativi su cui riflettere, le analisi, le indagini statistiche, non sono più sufficienti, occorre il coraggio di affrontare, senza reticenze, una discussione vera su quella piattaforma che le forze del centro sinistra intendono proporre ai lavoratori della scuola, alle famiglie, agli studenti.

Negli ultimi mesi, l’approvazione della Legge delega n.53 e il varo del primo decreto attuativo, hanno portato il mondo della scuola ad esprimere il proprio dissenso con una diffusa cultura del NO.
E’ tempo, se non si vogliono correre i rischi della passata legislatura, che la scuola provi a misurarsi, senza deleghe, su una proposta che sappia far tesoro del lungo e, a volte, lacerante dibattito che ha riguardato più l’ingegneria dei percorsi scolastici, che non i suoi fondamenti e suoi fini.

Dagli interrogativi sui quali è indispensabile, tuttavia, riflettere e, se possibile, trovare condivisione, occorre, passare ai punti programmatici della Scuola che vogliamo.

  • Aumento graduale della quota di PIL destinato all’istruzione, fino ad arrivare al 7%, come posto al Forum di Parigi.

  • Il sistema scolastico in Italia deve rimanere nazionale e rispettare il mandato degli articoli 3 e 33 della Costituzione.

  • Innalzamento dell’obbligo scolastico a sedici anni.

  • Possibilità per le istituzioni scolastiche autonome di predisporre, nel biennio iniziale e per la quota del 15% del curriculum, secondo previsto dal DPR 275, dei percorsi integrati.

  • Ancorare la ridefinizione dei curricoli alla rifondazione dei saperi in una logica che leghi le singole discipline al bisogno degli allievi di fondare gli apprendimenti su visioni globali e non settoriali.

  • I saperi, che non possono prescindere dal saper fare e dal saper essere, devono essere volti all’acquisizione dei valori della partecipazione e dell’inclusione ed essere fondati su una concezione multiculturale della società, nel rispetto dei valori di ciascuno.

  • Riconoscimento per gli studenti del diritto all’accesso, alla partecipazione nei processi decisionali e alla pari dignità.

  • Tra gli obiettivi primari dell’istruzione, a partire dalla scuola di base, va posto l’orientamento, inteso come sviluppo della consapevolezza del sé, delle proprie aspettative e potenzialità.

  • Pieno riconoscimento del diritto alla formazione per tutto l’arco della vita.

  • Attraverso la condivisione di progetti, volti ad arricchire l’offerta formativa, vanno implementati i raccordi con le Università, i Musei, le Associazioni culturali, sportive e di volontariato.

  • Le istituzioni scolastiche autonome, attraverso l’istituzione di reti di scuole, possono fornire agli studenti, opportunità organizzate per l’arricchimento delle proprie conoscenze e per la gestione del tempo libero.

  • Valorizzazione e implementazione delle politiche connesse all’integrazione dei disabili.

Può essere questa un’utile base di discussione?

Abbiamo aperto a questo scopo un nuovo forum nel sito dell'Associazione Proteo Fare Sapere per chiunque sia interessato a confrontare idee e proposte per "La scuola che vogliamo"


Fiammetta Colapaoli
presidente Proteo Fare Sapere Emilia Romagna


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 Grazia Perrone    - 10-02-2004
Sarà, forse, per caso ma - da questa "analisi" - è totalmente assente la dimensione docente.

Una "lacuna" grave ... per un'Associazione culturale di docenti e che denota la pervicacia nel perseguire il medesimo disegno velleitario e confusionale della scorsa legislatura basato sulla superficialità analitica, sull'impreparazione, sul vuoto pedagogico e sulla totale indifferenza per gli aspetti sostanziali della prassi didattica.

A questo aggiungo l'azione congiunta del sindacalismo confederale che - unitamente ai "poteri forti" e a tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi 14 anni - ha fatto sì che - contratto dopo contratto, accordo dopo accordo - la professione docente subisse la più mortificante e totale "impiegatizzazione" mai riscontrata in alcun paese civile.

E' grazie a simili "analisi" sociologiche e politiche che la professione docente italiana ha perso (forse per sempre) quel profilo intellettuale e deontologico che ne dovrebbe costituire il ruolo e la funzione sociale.

Che tristezza ...


 Angela Salvati    - 10-02-2004
Il tema della scuola che vogliamo non può essere disgiunto da una riflessione seria sulla professione docente, e fin qui Grazia Perrone ha ragione, leggendo però il testo completo dell'articolo "La scuola che vogliamo"- rintracciabile sul sito di Proteo Fare Sapere - si può evincere che é questa la conclusione a cui arriva anche l'autrice che, alla fine del suo articolo, cita il rapporto Eurispes in cui si afferma che per migliorare la scuola italiana bisogna partire dal corpo docente e "Restituire alla funzione docente il ruolo e il prestigio sociale che ha sempre avuto in tutte le società tecnologicamente ed economicamente più avanzate".
Credo che oggi più che mai occorra evitare le polemiche ed entrare nel merito dei problemi, a meno che non si voglia, ancora una volta, che gli insegnanti, coloro che fanno scuola, siano estromessi dal dibattito.
Ci sono le forze per resistere oggi e iniziare al contempo una riflessione sulla scuola che vogliamo?

 gp    - 11-02-2004
Non sono mai stata “diplomatica” nel senso che (e nella misura in cui) ho sempre detto – senza inutili perifrasi – quello che pensavo senza preoccuparmi di … “piacere” all’interlocutore di turno.

Tanto premesso prendo atto del tuo rilievo in virtù del quale evinco (correggimi se sbaglio) che l’Autrice della nota in oggetto avrebbe “accessoriato” – con un riferimento al rapporto Eurispes pubblicato nel sito Proteo Fare Sapere – il suo intervento con un riferimento alla “restituzione alla funzione docente del ruolo e del prestigio sociale che ha sempre avuto in tutte le società tecnologicamente ed economicamente più avanzate” .

Bene!

Mi verrebbe da chiedere – retoricamente - chi dovrebbe ... "restituire"?.

E cosa avrebbero "perso" - in passato - i docenti italiani rispetto ai colleghi delle società tecnologicamente più avanzate?

Ma non lo faccio.

Mi limito a rilevare – senza alcun intento polemico … te lo assicuro – che nel documento che stiamo discutendo “l’Autrice” non utilizza mai la parola … “docente".

Se non in forma "subordinata" ad una citazione ... appunto!

Perché?