Chiamiamolo Antonio
Dedalus - 29-01-2004
... A PROPOSITO DEL DOCENTE TUTOR...



Il prof. Bertagna, considerato a torto o a ragione il Padre della riforma Moratti, ha ribadito anche recentemente, nel corso di un convegno del CIDI a Milano, che il docente tutor non può e non deve essere inteso come l'insegnante "prevalente" o peggio ancora come un ritorno all'insegnante unico della scuola elementare pre-riforma del 1990. Non è questa, dice Bertagna, la filosofia della Riforma e l'idea di fondo che sta alla base del tutor. Sempre il prof. Bertagna ha voluto sottolineare il fatto che il tutor deve garantire la sua attività di insegnamento (non meno di 18 ore…) su un gruppo di alunni che non necessariamente coincide con la classe. Anzi, Bertagna auspica il superamento dell'"unità-classe" e della sua rigidità, riprodotta negli anni, sostanzialmente, anche dalle esperienze di Tempo Pieno e di organizzazione modulare. Ci piacerebbe, se fosse così, ma così non è. Queste affermazioni ci sembrano infatti quantomeno azzardate e irrealistiche (nel senso che non fanno proprio i conti con la "scuola reale").

Punto primo: se il tutor deve svolgere una pluralità di compiti importanti quali le funzioni di orientamento, guida, accompagnamento, ecc. con particolare attenzione agli alunni seguiti, ne va di conseguenza che il gruppo di alunni in questione deve essere sempre lo stesso (altrimenti, che senso avrebbe? quale possibilità di attuazione pratica?). Si torna quindi inevitabilmente all'unità-classe, vale a dire a quel determinato gruppo di alunni, stabile e ben definito. A questo aggiungiamo il fatto che le classi aperte, i gruppi di alunni (per recupero, attività di laboratorio, ecc.) della stessa classe o di classi diverse sono praticamente possibili - conditio sine qua non - in presenza di più docenti nella stessa fascia oraria (le cosiddette "compresenze" dei docenti del Tempo Pieno o del modulo). Se in queste esperienze, in particolare di T.P., un limite si è registrato semmai è proprio dovuto al fatto che le ore di compresenza sono diminuite rispetto al passato, quando l'orario di lezione dei docenti era di 24 ore e le "contemporaneità" erano attuate pressoché tutti i giorni della settimana.
Ora, questa risorsa delle "compresenze" sarà ancora possibile ? Se i docenti verranno assegnati all'organico di istituto non più in base al sistema sin qui seguito (2 docenti per ogni classe di TP, 3 docenti ogni due classi a modulo) ma in base al "tempo scuola degli alunni" (27, 30, 40 ore), cioè alla "quantità di ore" strettamente necessarie, pare proprio che le compresenze siano destinate a scomparire. Ci auguriamo di essere smentiti.

Punto secondo: se il tutor deve effettuare "un’attività di insegnamento agli alunni non inferiore alle 18 ore settimanali" e le ore di scuola obbligatorie per gli alunni sono 27, ne deriva che questo docente svolgerà necessariamente gli insegnamenti principali, vale a dire le discipline. Infatti, se consideriamo che dalle 27 ore bisogna detrarre 2 ore di religione cattolica, 1 o 2 ore di inglese e 1 o 2 ore di informatica sin dalle prime classi, restano al netto 21-23 ore. Di queste (almeno) 18 sono affidate al docente tutor, vale a dire la parte preponderante dell'orario di lezione. E' chiaro dunque che al tutor spetterà l'insegnamento di italiano, matematica, storia, geografia, ecc. o comunque la quota principale di insegnamento di queste discipline.
Non solo, ma queste ore (parte fondamentale delle 27 ore obbligatorie per tutti) potrebbero essere collocate prevalentemente in orario antimeridiano, con il risultato che il docente tutor tornerebbe ad essere l'"insegnante del mattino" (al pomeriggio finirebbero il resto delle 27 ore, le 3 ore facoltative e il tempo mensa).

D'altra parte, non sta nella natura stessa della scelta del tutor l'elemento di novità, l'"innovazione" che ribalta la situazione esistente? Finora i due docenti del TP o i tre docenti del modulo si suddividevano paritariamente (in termini di orari equamente ripartiti e alternati e di "peso" delle attività didattiche e di insegnamento) gli ambiti disciplinari e/o le educazioni, secondo quanto previsto dai Programmi didattici del 1985. Questo era il team o gruppo docente, paritario, corresponsabile, contitolare delle classi affidate. E' evidente che nel nuovo assetto che si viene a delineare una figura docente emerge e si staglia con particolare rilievo. Non vogliamo chiamarlo (chissà per quale prouderie..) "prevalente" ?
Chiamiamolo Antonio, come direbbe Totò, ma la sostanza non cambia.
Non è ben chiaro, piuttosto, cosa faranno gli altri docenti (su quante classi interverranno, in quali orari, cosa sono di preciso i LARSA, ecc.). E' chiaro invece che questo nuovo modello, applicato alle classi di TP e modulo già avviate determinerà una vera e propria rivoluzione nell'organizzazione didattica, con effetti dirompenti (si interromperanno inevitabilmente continuità didattiche avviate, cambieranno i rapporti con gli alunni e le classi sin qui seguite, gli ambiti disciplinari assegnati, ecc.).

Ora si tratta di capire fino a che punto il modello organizzativo previsto dal decreto legislativo è vincolante, in presenza di un'altra legge, il Regolamento sull'autonomia, D.P.R. n.275/1999, che attribuisce alle istituzioni scolastiche non solo "autonomia didattica" (definizione dei tempi dell'insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività, aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari, ecc.) ma anche "autonomia organizzativa" (impiego dei docenti, modalità organizzative coerenti con il Piano dell'offerta formativa della scuola, ecc.). Il "conflitto di interessi" fra le due norme è evidente.

E si ritorna di nuovo al "nodo degli organici": alle scuole verranno assegnate le risorse professionali necessarie? verranno garantite le "condizioni materiali" per l'attuazione dell'autonomia? Altrimenti, anche l'autonomia scolastica è destinata a rimanere sulla carta, come tante altre norme in questo paese.


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