Giuseppe Aragno - 25-01-2004 |
Qualunque cosa facciano, i lavoratori hanno bisogno di sapere almeno questo: i sindacati sono disposti a rifiutarsi di trattare con la Moratti e con il governo che il ministro rappresenta? Da subito, dico, e senza alcun tipo di eccezione? Su questa base è possibile immaginarsi molteplici ed articolate forme di lotta. Serve però questo impegno sindacale: un taglio nettissimo ed inequivocabile. Vedrà poi la Moratti. |
Monica Battini - 25-01-2004 |
Concordo sostanzialmente con le questioni che poni. Ma aggiungo qualche riflessione. Facendo un bilancio di “cosa non ha funzionato” nella protesta che abbiamo portato avanti, direi che la mancanza d’unità è stato l’elemento più evidente. Ciò ha riguardato, a mio parere, sia i “movimenti di base” che le organizzazioni sindacali. Infatti, pur non essendo certo mancato un diffuso atteggiamento di disinteresse e di delega, non si può negare che ci sia stata mobilitazione. Il problema è che ognuno ha lottato adottando forme vecchie e nuove di protesta all’interno della propria realtà, senza che ciò abbia dato origine ad azioni condivise e concordate a livello nazionale e dunque visibili all’opinione pubblica. Sono state raccolte firme, organizzate conferenze, inviate cartoline ecc. ecc., ma se n’è avuto notizia? Al massimo sul quotidiano locale. Anche i sindacati, pur dichiarandosi tutti contrari alla riforma, non si sono comportati diversamente. Se si esclude la manifestazione del 29 novembre, ciascuno ha agito in autonomia, quasi in concorrenza (vedi raccolta agende Moratti, petizioni per il ritiro del decreto, ecc.). Insomma penso che sia stata la mancanza d’unità a determinare, oltre ad un enorme spreco d’energie, scarsi risultati (dando per scontato il fatto evidente che dall’altra parte c’è qualcuno che non vuole assolutamente sentire). La mia preoccupazione attuale è che, per come stanno andando le cose, si perda unità anche all’interno della categoria. Nel caso in cui adesso s’indicesse uno sciopero generale, o si adottassero altre forme di protesta, cosa farebbero le scuole superiori? A loro interessa dell’anticipo, del tempo pieno, del tutor? Lo dico non in tono polemico, il discorso vale anche al contrario. Questo mio bilancio non vuole essere disfattista, ma al contrario intende trarre dall’esperienza indicazioni su come muoversi in futuro. Dobbiamo stare attenti a non parcellizzare la nostra resistenza. Evitare che ogni istituto agisca singolarmente o che ciascun grado scolastico lotti individualmente per difendere il proprio orticello. Dobbiamo stare uniti, dalla scuola dell’infanzia alle superiori, coinvolgere tutti: insegnanti, personale ata, genitori, studenti. Perché è chiaro, e lo deve essere per tutti, che l’attacco alla scuola è a 360 gradi e non esclude nessuno. E’ qui che entra in gioco il ruolo dei sindacati. Perché se è vero che ”il sindacato siamo noi” e che quindi è troppo comodo dire “ma voi sindacati cosa fate?” è pur vero che, attualmente, solamente i sindacati hanno un’organizzazione tale da poter sostenere, come dici tu “forme di lotta diverse, nuove, articolate, ad alto impatto mediatico e più possibile diffuse nell’intero territorio nazionale”. A mio parere, i movimenti di base, da soli, non riuscirebbero a gestire la complessità di tali azioni. Inoltre, occorre tener presente che il sindacato rappresenta anche una sorta di “garanzia di legalità”. Perché stiamo attenti anche a questo: quanti sarebbero disposti ad mettersi in gioco in prima persona con “iniziative sul filo della discutibilità”? Penso pochi. Concludo con un’idea ingenua, probabilmente irrealizzabile: perché i sindacati dopo tante raccolte di firme, non organizzano insieme una consultazione seria (una sorta di referendum) che permetta a tutta la categoria di esprimersi sulla riforma Moratti? Forse non potrà cambiare le cose, ma almeno così, di fronte ad un NO chiaro e deciso, a dati inconfutabili che dimostrano che il mondo della scuola è contrario alla riforma, la ministra non potrà più dire “abbiamo sentito gli insegnanti ….”! |
Cristina Contri - 25-01-2004 |
Il tema proposto da Francesco Mele, quello di come resistere, della ricerca di possibili forme di disobbedienza civile, lo sento anche io come urgente. Da subito, all’interno dei collegi docenti, si dovrà discutere su come fare la scuola di domani, e non sarà semplice. Perché io credo che non si possa neanche per un minuto pensare di non fare la miglior scuola possibile, perché la scuola di un paese non è un esercizio commerciale, è un contesto politico, e chi ci lavora deve assumersi la responsabilità di operare al meglio, non per il governo, che non è il padrone della scuola, ma per un senso etico e politico che il mestiere di insegnare ha in sè. La proposta di Francesco relativamente all’atteggiamento da tenere rispetto al ruolo del tutor mi convince. Quella proposta, se ben declinata, potrebbe addirittura riassumere, in unico gesto “l’io politico e l’io professionale”. Se con questa proposta il collegio docenti riesce a contrastare l’idea di fondo di questa “riforma”, e cioè che la scuola sia un mucchio di individui, un disomogeneo insieme di singolarità, allora il collegio compie una azione di resistenza. Se il collegio docenti delibera, in modo collettivo, che nessuno è tutor, ma che tutti siamo insegnanti, maestre e maestri, responsabili di un gruppo, non di singoli, il collegio compie obiezione di coscienza. Se facciamo in questo modo, politicamente e professionalmente, diciamo di no a un’idea di scuola che avvalla e promuove una società dove ciascuno corre da solo e, se ha fortuna, forza e denaro arriva primo al successo. Se ogni collegio si rifiuta di decidere chi e perché deve fare il tutor chiedendo a tutti i dirigenti un ordine di servizio, quel collegio si rifiuta di programmare ciò che la consapevolezza e il sapere pedagogico impedisce. E dopo, quando i dirigenti scolastici avranno emesso i loro ordini di servizio, sarebbe un bel segnale se ogni tutor si dichiarasse responsabile di un gruppo, non di un agglomerato di singoli, perché l’educazione e l’apprendimento sono dei processi sociali che avvengono nello scambio con gli altri, nella relazione, dentro il gruppo. A questa forma di disobbedienza io ci sto, e non vedo perché non possa essere una parola d’ordine del sindacato visto che si tratta di una questione che ha molto a che fare con le condizione di lavoro degli insegnanti. Cristina Contri |
S. Indelicato - 25-01-2004 |
La reazione apocalittica e di rigetto totale del decreto mi sembra fuori dalla realtà. Bisogna stare al contenuto del decreto e attenzionare i seguenti elementi di interesse rispetto alla iniziale posizione: - un riferimento importante all'autonomia delle scuole: “in attesa dell'emanazione delle norme regolamentari di cui all'articolo 8 del DPR 275/99, le istituzioni scolastiche, nell'esercizio della propria autonomia didattica ed organizzativa, provvedono ad adeguare la configurazione oraria delle cattedre e dei posti di insegnamento ai nuovi piani di studio allegati al presente decreto”; - l'aver confermato l'organico della scuola primaria. Per quella secondaria di primo grado, l'attuale assetto organico è confermato fino alla “messa a regime”, cioè almeno fino al 2006/2007. La previsione citata attenua di molto le difficoltà organizzative immediate per la programmazione degli organici e delle cattedre per il prossimo anno (e le conseguenti tensioni interne agli istituti). - l'organico di istituto. Se questo significa il ripristino, sia pure in altra forma, dell'organico funzionale allora non possiamo che accoglierla con favore. - la riconfermata previsione del tutor. E' positiva la previsione di una prima differenziazione professionale nel profilo docente, che può costituire l'avvio del superamento nell'attuale condizione di appiattimento. Come pure è da apprezzare l'indicazione della necessità di una sua “specifica formazione”, e l'indicazione delle sue aree di responsabilità (rapporto con le famiglie ed il territorio, funzioni di orientamento rispetto alla scelta delle attività opzionali, tutorato degli allievi, coordinamento delle attività educative e didattiche, relazioni con le famiglie, cura – con l'apporto degli altri docenti – della documentazione del percorso formativo). Affermazioni fatte a caldo quali quelle che in caso di futuro cambio di maggioranza si azzera tutto, non fanno altro che scambiare la scuola per un terreno di scorribande della politica. E perché poi il sindacato dovrebbe occuparsi di tutto e del contrario di tutto. E le forze politiche, il parlamento, le associazioni professionali che ci stanno a fare ? |
Claudio Stentarelli - 26-01-2004 |
Carissimo Francesco, credo che al tuo dilemma gli insegnanti riformatori abbiano già storicamente risposto: l' ”io politico”, che è un medium concettuale che ci aiuta a collocare i confini della nostra dignità professionale e della nostra libertà, comprende ed ingloba l' “io professionale”. Senza la chiara consapevolezza di questa importante verità non sarebbe accaduto proprio nulla nella storia scolastica dell'Italia repubblicana. Anzi; proprio questo dilemma è stato pervicacemente usato come un reiterato ed ossessivo ricatto, come un'arma preventiva nei confronti del cambiamento. Gli insegnanti non possono nemmeno concepire l'intento perverso del far valere i loro diritti, anche quelli sacrosanti, per tramite di un ricatto perpetrato con danno dei loro allievi, danno anche soltanto minimo. Anzi; è vero il contrario: quanto più dominasse un'idea tecnicistica ed autosufficiente della relazione pedagogico-didattica, tanto più recheremmo offesa ai nostri allievi (in una moltitudine di casi il termine dell’obbligo scolastico ad appena 12 anni, la Scuola Media come filtro del vecchio “Avviamento”, l’allievo come cliente di un supermercato, etc... etc...). E’ certo il fatto che gli insegnanti non recheranno danno alcuno ai loro allievi, ma è maggiormente vero che essi – gli insegnanti – non recheranno ai loro allievi un danno ulteriore rispetto a quello, già gravissimo, che una controriforma sciagurata come questa certamente arrecherà loro (Una scuola frantumata, senza qualità alcuna, senza ambizioni, traguardi...). Ma è sul tutor che la questione diviene mortale: il tutor è uno strumento perverso i cui obiettivi sono la stabilizzazione del disordine e di una sorda conflittualità; te la immagini una scuola che, nella migliore delle ipotesi, debba sopportare, di colpo, una gerarchizzazione (quanto meno funzionale) tra docenti a profilo professionale compiuto (i tutor) e docenti privati della responsabilità della programmazione, della relazione scuola – famiglia etc... etc...? Ed i primi effetti già si mostrano, segnalandoci in modo trasparente ed impeccabile che l’intento del decreto è semplicemente maligno: ignorando completamente l’aperto dissenso di una parte consistente – quella storica – del Collegio, alcuni DS hanno fatto pressioni in favore del corso di formazione dei Tutor (ben 9 mila Euro stanziati per ogni scuola?). Il risultato (troppi docenti iscritti) anticipa gli effetti prossimi del decreto: poichè non esistono criteri per filtrare l’accesso al corso (nè il merito, nè la capacità, nè l’esperienza, nè i pregressi) e poichè chi ha cultura e storia professionale ha una invincibile diffidenza nei confronti di una controriforma che ha mobilitato mezzo paese, il risultato è che si sono iscritti al corso i disperati, i supplenti, i precari, gli ultimi; c’era forse un modo più efficace per rendere immediatamente inoffensivi proprio quelli che avendo molto investito nella scuola meglio rappresentavano una opposizione alla controriforma? E’ fin troppo chiaro a tutti (e al ministro in particolare) che una simile bestialità non sarebbe mai passata quando fosse stato rispettato il corpo storico dei docenti (sicuramente non quelli della scuola elementare che, in quanto tali, sono portatori di una specifica cultura didattico – pedagogica). L’obiettivo della smobilitazione ha bisogno, già da subito, di non-maestri, di precari, di disorientati, di “frantumati”, di ricattabili. Non è necessario richiamarsi alla teoria della complessità per intuire che un simile sconquasso potrebbe anche generare un “disastro”: nessun determinismo può attribuire prevedibilità agli esiti di terremoti come quelli che il decreto ha messo in movimento; e infatti non c’è da attendersi una razionalità governativa, proprio perché non è possibile immaginare una razionalità circa eventi non prevedibili e allora ci si dovrà preparare ad una determinazione a governare d’imperio la scuola. La mia disponibilità ad iniziative concrete, immediate ed incisive è totale; nulla è da temere in contingenze come queste più dell’isolamento, della solitudine e della rassegnazione. Abbiamo bisogno di parole d’ordine ed è urgente una mobilitazione in prima persona della Scuola: è confortante l’entusiasmo dei genitori, è insperato l’incremento formidabile delle richieste di iscrizione al tempo pieno, ma non è assolutamente immaginabile poter uscire da questo pantano delegando ad altri un problema che è nostro. Claudio Stentarelli |