SCHEDA SULLA RIFORMA E SULLA CIRCOLARE SULLE ISCRIZIONI
La “riforma” della scuola è nelle sue linee generali una legge, la n. 53 del 2003. Ad essa fanno riferimento i documenti che il Ministero produce, anche se questa certezza è inficiata dalla non ancora avvenuta approvazione dei documenti attuativi, tuttora fermi in Consiglio dei Ministri: e bloccati, sembra, da veti incrociati interni alla maggioranza, condizionata a sua volta dalle lobbies presenti in ogni partito e dal riflesso delle posizioni dei sindacati scuola.
La questione potrebbe apparire solo formale: ma è vero che il Tar del Lazio ha già fermato alcune disposizioni del Ministro sulla sperimentazione, su istanza della Cgil Scuola, perché – in sostanza – “una circolare non può sopravanzare una legge” e le leggi tuttora valide sono quelle precedenti la “riforma” Moratti (in quanto la legge non è ancora “perfetta” se mancano i decreti attuativi).
Il Ministro ha presentato una circolare sulle iscrizioni che risente di questa contraddizione. Da un lato essa dice che “Le iscrizioni vanno fatte secondo la modulistica del precedente anno scolastico”, dall’altro invita a “considerare il nuovo quadro legislativo”. Altri due elementi che complicano il quadro sono l’accordo fra governo ed A.N.C.I. relativamente al mantenimento del tempo pieno nella scuola elementare e del tempo prolungato nella scuola media, la questione economica posta dai cosiddetti “anticipi”, il dettato della legge finanziaria relativo alla scuola e la prossima uscita di una circolare ministeriale sugli organici (anticipata in parte – e in termini critici - dall’Ispettore Ministeriale Raffaele Iosa sull’ultimo numero di “Vita Scolastica”). Infine, sullo sfondo, ci saranno i certi cambiamenti che verranno dalle norme sulla “devolution” laddove attribuiscono poteri esclusivi alle Regioni in materia di scuola.
Prima di entrare nel merito delle iscrizioni, vediamo le grandi linee della riforma. I punti da distruggere sono, nell’organizzazione scolastica, i concetti di pari dignità di tutti gli insegnamenti, uguale peso e quindi collegialità fra gli insegnanti, tempi distesi di apprendimento (considerati – all’ingrosso – pesi ideologici da sessantottini, ed ostacoli ad una conoscenza essenzialmente trasmissiva e non costruita assieme all’alunno). Dico subito che per brevità tralascerò l’aspetto – non secondario – dei programmi.
LA SCUOLA DELL’INFANZIA
La scuola dell’infanzia (ex materna, questo cambio di none è uno dei pochissimi punti positivi) andrà da un minimo di 875 ad un massimo di 1700 ore annue, secondo modelli diversificati in base alla richiesta dei genitori. Oggi la maggioranza delle scuole dell’infanzia italiane funziona su circa 1600 ore annue, 40 a settimana per 40 settimane. I modelli diversificati determineranno l’organico, e si potranno avere nella stessa scuola bambini che fanno dalle 8 alle 12, o fino alle 13, alle 14, alle 16 e così via. Vediamo poi in blocco la questione degli anticipi.
LA SCUOLA ELEMENTARE
La scuola elementare avrà 891 ore annue, più una quota annuale opzionale di 91 ore da destinare ad attività opzionali scelte dalle famiglie, in ambito settimanale 27 ore più altre 3. Inizialmente non era stata prevista la mensa, poi con l’accordo con l’A.N.C.I. essa è rientrata “per un massimo di 10 ore settimanali”, e questo è il trucco che consentirebbe di salvare il tempo pieno di 40 ore settimanali (27 + 3 + 10): non è però chiaro in quale modo la mensa potrà rientrare nell’orario degli insegnanti, salvo che non si ritenga di renderla così tanto opzionale da poter avere solo pochi bambini che mangiano a scuola, seguiti da un insegnante ogni parecchie classi.
Così non si avrebbe più la struttura organizzativa attuale che prevede 4 opzioni:
- modulo di 3 insegnanti su 2 classi (con divisione, in genere, fra insegnamenti linguistici, logico-matematici e scientifici, antropologici, associando in modo diverso le cosiddette “educazioni”, all’immagine, al suono, motoria); questo modulo consente di avere abbastanza spazi di contemporaneità oraria (“compresenza”) per svolgere laboratori ed attività individualizzate; il suo “costo” è di un insegnante ogni 1,5 classi.
- Modulo di 4 insegnanti su 3 classi, con meno (anzi quasi nulla) contemporaneità oraria e con un insegnante ogni 1,33 classi.
- Moduli diversamente strutturati per scuole piccole, con meno personale, dove l’esiguità delle classi rende poco necessaria la contemporaneità oraria (questa soluzione ha salvato negli anni molti “microplessi”).
- Tempo pieno con due insegnanti per ogni classe, che la riforma del 1989 ha “fermato” al numero esistente in quell’anno: se ne possono fare di nuove solo se in provincia ne spariscono di vecchie. Per molti anni il tp ha rappresentato circa il 15% delle classi, ma il 20% degli alunni, in quanto mediamente esse erano più numerose delle classi a modulo e concentrate nelle grandi aree urbane. Esso aveva in passato una forte valenza di modernità didattica (“scuola del fare”, laboratori, spesso la biblioteca alternativa a sostituire il libro di testo); negli ultimi anni ha acquisito un significato più “sociale” non tanto nel senso del sostegno a situazioni di disagio (un dato – peraltro – che si è mantenuto nel tempo) quanto di supporto alle madri che lavorano. Oggi i tempi pieni sono il 22 % con il 26% dei bambini.
Tutte e quattro queste soluzioni prevedono condivisione nel team docente della programmazione didattica, che si concretizza in due ore settimanali di coordinamento didattico, verbalizzato in un apposito registro.
La riforma prevede invece un insegnante “tutor” per ciascuna classe, al quale sono affidate le materie principali, ed una serie di figure “stellari”, specializzate per attività ed operanti su più classi. Il tutor avrà 18 ore in una classe, e gli sarà affidata la funzione di coordinamento dei rapporti con i genitori e di stesura del “portfolio” del bambino. Non è specificato il criterio di selezione dei tutor. Tutti coloro che hanno scritto della riforma hanno ipotizzato che in prospettiva – continuando nell’attuale trend di non assunzioni nella scuola – resteranno solo i tutor come impiegati dello stato, oltre agli insegnanti di religione, e le altre attività potranno essere assegnate ad agenzie esterne o rapporti di lavoro a tempo determinato. L’orario sarà di 27 ore settimanali (oggi sono da 28 a 32 nei moduli, e 40 nel tempo pieno), aumentate delle ore opzionali, per un massimo di 3 settimanali, anche in concorso fra più scuole, e dell’eventuale mensa. Il Ministro giura pe r ora sulla gratuità delle tre ore aggiuntive, ma anche su questo tutti i commentatori sono scettici. Non ci saranno ore di contemporaneità oraria, se gli organici saranno – come si ipotizza – di un insegnante ogni 1,2 classi (cioè 6 insegnanti per 5 classi). Ci vuol poco a calcolarlo: 27 x 5 = 135 ore di 5 classi; 22 X 6 = 132 ore di 6 insegnanti; vanno aggiunte le ore di lingua straniera, salvo dove è un insegnante di classe a svolgerne l’insegnamento; e vanno aggiunte le ore di religione, salvo dove è un insegnante di classe a svolgerne l’insegnamento o dove vi sono bambini che non si avvalgono dell’insegnamento della religione e svolgono attività alternative. Basta che si crei una di queste tre condizioni in una delle 5 classi e si azzera qualunque spazio di contemporaneità.
GLI ANTICIPI
Questo è stato il punto più strombazzato a livello propagandistico, anche perché fa leva su desideri profondi (il figlio “primino” che va a scuola a 5 anni) o su necessità autentiche (la mancanza degli asili nido, o il loro costo altissimo). La circolare dice che possono andare a scuola “i bambini che compiono sei anni entro il 28 febbraio dell’anno successivo a quello di riferimento”.
Ma se per la scuola elementare il problema tocca soltanto un “travaso” di bambini che altrimenti frequenterebbero la scuola d’infanzia (e comunque modificherebbe pesantemente la numerosità ed il numero delle classi prime) per la scuola d’infanzia i comuni hanno messo un significativo altolà, e quindi la circolare dice che l’ammissione può avvenire una volta esaurite le liste d’attesa di chi ha già diritto perché ha compiuto i 3 anni. C’è un altro punto significativo: la circolare dice “entro la data del 31 agosto” per le iscrizioni normali, ed uno che legge pensa ad un lapsus: “31 dicembre”. Invece no: i bambini andranno a scuola perché nati entro il 31 agosto (cosa, fra l’altro, che avrebbe un senso logico, per evitare quel fenomeno che una volta si chiamava “perdere l’anno”); dopodiché l’autore della circolare se ne dimentica e non prevede alcuna disposizione, lasciando nel limbo i nati fra settembre e dicembre. In ogni caso, una modifica di questo tipo non può essere tagliata con l’accetta: i genitori di questi bambini – nati fra settembre e dicembre -rivendicheranno un diritto che una circolare, e non una legge, toglie loro.
COSA SUCCEDERA’
È facile ipotizzare che i decreti attuativi non vengano approvati, come segno dell’incapacità ormai del governo di legiferare su qualunque cosa tranne gli interessi privati di Berlusconi. La riforma ha una base ideologica che trova resistenze nella maggioranza, e nel mondo della scuola ci sono forti resistenze che si riflettono sulla maggioranza stessa: resteranno senz’altro i tagli, che dipendono da altri ministeri, diversi da quello della P.I.
Così è successo per il sostegno: solo qualche dichiarazione di esponenti, probabilmente nazisti nel profondo, di A.N. e della Lega ha dichiarato esplicitamente che i bambini con handicap vanno espulsi dalla scuola. Ma nella scuola si è tagliato fortemente il sostegno negli ultimi anni, portando la motivazione ipocrita che “il bambino con handicap è una responsabilità di tutti gli insegnanti della classe”.
A COSA SERVE LA SCUOLA ?
Secondo l’impianto della “riforma” la scuola è un mero contenitore di conoscenze. Lo spirito è quello che alcuni studiosi conservatori americani chiamano “un quinto, quattro quinti”, intendendo che un quinto comanderà, i rimanenti ubbidiranno. Giova ricordare che anche la produzione ha bisogno di cultura, ma questo è un argomento di lungo periodo che non interessa a chi non sa nemmeno essere conservatore lungimirante. La scuola è luogo di apprendimento condiviso, di incontro e contaminazione fra etnie e culture. Val la pena ricordare che la scuola primaria italiana è internazionalmente considerata di ottimo livello ?