Non demagogia ma esigenze reali
Alba Sasso - 20-01-2004
La grande manifestazione che si è svolta sabato a Roma dimostra una cosa: le proteste contro il progetto di destrutturazione e di dequalificazione della scuola pubblica non sono polemiche strumentali, non sono “demagogia”, come pure ha affermato Tajani.

Non si può parlare di demagogia, quando a scendere in piazza sono i cittadini in carne e ossa: i lavoratori della scuola, i docenti, i genitori, gli studenti, tutti insieme a rivendicare la qualità dell’insegnamento, il diritto a un’istruzione pubblica che formi le cittadine e i cittadini di domani.

Esigenze reali, quelle portate in piazza sabato, di cui il ministro non può non tener conto; così come non può non tener conto delle rivendicazioni dei ricercatori dell’Università, penalizzati dal decreto sul riordino della docenza approvato dal consiglio dei ministri di venerdì. Un provvedimento che condiziona in maniera pesante non solo il lavoro e la vita stessa dei giovani ricercatori, ma anche la qualità della ricerca nell’Università italiana, che ha bisogno di personale motivato anche da adeguati riconoscimenti contrattuali e retributivi.

Il mondo della Scuola, dell’Università e della Ricerca rappresenta il futuro, il motore trainante dello sviluppo del Paese, e va coinvolto ed ascoltato. Non mi sembra che si faccia demagogia se si chiede al ministro di dimostrare il senso di responsabilità e la capacità di dialogare e di confrontarsi con le necessità e i bisogni della parte più viva e più attiva del paese.


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 ilaria ricciotti    - 20-01-2004
Il termine demagogia, non va pronunciato a distanza,
e usato a dismisura soprattutto da una certa stanza.

La scuola e l'università,
hanno bisogno di attenzioni,
non certo di dichiarazioni cartacee gettate qua e là.

Che la smettano di fare a loro piacimento,
senza ascoltare chi esterna preoccupazioni e lamento.

Lamento per una scuola ed un'università,
che non ti invitano a studiare ed a ricercar.

 Precarius    - 20-01-2004
Evidentemente Tajani non si aspettava una tale forza d’espressione, di repulsione, nei confronti di questa riforma dell’istruzione, ha perso il controllo.
Quasi una manifestazione di iper-cittadini, capaci di disquisire con serenità e competenza sui diritti scolastici dei figli.
P.zza del Popolo era stracolma soprattutto di famiglie il 17. Certo, sindacati ed associazioni si distinguevano precisamente con i diversi colori, soprattutto con il sostegno ai coordinamenti spontanei, ma il numero dei docenti era esiguo rispetto a genitori e figli. Le contraffazioni sulla partecipazione, la censura dei media a spezzare il consenso, non serviranno a nulla.
Il fenomeno si è verificato, la mediocrità espressa in queste ore, anche da riviste specializzate, nel tentativo di rimuoverlo aumentano ulteriormente le irresponsabilità.
Difendere il Tempo Pieno significa contestare la figura del tutore nella scuola elementare, nel fare ciò salta tutto l’impianto pedagogico proposto dal ministro attraverso la sua delega.
Oltre centomila persone che difendono il sistema scolastico esistente devono far riflettere tutti. Una riforma dell’istruzione, per risultare migliorativa delle condizioni esistenti, deve necessariamente partire dalla Scuola stessa; nel rispetto delle regole e della legalità ha l’obbligo di proiettarsi verso la società civile, presente e futura, anche con uno sforzo compensativo, non pianificando e difendendo un unico, per diversi punti di vista, maniacale modello di “eccellenza”.
Con rigore, scientificità nelle analisi e nelle applicazioni (le strumentalizzazioni ed il pressappochismo degli pseudo-Stati Generali verso alcuni dati isolati del Rapporto P.I.S.A dovrebbero “far scuola” al riguardo), apertura al confronto.
In quest’ambito l’attuale tentativo (anche nella sciagurata ipotesi di un’approvazione), risulta fallimentare; un monito chiaro ed “istruttivo”anche per le opposizioni.

 Gianni Mereghetti    - 20-01-2004
Non sarà demagogia, ma ho i miei dubbi che quelle portate in piazza sabato siano esigenze reali.
Attenzione a far diventare obiettivi di lotta problemi che certamente ci sono, ma che possono risolversi solo dando alla scuola reale autonomia e agli insegnanti condizioni di vera libertà.
In questo momento delicato per la vita della scuola se ognuno di noi rivendica il suo piccolo pezzo di territorio affosseremo definitivamente la scuola.
A mio parere c'è da rendersi conto che se riforma deve esserci la condizione delle condizioni è l'autonomia. Quella vera, non l'aborto di oggi!
Grazie